IL GIOVEDÌ SANTO

ISTRUZIONE

In questo giorno non si celebra che una sola Messa, nella quale il Sacerdote consacra due ostie: coll’una si comunica in questo giorno; e l’altra, posta in un calice e coperta di velo, si trasporta con solenne Processione dall’altare maggiore ad uno dei minori parato a festa. La ragione per cui il Sacerdote consacra due ostie è questa: siccome nel Venerdì santo non si offre il Sacrificio Divino, così si consacra un’Ostia il Giovedì Santo, perché il Sacerdote, dopo avere recitata una parte delle orazioni della Messa, e specialmente quelle che precedono la Comunione, senza consacrare il pane e il vino riceva quest’Ostia consacrata il giorno innanzi. Questa Messa dicesi dei Presantificati. Nella Messa di questo giorno si comunicano anche i Sacerdoti; e ciò per ricordare che in esso Gesù Cristo istituì la Santissima Eucaristia e la dispensò di sua mano agli Apostoli, Ed è appunto per questo ricordo che la Messa è celebrata con giubilo e che la Chiesa fa cantare solennemente il Gloria con suono di campane e di organo. A questo scopo è pure istituita l’adorazione che si fa oggi alla Santissima Eucaristia in un altare ornato a festa; il quale, benché si dica dal volgo Santo Sepolcro, pure non è che una esposizione solenne del Santissimo Sacramento in ringraziamento a Gesù Cnsto per un sì gran dono. Dicesi poi esposizione solenne, sebbene chiuso in un tabernacolo, perché la funzione rimonta a quei secoli, nei quali non era ancora in uso l’esposizione nell’ostensorio sul trono, ma si portava al luogo consueto detto Pastoforio, che era situato per lo più in alto dietro l’altare. Nella Messa, dopo il canto del Gloria, si fa cessare il suono delle campane in segno di mestizia, e per significare il silenzio degli Apostoli, che, per timore degli Ebrei, cessarono in questi giorni di predicare Cristo. Finita poi la Messa si spogliano i sacri altari d’ogni loro ornamento, per significare che Gesù Cristo, di cui l’altare è simbolo, esso pure nella Passione fu più volte con violenza spogliato delle sue vesti. Oggi si consacrano dal Vescovo gli Olii che si usano pei Sacramenti del Battesimo, Cresima, Ordine ed Estrema Unzione, e ciò per dimostrare che oggi Cristo deputò gli Apostoli a suoi speciali ministri. Finalmente si fa dal Celebrante la lavanda de’ piedi per onorare la memoria di quella che fece Cristo ai suoi Apostoli nella gran Cena.

LA PROCESSIONE NEL GIOVEDÌ SANTO.

Finita la Messa si accendono le torce, e si fa la Processione secondo la maniera solita, portandosi però la Croce da un altro Suddiacono. Il Celebrante, vestito di Piviale bianco, stando in piedi davanti all’Altare, mette l’incenso in due turiboli senza benedizione, e genuflesso in mezzo all’Altare, con uno di essi incensa tre volte il Sacramento; ed avendo ricevuto dalle mani del Diacono, stando in piedi, il Calice col Sacramento, che dovrà coprirsi colla estremità del velo postogli sulle spalle, s’incammina, in mezzo al Diacono che è alla destra, ed al Suddiacono che è alla sinistra, sotto il baldacchino, venendo il Sacramento continuamente incensato da due Accoliti fino al luogo preparato, ove deve custodirsi fino al domani. Mentre si fa la Processione si canta l’Inno: Pange, lingua, gloriosi. Giunto che si è al luogo preparato, il Diacono in ginocchio prende dal Sacerdote, stante in piedi, il Calice col Sacramento, e lo pone primieramente sopra l’Altare, in cui viene incensato dal Sacerdote genuflesso, e poi lo ripone nel tabernacolo.

MEDITAZIONE per il Giovedì Santo.
L’Amore di Gesù Sacramentato (SANT’ALFONSO, Pratica, cap 11)

1. L’amantissimo nostro Salvatore, sapendo egli già arrivata l’ora di partirsi da questa terra, prima andare a morire per noi, volle lasciarci il segno grande che potea del suo amore, quale fu appunto questo dono del Santissimo Sacramento, Dice San Bernardino da Siena, che i segni d’amore, che si dimostrano in morte, più fermamente restano a memoria, e si tengono più cari: onde sogliono gli amici lasciare alle persone, che hanno amato in vita, qualche dono, una veste, un anello in memoria del loro affetto. Ma Voi, Gesù mio, partendo da questo mondo, che cosa ci avete lasciato in memoria del vostro amore? non già una veste, un anello; ma ci avete lasciato il vostro Corpo, il vostro Sangue, l’Anima vostra, e la vostra Divinità, tutto Voi stesso senza riserbarvi niente.
2. Dice il Concilio di Trento, che in questo dono dell’Eucaristia Gesù Cristo volle quasi cacciar fuori tutte le ricchezze dell’amore ch’Egli serbava per gli uomini. E nota l’Apostolo che Gesù Cristo volle fare questo dono agli uomini in quella notte stessa appunto, in cui gli uomini gli apparecchiavano la morte: « in quella notte medesima che doveva esser tradito, prese il pane, e rendendo grazie al Padre, lo ruppe, e disse: Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo. » Dice San Bernardino da Siena, che Gesù Cristo ardendo per noi d’amore, e non contento di apparecchiarsi a dar la vita per noi, prima di morire fu costretto dall’eccesso del suo amore a fare un’opera più grande, quale fu di dare in cibo il suo medesimo Corpo.
3. Ben dunque da San Tommaso fu chiamato questo Sacramento, Sacramento d’Amore, perché la sola morte indusse Gesù Cristo a donarci in quello tutto Se stesso: e Pegno d’Amore, acciocché se noi avessimo mai dubitato del suo amore, in questo Sacramento ne avessimo ricevuto il pegno; come se avesse detto il nostro Redentore nel lasciarci questo dono: anime, se mai dubitate del mio amore, ecco che io vi lascio me stesso in questo Sacramento, con tal pegno in mano non potete aver più dubbio, che io vi amo e vi amo assai.
4. Ed oh con quale desiderio Gesù Cristo anela di venire nelle anime nostre nella Santa Comunione! «Ho ardentemente desiderato di celebrare questa pasqua con voi». Così Egli disse in quella notte, in cui istituì questo Sacramento di amore. E scrive San Lorenzo Giustiniani, che Gli fe’ dir ciò l’amore immenso che ci portava. Ed acciocché facilmente ognuno avesse potuto riceverlo, volle lasciarsi sotto le specie di pane: e se si fosse lasciato sotto le specie di qualche cibo raro, o di gran prezzo, i poveri ne sarebbero rimasti privi; Gesù ha voluto porsi sotto le specie di pane, che poco costa, e da per tutto si trova, affinché tutti ed in ogni paese possano trovarlo e riceverlo.
5. Affinché poi anche noi ci invogliassimo a riceverlo nella Santa Comunione, non solo ci esorta a ciò con mille inviti, ma anche ce lo impone per precetto. Di più, acciocché noi andiamo a riceverlo, ci alletta colla promessa del Paradiso. Di più ci minaccia l’inferno con l’esclusione del Paradiso, se noi ricusiamo di comunicarci. Questi inviti, queste promesse e queste minacce tutte nascono dal gran desiderio che Egli ha di venire a noi in questo Sacramento.
6. Ma perché mai tanto desidera Gesù Cristo che noi Lo riceviamo nella Santa Comunione? Ecco la ragione: dice San Dionisio, che l’amore aspira sempre e tende all’unione; e San Tommaso, che gli amici i quali si amano di cuore, vorrebbero talmente essere uniti, che fossero un sol uomo. Or ciò ha fatto l’immenso amore di Dio verso gli uomini, che non solo si desse tutto nel Regno eterno, ma che in questa terra ancora si lasciasse dagli uomini possedere colla unione più intima che possa darsi, loro dandosi tutto sotto le apparenze di pane nel Sacramento. Ivi Egli sta dietro un muro, e di là ci guarda come per mezzo di stretti cancelli, Si che noi non Lo vediamo, ma Egli di là ci guarda ed ìvi è realmente presente : è presente per lasciarsi da noi possedere, ma si nasconde per farsi da noi desiderare; e finché noi non perveniamo alla patria, Gesù vuol darsi a noi tutto, e stare tutto unito a noi.
7. Ei non può contentare il suo amore con darsi tutto al genere umano nella sua Incarnazione e Passione, morendo per tutti gli uomini; ma volle trovare il modo di darsi tutto a ciascuno di noi; e perciò istituì il Sacramento dell’Altare, a fin d’unirsi tutto con ognuno di noi. Nella Santa Comunione Gesù si unisce all’anima, e l’anima a Gesù, e questa unione non è di mero affetto, ma vera e reale. Quindi ebbe a dire San Francesco di Sales: “in niun’altra azione può considerarsi il Salvatore né più tenero né più amoroso che in questa, in cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per penetrare le anime nostre, ed unirsi al cuore dei suo fedeli”.

AFFETTI E PREGHIERE.

O Dio d’amore, o Amante infinito, degno di infinito amore, ditemi, ci è più che inventare per farvi amare da noi? Non vi è bastato di farvi uomo, e soggettarvi a tante nostre miserie. Non vi è bastato di dare per noi tutto il Sangue a forza di tormenti, e poi morire consumato da’ dolori sovra d’un tronco destinato a’ rei più scellerati. Vi siete ridotto infine a mettervi sotto le specie di pane per farvi nostro cibo, e così unirvi tutto con ciascuno di noi. Ditemi, replico, ci è più che inventare per farvi amare? Ah miseri noi se in questa vita non vi amiamo! Quando saremo entrati nell’eternità, qual rimorso ci apporterà il non avervi amato! Gesù mio, io non voglio morire senza amarvi, ed amarvi assai, Troppo mi rincresce e mi dà pena l’avervi dato tanti disgusti; me ne pento e vorrei morire di dolore, Ora vi amo sopra ogni cosa, vi amo più di me stesso, e vi consacro tutti gli affetti miei. Voi, che mi date già questo desiderio, datemi la forza d’eseguirlo. Gesù mio, Gesù mio, io non voglio da Voi altro che Voi. Or che mi avete tirato al vostro amore, io lascio tutto, rinunzio a tutto, ed a Voi mi stringo, Voi solo mi bastate. O Madre di Dio, Maria, pregate Gesù per me, e fatemi santo, Aggiungete quest’altro a tanti prodigi da Voi operati, di mutare ì peccatori in santi.



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