Caterina Benincasa, vergine di Siena, madre e maestra dell’Ordine Domenicano, spirò la bell’anima a Roma il 29 aprile 1380. La sua canonizzazione fu celebrata nel 1461 da un Pontefice suo concittadino, Pio II Piccolomini, il quale nella bolla ne fece il seguente elogio.

In ogni secolo fiorirono uomini, che a Dio piacquero, santi, i quali vivendo nella carne, ne vinsero i desiderii e menarono quaggiù vita celeste. Per i loro meriti ed intercessione muovesi ancora la macchina mondiale, e il fuoco che ne fu minacciato è come ritenuto, e l’ira e la divina vendetta sospese. Né dubitiamo che vi sieno oggi ancora anime a Dio gradite, le cui preci ci plachino il re del cielo cel rendano propizio.
[…] Avea pure nel secolo scorso, a memoria de’ nostri padri, fiorito nella stessa città [Siena] e nel sesso muliebre la vergine Caterina non inferiore di meriti né meno a Dio accetta: di cui le preghiere non dubitiamo che già furono, ora sono e saranno nell’avvenire di molto giovamento all’umana famiglia. Imperocché, siccome i peccati e le bestemmie dei malvagi provocano sopra di noi il furore divino, così, viceversa, le opere e le supplicazioni dei santi ce ne scansano.
Ma Caterina, quantunque avesse quaggiù vissuta vita d’angelo, e pria dell’anno 80 del secolo volata al cielo, fosse per molti prodigi e gloriosi miracoli divenuta illustre, pure, non avendo i Romani Pontefici che ne precederono ciò decretato, non venne sino ai dì nostri accolta tra le sante vergini di Cristo dalla Chiesa militante. Avean desiderato impartirle quest’onore Urbano VI, e dopo lui Innocenzo VII, e da ultimo Gregorio XII; i quali tutti ebbero peculiar notizia di questa vergine e del santo viver di lei. Ma angustiati dallo scisma che infierì alla loro stagione, e molto agitali dalle turbolenze e dalle molestie di guerra, per divino avviso, come dicemmo, si passarono ciò, affinché infierendo la procella della divisione, ciò che l’un partito teneva per santo, non fosse dall’altro tenuto nel conto più vile. Fu adunque tal cosa differita ai nostri giorni, e a noi venne riservata la canonizzazione di questa santissima vergine, come di nostra conterranea e concittadina, affinché la santità d’una vergine sanese venisse a luce per decreto d’un sanese regnante sul Seggio romano.
Nel quale negozio non vogliamo punto negare che ci abbia eccitato un assetto santo e pio, imperocché qual è mai che non procuri volentieri, ove ciò possa farsi per diritto ed onestamente, che sien divulgati gli elogi della sua città, le lodi della patria, le virtù della sua stirpe? Ciascuno desidera ardentemente di palesare i fatti eccellenti e gli uomini che per virtù chiari fiorirono in tutti i sessi ed in ciascuna parte del mondo; più volentieri però e con maggior diletto, quei che vissero nella sua patria e stirpe. E quantunque avessimo noi con molto gaudio in quale che sia popolo ravvisato le sublimi doti, l’eccellente ingegno, la mente divina, il santissimo volere della beata Caterina, maggior contento però è il nostro nello scorger tali cose nella città di Siena, donde sortimmo i natali. Imperocché nutriamo fidanza d’essere viemaggiormente e più peculiarmente partecipi dei meriti di lei, che se questa vergine o nell’Africa fosse nata, oppure nella Scizia o nell’India; non potendo per guisa veruna accadere che non ci derivi alcun privilegio dall’attinenza coi santi.
Né perciò dobbiam dire più o men del vero, né a cagion del parentado o della patria carità deve essere alcuno annoverato tra i santi senza meriti, senza il solito esame, senza le consuete solennità. Laonde quantunque udimmo con piacere essere di Siena la beata Caterina di cui domandavasi la canonizzazione, nulla però trascurammo nella santificazion di lei di quelle cose che in solennità sì grande richieggonsi.
V’erano perciò molte preci non solo del popolo senese, ma sì ancora di altri: ché il carissimo figlio in Cristo Federigo Augusto imperador de’ Romani, e il diletto figliuolo Pasquale, doge di Venezia, nobile personaggio, ci supplicarono che non fosse più lungamente quaggiù priva del debito onore questa vergine, a cui la divozione di molti popoli era vivamente indirizzata, e di cui molti prodigi si divulgavano.
Nello andare a Mantova, essendoci nel viaggio per qualche tempo fermati a Siena, e là sendoci nel pubblico concistoro esposti i grandi meriti e i maravigliosi portenti di lei, e rivolte ardenti suppliche affinché le decretassimo gli onori dei santi, non consentimmo sì presto, ma secondo l’antica consuetudine destinammo coll’oracolo della viva voce tre dei nostri fratelli cardinali della Santa Romana Chiesa, un vescovo, un prete, un diacono, a diligentemente esaminare, dopo fatti i soliti processi, la vita, i costumi e i miracoli dalla stessa Caterina operati in vita e dopo morte, e quanto resta per la canonizzazione di lei, e a farcene in secreto concistoro, com’è usanza, fedele relazione. I commissari discussero tal cosa per un anno e più, nel qual tempo noi da Mantova tornammo a Roma. Trovati gli antichi processi, che si composero in Venezia ed altrove, e di nuovo esaminati i testimoni, e ponderata con somma diligenza ogni cosa, pria separatamente ne fecero relazione tra i cardinali soltanto, sinceramente ragguagliati di tutto che ebber ritrovato.
Procurammo poi che fossero di nuovo recitate da un avvocato in pubblico concistoro quelle cose che pria ci avean significate. Da ultimo, adunati nella nostra corte tutti quei vescovi ch’eran con loro, e assistendoci i cardinali, i detti commissari nuovamente per mezzo del venerabile nostro fratello Guglielmo di Porto, di nazione francese (il primo tra essi) ci esposero ciò che avean rinvenuto, e che parea convenevolmente provato. Dalla loro relazione, che su oltre ogni dire ampia ed ornata, queste cose sommariamente attingemmo, che sono vere, provate, conosciute e manifeste. 
La vergine Caterina, nata in Siena da parenti di mezzana condizione, pria che potesse per l’età conoscere Iddio si volle a lui consacrare. A sei anni desiderò fuggire a un eremo per servire al Signore, ed uscita dalla città si nascose in una caverna ch’era luogo solitario; quantunque dimoratavi poco tempo, così comandandole lo Spirito divino, fosse poi tornata a casa. Avendo imparalo l’angelico saluto, quante volte montò la scala della casa paterna, tante a ciascun gradino, piegato il ginocchio, riverì la beatissima Vergine Madre di Dio. E correndo l’anno settimo dell’età sua, consacrò la sua verginità a Cristo, cui con mirabile visione contemplò sedente nella sua maestà: e scorse gli arcani della corte celeste, i quali non può dir lingua mortale. Rinunziò ad ogni mondana delizia. Tutta si diè all’orazione, ed afflisse il suo corpicciuolo colle vigilie, coi digiuni, colle battiture. Persuase le fanciulle della sua condizione ad operare a questo modo. Giunta alla pubertà, stracciati i capelli, ricusò matrimonio di mortale. Spregiò le ingiurie e le maledizioni degli uomini. Tolse per forza piuttosto che non impetrò l’abito del beato Domenico, che portano le Donne della Penitenza. Esercitò l’ufficio di serva nella casa paterna, nessuna cosa più desiderando, che di apparire vile ed abietta davanti agli uomini. Ai poverelli di Cristo colla venia del padre abbondevolmente soccorse. Con somma diligenza servì agl’infermi. Le tentazioni diaboliche e le continue zuffe degli spiriti maligni vinse collo scudo della pazienza e col cimiero della fede. Ai prigioni ed agli oppressi arrecò sollievo come poté. Non escì da lei parola che santa e religiosa non fosse. Ogni sermone di lei si versò intorno ai costumi, alla religione, alla pietà, al dispregio del mondo, all’amore di Dio e del prossimo, ed alla patria celeste. Nessuno le si appressò, che non ne partisse più dotto e migliore. La sua dottrina fu infusa, non già acquistata. Apparve maestra pria d’esser discepola: imperocché rispose con molta prudenza ai professori delle sacre lettere, e sino agli stessi vescovi di chiese illustri; e loro a tal guisa soddisfece da rinviare come agnelli mansueti quelli che avea ricevuti come lupi e leoni feroci: dei quali alcuni, meravigliando la sapienza divina nella verginella, distribuite tra i poverelli le sostanze che possedeano, tolta la croce del Signore, vissero dappoi vita evangelica.
Somma fu l’astinenza e mirabile l’austerità della vita di Caterina: imperocché avendo affatto abbandonato l’uso del vino e della carne, né più adoperando cibi di farina, a tale stremo venne da non mangiare più né legumi né pane, tranne solo quel pane celestiale, che il vero cristiano mangia nel sacramento dell’altare. Fu trovata, contenta solo della comunione eucaristica, aver prolungato il digiuno dal giorno delle Ceneri insino all’Ascensione del Signore. Per anni otto incirca si sostentò d’ uno scarso succo di erbe, e della sacra comunione. Andava alla mensa come a un supplizio. Alla comunione dell’altare quasi giornalmente con somma ilarità si appressava, come fosse invitata alle nozze celesti. Recavasi sotto le vesti il cilizio per mortificare la carne. Non si servì di piume o di guanciali: si avea fatto un letto di tavole, e giacendovi dormiva pochissimo, ché raramente tra giorno e notte il sonno di lei durava oltre due ore : il rimanente del tempo impiegava nel vegliare, nell’orare, e nel predicare, e nello attendere alle opere di misericordia. Con lunghe corde macerò le sue carni: era afflitta da un dolor di capo quasi continuo: ardeva per le febbri e veniva eziandio travagliata da altre malattie. Combatteva quasi assiduamente coi demoni ed era da loro assai molestata; diceva coll’Apostolo: Quando sono inferma, allora divento più forte; imperocché non veniva meno tra tante tribolazioni, né punto trascurava le opere caritatevoli. Assisteva ai miseri che soffrivano senza ragione. Riprendeva i peccatori e li esortava con benignissime parole a penitenza. A tutti insegnava allegramente i precetti di salvezza. A ciascuno con volto ilare addimostrava qual cosa si dovesse seguitare, quale fuggire: con somma maestria pacificava i dissidenti. Molti odii spense, e cessò nimicizie mortali. Non dubitò per la pace de’ Fiorentini, che in guerra colla Chiesa erano condannati a un interdetto ecclesiastico, di oltrepassare l’Appennino e le Alpi, e sino in Avignone recarsi a Gregorio XI, pontefice massimo nostro predecessore, a cui palesò di avere divinamente conosciuto il voto, benché noto a lui solo é a Dio, ch’egli avea occultamente fatto di recarsi a Roma. Fu dotata ancora dello spirito di profezia, e molti avvenimenti predisse, e rivelò cose occultissime. Era sovente rapita dallo Spirito, e sospesa in aria si pasceva di celesti contemplazioni; tal fuori di sé, che, tocca o percossa, di nulla si accorgeva, e ciò spesso le accadeva nel cibarsi della divinissima eucaristia.
Molto dai popoli era stimato il nome di Caterina reputata come santa, e d’ogni parte i malati e i travagliati dagli spiriti maligni le erano condotti, e molti riacquistavano la salute. Ai languori ed alle febbri imperava nella virtù di Cristo, e costringeva i demonii a fuggirsi dagli ossessi. Laonde su carissima a due romani pontefici Gregorio XI, di cui poco fa facemmo menzione, e ad Urbano VI: per guisa che venne adoperata nelle loro legazioni, e da essi arricchita di molti e grandi favori spirituali. Ed avendo a tal modo menata la vita, all’anno 33 incirca dell’età sua morì a Roma.

Dell’assunzione e del glorioso ingresso di quest’anima in cielo stupende e mirabili rivelazioni si trovano presso quelle persone ch’ebbero in istima la vergine, e massimamente presso il confessore di lei Raimondo da Capua, maestro in sacra teologia, che fu poi nominato padre generale dell’ordine dei Predicatori. Il quale dimorando a Genova la notte in cui la vergine morì, la vide al mattino nel dormitorio presso l’imagine della Madre di Dio rifulgente di meraviglioso splendore, e che gli indirizzava parole di consolazione.
Il corpo di lei, per qualche tempo custodito, fu da ultimo sepolto in Roma nella chiesa dei frati Predicatori della Minerva con gran divozione e riverenza del popolo: e al contatto del medesimo molti infermi riceverono da Dio la sanità, per guisa che ad alcuni apportò salute l’aver tocche quelle cose che alla lor volta toccarono le sacre membra di Caterina. La quale, ricevuta in cielo, porse benigno orecchio ai voti di coloro che la supplicavano, ed impetrò che venissero esauditi da Cristo suo salvatore, sposo e signore: imperocché molti da varie malattie furono guariti, i quali all’udire il nome gloriosissimo della beata Caterina, la richiesero supplichevoli di patrocinio. Laonde il nome di Caterina fu avuto in venerazione a Venezia, dove non era stato mai, ed in altri luoghi, e moltissimi voti le vengono indirizzati.
Queste ed altre moltissime cose avendo il venerabile nostro fratello vescovo di Porto esposte nell’adunanza dei cardinali e dei prelati, ed affermato che furono chiaramente provate, richiesti singolarmente così i cardinali, come i prelati (di cui moltissimi furon presenti) di manifestare il loro avviso; parve a comune suffragio doversi dichiarar Caterina degna del Cielo: né v’ebbe alcuno, che non avesse sommamente approvato di celebrarsene la canonizzazione. Or dopo avere tutti lungamente ascoltati, comandammo che fosse nella basilica del Beato Pietro, principe degli Apostoli, decentemente apparecchiato e decorato un pulpito, sul quale oggi alla presenza del clero e del popolo, dopo tenuto sermone della vita e dei miracoli di questa vergine, celebrata la messa solenne e fatte le consuete cerimonie secondo il rito, reputammo dover procedere alla canonizzazione di Caterina in forza di queste parole: Ad onore dell’onnipotente ed eterno Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ad esaltazione della fede cattolica ed aumento della Cristiana Religione; coll’autorità di nostro Signor Gesù Cristo e de’ beali Apostoli Pietro e Paolo, e colla nostra, secondo l’avviso dei nostri fratelli, dichiariamo che Caterina da Siena, vergine d’illustre e d’indelebile memoria, di cui il corpo riposa in Roma nella chiesa dei Predicatori che dicesi della Minerva, è stata (poiché ha ciò meritato la virtù di lei, cooperando la grazia divina) da molto tempo ricevuta nella celeste Gerusalemme nei cori delle beate vergini, e donata della corona di eterna gloria; e giudichiamo e definiamo doversi essa venerare come santa in privato ed in pubblico, e comandiamo che sia annoverata tra le sante vergini che venera la Chiesa Romana: stabilendo che se ne celebri la festività per ciascun anno nella prima domenica del mese di maggio, e che a lei si rendano gli onori che convengono alle altre beate vergini. Oltre a ciò, a quanti si recheranno nella stessa festività a visitare il sepolcro di lei, rilasciamo misericordiosamente in perpetuo sette anni ed altrettante quarantene delle penitenze loro ingiunte, come si costuma nella Chiesa. A nessuno adunque degli uomini sia lecito mettere in pezzi questa disposizione per ciò che riguarda la dichiarazione, la costituzione, il mandato, lo statuto e la rilassazione, o contraddirvi con temerario ardimento. Se alcuno presume di violare comechessia queste pagine, sappia pure che incorrerà nell’indegnazione dell’Onnipotente e de’ beati apostoli Pietro e Paolo.

Dato in Roma, a San Pietro, l’anno 1461 dell’incarnazione del Signore, ai 29 di giugno, anno terzo del nostro pontificato.

Testo completo presso  Alfonso Capecelatro, Storia di S. Caterina da Siena e del papato del suo tempo, Napoli, 1856.



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Immagine: Pinturicchio, Pio II canonizza santa Caterina da Siena, 1502-07 circa, Liberia Piccolomini, Siena (da commons.wikimedia.org)