Dal Radiomessaggio natalizio al mondo (24 dicembre 1951)
Le ultime Nostre parole mostrano chiaramente il Nostro pensiero su questo problema. Anche oggi, come già altre volte, dinanzi al presepio del divino Principe della pace, Ci vediamo nella necessità di dichiarare: il mondo è ben lontano da quell’ordine voluto da Dio in Cristo, che garantisce una pace reale e durevole. Si dirà forse che in questo caso non metteva conto di tracciare le grandi linee di quell’ordine e di porre in esso il contributo fondamentale della Chiesa all’opera della pace. Si obietterà che in tal modo Noi non facciamo se non stimolare il cinismo degli scettici e aggravare lo scoraggiamento degli amici della pace, se questa non può essere difesa che col ricorso ai valori eterni dell’uomo e della umanità. Ci si opporrà infine che diamo effettivamente ragione a chi nella «pace armata» veda l’ultima e definitiva parola nella causa della pace, dunque in una soluzione deprimente per le forze economiche dei popoli, esasperante per i loro nervi.
Noi stimiamo nondimeno indispensabile di fissare lo sguardo sull’ordine cristiano, oggi da troppi perduto di vista, se si vuol vedere il nodo del problema quale ora si presenta, se si vuole non solo teoricamente, ma anche praticamente, rendersi conto del contributo che tutti, e in primo luogo la Chiesa, possono veramente prestare, anche in circostanze sfavorevoli e a dispetto degli scettici e dei pessimisti.
Innanzi tutto quello sguardo convincerà ogni osservatore imparziale che il nodo del problema della pace è al presente di ordine spirituale, è manchevolezza o difetto spirituale. Troppo scarso è nel mondo di oggi il senso profondamente cristiano, troppo pochi sono i veri e perfetti cristiani. In tal guisa gli uomini stessi mettono ostacolo all’attuazione dell’ordine voluto da Dio.
Bisogna che ciascuno si persuada di questo carattere spirituale inerente al pericolo di guerra. Ispirare tale persuasione è in primo luogo ufficio della Chiesa, è oggi il suo primo contributo alla pace.
Anche Noi – e più di chiunque altro – deploriamo la mostruosa crudeltà delle armi moderne. Le deploriamo e non cessiamo di pregare che non vengano giammai adoperate. Ma, d’altra parte, non è forse una specie di materialismo pratico, di sentimentalismo superficiale, il considerare nel problema della pace unicamente o principalmente l’esistenza e la minaccia di quelle armi, mentre si mette in non cale l’essenza dell’ordine cristiano, che è il vero garante della pace?
Da qui, tra gli altri motivi, le discrepanze e anche le inesattezze sulla liceità o la illiceità della guerra moderna; da qui parimente la illusione di uomini politici, che contano troppo sulla esistenza o sulla scomparsa di quelle armi. Il terrore, che esse ispirano, viene perdendo a lungo andare la sua efficacia, come ogni altra causa di spavento; o almeno non basterebbe, all’occorrenza, a frenare lo scatenamento di una guerra, specialmente là ove i sentimenti dei cittadini non hanno un peso sufficiente sulle determinazioni dei loro Governi.
D’altra parte, il disarmo, ossia la riduzione simultanea e reciproca degli armamenti, da Noi sempre desiderata e invocata, è una poco solida garanzia di pace durevole, se non è accompagnata dall’abolizione delle armi dell’odio, della cupidigia e della smodata brama di prestigio. In altri termini, chi unisce troppo strettamente la questione delle armi materiali con quella della pace, ha il torto di trascurare l’aspetto primario e spirituale di ogni pericolo di guerra. Il suo sguardo non va al di là delle cifre, ed inoltre è necessariamente limitato al momento, in cui il conflitto minaccia di scoppiare. Amico della pace, egli arriverà sempre troppo tardi per salvarla.
Se si vuole veramente impedire la guerra, si deve innanzi tutto cercare di sovvenire all’anemia spirituale dei popoli, alla inconsapevolezza della propria responsabilità, dinanzi a Dio e agli uomini, per la mancanza dell’ordine cristiano, che solo vale ad assicurare la pace. A ciò sono rivolti ora gli sforzi della Chiesa.
Ma essa urta qui in una difficoltà particolare, dovuta alla forma delle presenti condizioni sociali: la sua esortazione in favore dell’ordine cristiano, in quanto fattore principale di pacificazione, è al tempo stesso uno stimolo alla giusta concezione della vera libertà. Perché infine l’ordine cristiano, in quanto ordinamento di pace, è essenzialmente ordine di libertà. Esso è il concorso solidale di uomini e di popoli liberi per la progressiva attuazione, in tutti i campi della vita, degli scopi assegnati da Dio all’umanità. È però un fatto doloroso che oggi non si stima o non si possiede più la vera libertà. In queste condizioni la convivenza umana, come ordinamento di pace, è interiormente snervata ed esangue, esteriormente esposta ogni istante a pericoli.
Coloro, per esempio, che nel campo economico o sociale vorrebbero tutto riversare sulla società, anche la direzione e la sicurezza della loro esistenza; o che attendono oggi il loro unico nutrimento spirituale quotidiano, sempre meno da loro stessi, – vale a dire dalle loro proprie convinzioni e conoscenze, – e sempre più, già preparato, dalla stampa, dalla radio, dal cinema, dalla televisione; come potrebbero concepire la vera libertà, come potrebbero stimarla e desiderarla, se non ha più posto nella loro vita?
Essi cioè non sono più che semplici ruote nei diversi organismi sociali; non più uomini liberi, capaci di assumere e di accettare una parte di responsabilità nelle cose pubbliche. Perciò, se oggi gridano : Mai più la guerra!, come sarebbe possibile fidarsi di loro? Non è infatti la loro voce; è la voce anonima del gruppo sociale, nel quale si trovano impegnati.
Questa è la condizione dolorosa, la quale inceppa anche la Chiesa nei suoi sforzi di pacificazione, nei suoi richiami alla consapevolezza della vera libertà umana, elemento indispensabile, secondo la concezione cristiana, dell’ordine sociale, considerato come organizzazione di pace. Invano essa moltiplicherebbe i suoi inviti a uomini privi di quella consapevolezza, ed anche più inutilmente li rivolgerebbe ad una società ridotta a puro automatismo.
Tale è la pur troppo diffusa debolezza di un mondo, che ama di chiamarsi con enfasi «il mondo libero». Esso s’illude o non conosce sé stesso: nella vera libertà non risiede la sua forza. È un nuovo pericolo, che minaccia la pace e che occorre denunziare alla luce dell’ordine sociale cristiano. Di là deriva altresì in non pochi uomini autorevoli del cosiddetto «mondo libero» una avversione contro la Chiesa, contro questa ammonitrice importuna di qualche cosa che non si ha, ma si pretende di avere, e che, per uno strano invertimento di idee, si nega ingiustamente proprio a lei : vogliamo dire la stima e il rispetto della genuina libertà.
Ma l’invito della Chiesa trova anche minor risonanza nel campo opposto. Qui infatti si pretende di essere in possesso della vera libertà, perché la vita sociale non ondeggia sospesa sulla inconsistente chimera dell’individuo autonomo, né rende l’ordine pubblico il più possibile indifferente a valori presentati come assoluti, ma tutto è strettamente legato e diretto alla esistenza e allo sviluppo di una determinata collettività.
Il risultato però del sistema di cui ora parliamo non è stato felice, né è divenuta più facile l’azione della Chiesa, perché qui è anche meno tutelato il vero concetto della libertà e della responsabilità personale. E come potrebbe essere diversamente, mentre Dio non vi tiene il suo posto sovrano, la vita e l’attività del mondo non gravitano intorno a Lui, non hanno in Lui il suo centro? La società non è che una enorme macchina, il cui ordine non è che apparente, perché non è più l’ordine della vita, dello spirito, della libertà, della pace. Come in una macchina, la sua attività si esercita materialmente, distruggitrice della dignità e della libertà umana.
In una tale società il contributo della Chiesa alla pace e la sua esortazione all’ordine vero nella vera libertà si trovano in condizioni assai sfavorevoli. I pretesi valori sociali assoluti possono, tuttavia, entusiasmare una certa gioventù in un momento importante della vita, mentre nell’altro campo non di rado un’altra gioventù, prematuramente delusa per amare esperienze è divenuta scettica, stanca e incapace d’interessarsi alla vita pubblica e sociale.
La pace – come abbiamo detto – non può essere assicurata se Dio non regna nell’ordine dell’universo da Lui stabilito, nella società debitamente organizzata degli Stati, in cui ciascuno di essi attua all’interno l’ordinamento di pace degli uomini liberi e delle loro famiglie, e all’esterno quello dei popoli, di cui la Chiesa, nel suo campo di azione e secondo il suo ufficio, si fa garante. Tale è stato sempre il desiderio di uomini grandi e sapienti, anche fuori di essa, e ultimamente ancora in occasione del Concilio Vaticano (Conc. Vat. Postulata Patrum, de re militari et bello – Coll. Lac. t. 7 n. 9 p. 861-866).
Intanto la Chiesa apporta il suo contributo alla pace destando e stimolando la pratica intelligenza del nodo spirituale del problema; fedele allo spirito del suo divino Fondatore e alla sua missione di carità, essa si studia, secondo le sue possibilità, di offrire i suoi buoni uffici, dovunque vede sorgere una minaccia di conflitto fra i popoli. Questa Sede Apostolica soprattutto non si è mai sottratta, né mai si sottrarrà, a un tale dovere.













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fonte testo: vatican.va