di Giuliano Zoroddu

Papa Pio V, dopo poco più di sei anni di pontificato, tutti spesi per ristabilire la disciplina ecclesiastica, estirpare le eresie e abbattere i nemici del nome cristiano, moriva in Roma il primo maggio del 1572.
Se il suo corpo discendeva nel sepolcro, non altrimenti la fama della sua santità e dei suoi miracoli (leggi Dieci miracoli di San Pio V). Devotissimi alla memoria e alla santità di Pio V e propagatori di questa devozione furono futuri santi canonizzati quali Filippo Neri, Teresa d’Avila, Carlo Borromeo; incliti pontefici come Sisto V, che gli eresse il monumentale splendido sepolcro nella Patriarcale Basilica Liberiana di Santa Maria Maggiore; Cardinali e Prelati di prim’ordine; e altre personalità illustri.
Presto dunque l’Ordine Domenicano, cui il papa alessandrino apparteneva, si pose alla testa delle istanze per la beatificazione (e canonizzazione) di questo suo membro.
Le prime procedure canoniche furono iniziate sotto Sisto V, ma il processo vero e proprio venne istruito sotto Paolo V nel 1616. Su queste basi nel 1625, regnando Urbano VIII, la Sacra Congregazione dei Riti decretò che nell’anniversario della sua morte non si celebrasse più la messa dei morti, ma la messa votiva della Santissima Trinità. La medesima Congregazione nel 1630, vagliate tutte le testimonianze, sentite le opposizioni del Promotore della fede, approvò due dei quattro miracoli presentati.
Il processo canonico proseguì lentamente sotto i pontificati di Innocenzo X, Alessandro VII e Clemente IX, che si interessarono vivamente per il suo buon esito, allo stesso modo dei sovrani di Spagna, Portogallo e Francia e dei Granduchi di Firenze, che a Pio V dovevano peraltro la corona granducale.
La svolta avvenne nel 1670 con l’elezione del padre Giovanni Tommaso de Rocaberti a Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori che si con impareggiabile premura si adoperò perché quanto prima si procedesse alla beatificazione. Così il 15 novembre 1671 la Sacra Congregazione dei Riti, confermando le approvazioni fatte nel 1630, approvava altri due miracoli del Servo di Dio, tra cui la rivelazione fattagli da Dio il 7 ottobre 1571 della vittoria cristiana a Lepanto (leggi Lepanto: “Non le armi, ma Maria del Rosario ci ha fatto vincitori!”).
L’8 marzo del 1672 la medesima Congregazione decretò potersi procedere alla beatificazione del Servo di Dio e alla concessione della messa e ufficio proprio. In base a ciò, il 27 aprile, Clemente X, che allora sedeva sul soglio petrino, spediva il breve “Unigenitus Dei Filius” per il quale concedeva “che il Servo di Dio papa Pio V [fosse] in futuro chiamato col titolo di Beato; che il suo corpo e le sue reliquie [fossero] esposti alla venerazione dei fedeli, senza essere però portate in processione; che le sue immagini fossero ornate di raggi e splendori; che di lui con rito semidoppio, in tutte le chiese tanto secolari, quanto regolari, di ambo i sessi, si reciti l’officio e si celebri la messa di un Confessore Pontefice, ogni anno, secondo le rubriche del Breviario e del Messale Romano, il giorno quinto di maggio, che è il primo giorno non impedito dopo il primo del medesimo mese, giorno in cui rese lo spirito al Creatore”.
Si stabilì di dare esecuzione alle papali disposizioni il giorno primo di maggio, ricorrendo i cento anni dal pio transito del nuovo Beato.
All’uopo furono allestiti solennissimi apparati nella Basilica Vaticana. Sulla facciata pendeva un quadro col nuovo Beato trasportato in cielo dagli Angeli. Un altro quadro fu posto sull’altare della Cattedra: in esso si vedeva il beato Pio V in compagnia di un angelo che gli mostrava la vittoria cristiana di Lepanto. Entrambi erano coperti da un drappo che sarebbe stato tolto solo dopo la lettura del breve di beatificazione.
All’ora convenuta si portarono processionalmente presso l’altare della Cattedra il Clero e Capitolo Vaticano con a capo il Cardinale Arciprete Carlo Barberini, i Cardinali componenti la Sacra Congregazione dei Riti con gli altri membri della stessa, e il Patriarca di Gerusalemme, Egidio Colonna, assistito da due canonici funzionanti come diacono e suddiacono, prescelto a celebrare le cerimonie.
Dopo che tutti ebbero preso posto, accompagnato da monsignor Bernardino Casale, Segretario della Congregazione dei Riti, il Procuratore Generale dei Predicatori, si recava presso il Cardinale Francesco Maria Brancaccio, Prefetto della medesima, a rimettergli il breve pontificio e chiedere il permesso di promulgarlo. Il porporato lo rimandava al Cardinale Arciprete che alfine accordava la “venia” di leggere il documento. Il che fu fatto da un mansionario della Basilica.
Conclusa la lettura del breve, il Patriarca celebrante si alzava dal faldistorio e, con l’assistenza di diacono e suddiacono, portatosi al davanti all’altare, deposta la mitria, intonò il Te Deum. Al canto furono svelate le immagini di cui abbiam detto sopra, tutti inginocchiandosi a venerare quella posta sull’altare. Concluso l’inno ambrosiano, il celebrante canto l’oremus del nuovo beato, quindi, presi gli abiti pontificali, cantò la messa, compimento del sacro rito.
Nel pomeriggio Clemente X si recò egli stesso in Vaticano, dal Quirinale dove risiedeva, per venerare l’immagine del beato Pio V. Parimenti fece Cristina di Svezia e tutta l’Urbe, traboccante di santa allegrezza per gli onori resi a uno dei più illustri suoi Pastori.



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