Dal capolavoro Il Governo di sé stesso. Le grandi leggi psicologiche (saggio di psicologia pratica) di padre Antonino Eymieu questi eccellenti e preziosi consigli per governare la propria mente. Altro che “mindfulness”!
Occorre compiere un passo sgradevole, ma necessario; pensate quindi ai vantaggi che ne risulteranno, alla padronanza che guadagnate così su voi stessi, al vantaggio e alla soddisfazione che ne ricaveranno coloro che vi amano, e che so io. Ma se non riuscite a nutrire simili pensieri senza far sorgere di fianco, per l’associazione dei contrasti, le difficoltà dell’impresa, le mortificazioni dell’amor proprio o dell’istinto, bisogna allontanare, fino all’istante della esecuzione, il ricordo di tal passo: poiché l’idea che ne possedete è, in complesso, contraria all’atto che volete compiere e non potrebbe operare in altro modo, se non inversamente ai vostri propositi. I doveri sgradevoli, se non sappiamo e non possiamo circondarli d’amore, bisogna guardarli alla luce fredda dello spirito per farne la verificazione; bisogna determinarsi ad essi in base a motivi energici, tratti soprattutto dall’ordine generale o trascendente; poi allontanarne il pensiero fino al momento di compierli e, giunta l’ora, gettarsi nell’azione, riflettendo «che solo il primo passo è amaro».
Inversamente, quando si tratta non già di sapere se un atto è da evitarsi, bensì, riconosciuto il dovere e presa la risoluzione, di evitare un’azione, bisogna considerarla solamente sotto i suoi aspetti ripugnanti; e se l’azione è tale che il suo pensiero susciti al contrario in noi attrattive, sollecitando i nostri istinti, bisogna interdirci simile pensiero, perché ci condurrebbe ad alimentare in noi idee conformi all’atto che vogliamo evitare.
Sicché la maniera migliore per evitare alcuni vizi è quella di non pensarci mai, almeno in modo preciso, in particolare, neppure per concepirne orrore. Per premunirsene basta in pratica pensare alle occasioni loro o alle loro conseguenze, o, meglio ancora, alla virtù contraria, se sappiamo farlo con calma e con amore [1].
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Non è necessario, anzi è singolarmente nocivo di smascherare i pensieri che indoviniamo malsani, di dir loro quel che meritano, di entrar con loro in discussione, di stringerli da presso per espellerli. Così si fa il loro tornaconto, non il nostro. Smascherarli, «fissarli in viso», significa trattenerli, farli penetrare nella fantasia, accrescere la loro capacità di possesso in noi, prolungarla con l’abitudine che simile attenzione comincia a creare o con l’associazione di immagini stabilitasi durante la discussione. Un solo metodo è buono: quello che abbiamo indicato, quello che ogni giorno adottiamo in mezzo alla folla, di fronte a ignoti dall’aspetto allarmante: camminiamo, li accostiamo il meno possibile, li rimandiamo con un gesto se si avvicinano, stridiamo il passo.
La differenza tra i saggi e i pazzi, tra i santi e gli scellerati, non sta nel fatto che i santi non siano mai assaliti dalla tentazione, o che i saggi non s’imbattano mai in idee folli: ma nel fatto che non le accolgono. Scegliere le proprie idee, far la cernita fra quelle che bisogna ospitare e soprattutto quelle che bisogna respingere, ecco la grande sapienza.
[1] A. PAYOT (Education de la volonté, Alcan, 1894, p. 214) dice giustamente: «Mentre le insigni conquiste intellettuali sono compiute pensandoci sempre, le insigni conquiste sulla sensibilità son compiute non pensandoci mai».
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