Si avvicina l’anniversario della pubblicazione del motu proprio Traditionis Custodes su e contro la celebrazione del rito romano volgarmente detto antico.

Gli anniversari vanno festeggiati e l’autore del documento ha pensato di farlo con grande anticipo.

È di oggi infatti, giorno sacro al Papato Romano, l’ultima lettera apostolica di Francesco “Desiderio desideravi” sulla formazione liturgica del Popolo di Dio, preparata dalle stoccate maggioline contro “il formalismo liturgico” e i “conservatori della tradizione” (vedi qui) e dalle quelle più recenti contro i pizzi nonneschi,

Ne estraiamo due brani. Eventualmente ritorneremo sugli altri consueti cavalli di battaglia del modernismo liturgico.

Il primo brano riguarda il rifiuto della liturgia riformata.

«Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen gentium. Per questo – come ho spiegato nella lettera inviata a tutti i Vescovi – ho sentito il dovere di affermare che “i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano” (Motu Proprio Traditionis custodes, art. 1)».

Il secondo è un non possumus di valore quasi iussivo, come evocativamente derivante dal potere delle chiavi.

«NON POSSIAMO tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. I santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II approvando i libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II hanno garantito la fedeltà della riforma al Concilio. Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, INTENDO che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano».

Parole che non lasciano luogo a interpretazioni cerchiobottistiche, ad ermeneutiche di sorta.

La liturgia montiniana e il Vaticano II sono inscindibilmente uniti – parola di Francesco! – e non si devono mettere in alcun modo in discussione. Non si può tenere l’uno e rigettare o tentare di eludere l’altra.

Né tantomeno si può da un lato accettare il Vaticano II e la sua liturgia e farsi paladini dei riti antecedenti le riforme. Questi negano quelli e quelli questi.

I riti antecedenti le riforme sono l’espressione delle fede di Pietro, hanno il sigillo infallibile di Pietro; i riti riformati, al di là l’apparenza, sono un insulto a Pietro, così come lo sono gli errori conciliari.

Scelgano gli oppositori dell’attuale corso modernistico della compagine ecclesiale da che parte stare. Se con Pietro e con la Tradizione della Chiesa Romana o con chi, cercando di impiegare le chiavi contro le Chiavi, trascina a riti bastardi e all’apostasia.

Noi per parte nostra gridiamo il nostro non possumus, non volumus, non debemus contro il concilio dell’ecumenismo antiromano e contro la messa di Paolo VI, negazione della messa di san Pietro.


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fonte immagine : acistampa.com