di Piergiorgio Seveso
Un ragazzo in cerca d’autore.
Si attaglia perfettamente questa canzonetta che i modernisti cantano (cantavano) durante le loro ritualità all’attuale ministro degli Esteri italico Luigi di Maio. Entrato per curioso gioco del destino nella “camera bassa piemontese” nel 2013, ne divenne per incanto giovanissimo vicepresidente. Ministro del lavoro nel 2018 (secondo l’antico adagio della politica italiana per cui chi meno è addentro una materia, è giusto che l’amministri) nel governo giallo-verde che tante calde lagrime di speranza fece versare al tradizionalita medio di lingua italiana, divenne poi Ministro degli esteri nel governo giallo-rosso ed ora nel governo multicolore tecnocratico a guida draghiana.
Chi ha un filo di memoria (che in italia dura di solito da uno a tre mesi) se lo ricorderà nell’inverno 2018-2019 quando cantilenava con l’allora suo degno compare Salvini che il vecchio parlamento europeo sarebbe stato spazzato via da loro (i nuovi sovranisti). Anche lì c’era di mezzo un apriscatole, magari un po’ più imponente ma pur sempre un apriscatole. Si sa come sia andata a finire: l’apriscatole serviva solo – con le migliori intenzioni, si intende – per fare un piccolo foro tramite il quale infilarsi nella scatola, tappando poi con la carta dell’ipocrisia e della più sfrontata sicumera il foro d’entrata. Oggi, completando la parabola iniziata, Gigino si riscopre anonimo centrista, raggiungendo il tristo olimpo dei Lupi, degli Alfano, dei Fitto, dei Calenda e dei Tabacci: tutti felicemente popolari, democratici, rivolti al ceto medio e all’elettorato moderato (il famoso uomo nero delle favole antiche).
Gigino continua la sua avventura perchè, si sa, le reverenze dei lacchè e dei gazzettieri allettano e addomesticano. La democrazia corrompe, la democrazia rappresentativa corrompe sommamente, Noi invece sorrridiamo felici a tanta meschinità dalle nostre stamberghe.
Essere presidente di Radio Spada.
Questa mansione (che ormai detengo da cinque anni) ha certamente qualche onere da un punto di vista tecnico-giuridico-rappresentativo ma garantisce anche un certo distacco dalle polemiche del cosiddetto mondo tradizionalista. Non sono obbligato a intervenire su tutto, non sono tenuto a dibattere su tutto, non sono tenuto a polemizzare su tutto. Osservo, annoto, valuto, rifletto e poi decido: a volte ignoro, a volte prendo in considerazione e miglioro, a volte ribatto (o direttamente o indirettamente con l’arma del sarcasmo o dell’ironia), il più delle volte vado a dormire.
Radio Spada non ha alcuna missione straordinaria, non è cosa che travalichi i giusti limiti dell’azione cattolica integrale nel web e nell’editoria, non siamo salvatori né delle patrie, né della Chiesa. Siamo solo quello che dovrebbe essere un sito di informazione e cultura cattolica nel XXI secolo se la Chiesa fosse in ordine e non privata della sua autorità (o almeno, come sostengono taluni, del suo magistero quotidiano).
Tra le cose che più volentieri ignoro ci sono:
– le polemiche bottegaie perchè facciamo ombra al guru e al santone di turno (sia nella versione di Brancaleone che in quella del gran Veglio della Montagna)
– le polemiche ignoranti che spesso ignorano, manomettono e occultano l’oggetto della discussione per la rapidità del web o per blandire e titillare ascoltatori supinamente ignoranti o prevenuti o con la bava alla bocca
– le polemiche allucinatorie che ripetono come un mantra frammenti di verità, mescolandole con aberrazioni apicali, unilateralismi mentali ed esasperazioni, forse facili a credersi su strapuntini di sagrati ma non in pubblici agoni.
Questa discrezionalità nell’ignorare e nel lasciar cadere è una delle caratteristiche che più apprezzo della mia presidenza, vera scuola di vita anche per un guelfo nero sparafucile come me.
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Foto (tagliata) di Tabitha Mort da Pexels