Volentieri presentiamo ai lettori questo importante estratto del V volume della Storia universale della Chiesa scritta dal Card. Hergenröther – L’apice della potenza ecclesiastica-politica dei Papi, le Crociate, la Scolastica. Il testo tocca, principalmente con uno sguardo storico riferito al periodo delle lotte medievali, il rilevante tema dei limiti della podestà pontificia, spesso trattato in modo confuso anche tra i cattolici. Buona lettura!

[…] Ma quantunque somma fosse la pienezza della podestà pontificia, non era però in nessun conto né sconfinata né arbitraria. Essa era contenuta nel dovere dalla legge divina anzitutto, come più volte ebbero a dichiarare Alessandro III e Innocenzo III, indi dalle antiche leggi della Chiesa, cui la Sede apostolica doveva mantenere finché non fosse necessario il farvi mutamento per qualche forte ragione; e ancora dall’opinione pubblica, la quale sempre era da rispettarsi nella lotta, e infine dal sentimento del proprio dovere e del terribile rendiconto[i]. Il Papa era in verità, secondo Giovanni di Salisbury, «servo dei servi di Dio, tutto assorto nelle fatiche e nel lavoro, e appunto perché molto egli poteva, pochissimo gli era lecito»[ii]. Egli doveva attendere più tosto a ciò che fosse più spediente alla Chiesa, che non a ciò che fosse lecito a sé[iii]; doveva congiungere dolcezza e rigore, misericordia e giustizia, rispettare i diritti vigenti, conservare la propria reputazione e studiarsi a mantenere la  dignità sua di padre della cristianità. E che i Papi in verità fossero più che mai lontani dal credersi liberi da ogni vincolo e assoluti, ne fanno prova le molte loro dichiarazioni, e il rispetto che avevano allo spirito e alle usanze così della Chiesa, come dei popoli cristiani, e la buona volontà onde ascoltavano le franche rimostranze, benché spesso di biasimo, loro fatte. Così Pasquale II con umiltà accettò nel 1111 i rimproveri mossigli; Eugenio III gli ammonimenti di s. Bernardo, Adriano IV quelli di Giovanni da Salisbury, Innocenzo IV l’animoso memoriale del vescovo Roberto di Lincoln[iv]. Nel suo grado il Papa era obbligato a congiungere con savio accordo l’equità naturale ad una rigorosa giustizia; il giudice doveva rammentarsi che ad un tempo egli era padre e vicario del Salvatore del mondo. E conforme a ciò Innocenzo III diceva: Per questo ha Iddio posto nell’apostolica Sede la pienezza del potere, acciocché dopo maturo esame delle circostanze, delle persone, delle cose, dei tempi e luoghi diversi ora usasse rigore, ora anteponesse la dolcezza, e quando lasciasse libero il corso alla giustizia, quando facesse grazie, secondo che stimasse meglio, conforme alla diversità delle cause, procedere in diversa forma[v]. […]

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[i] Limiti del ius divinum: Alex. III, C. 4 de usur. V, 19; Innoc. III, c. 13 de restit. spol. II, 13; 1. XV, Ep. 617 ad reg. Franc.; Ioann. Saresb., Ep. 198 ad Alex. III. Limit; dai canoni: Paschal. II, ap. Mansi l. c. XX, 1099; Migne l. c. CLXIII, ep. 225, p. 24; Innoc. M, Sermo in assumpt. Opinione pubblica: Innoc. III, L. IX, ep. 74, p. 893. Peso della dignità pontificia: Alex. IV, Const. Romanus Pontifex, dell’anno 1256.

[ii] Ioann. Saresb., Polycr. VIII, 23, p. 811, 813: Si in summa potentia minima licentia est, profecto qui legibus praeest, nulli subjicitur, sed ab illicitis arctius coarctatur. Ergo et Rom. Pont. minimum, eo ipso quod plurimum, licet.

[iii] Innoc. III, L. VI, Ep. 16 (Migne l. c. CCXV, 23): Sic Apost. Sedes auctoritatem propriam moderatur, ut plus quod expedit, quam quod licet attendens, potentiam suam publicae utilitati conformet.

[iv] Ioann. Saresb., Polycr. VI, 24, p. 623-625. Robert. Lincoln., Ep. 113, 114.

[v] Innoc. III, L. VII, Ep. 119; cf. l. VIII, Ep. 137; l. XVI, Ep. 74.

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