di Piergiorgio Seveso
Viva Oudinot! Viva Pio IX!
La Repubblica romana del 1848-49 è stato il più grande rave party dell’Ottocento, un’anticipazione di tutti i mali politici italiani futuri e futuribili, un tentato colpo di pugnale inferto ad uno dei diritti nativi del Papato romano. Ma immagino le facce di Manara e Mameli, Morosini e Dandolo, Ugo Bassi e Ciceruacchio al sapere che avrebbero giustamente perso la vita per avere un giorno, gender, Schwa, inclusività e resilienza.
Processione e Ripazione: il lavoro del Sabato
Qualcuno di voi, lo so, lo sento, lo tocco con mano, iniziando a leggere starà pensando: “Ecco, ora Seveso con la sua feccia radiospadista inizia a gigioneggiare sul successo della processione”. Tutt’altro invece, cari malpensanti, noi non abbiamo alcun merito. Queste benemerite iniziative sorgono dal basso, da comitati di devoti locali, dal fervoroso spirito di ardimentosi quanto solitari zelanti.
Noi semmai raccogliamo amplifichiamo, chiamiamo a raccolta, facciamo grancassa, tediando e/o stimolando lettori ed amici. Siamo cembali e sistri pieni di ammaccature ma facciamo ancora suonare la nostra musica, con scompaginante inopportunità,
Ed il merito è ben lungi dall’essere generale ma va ascritto anzitutto a quei membri della redazione di Radio Spada che vi hanno lavorato con più intensità e ancora di più alla cara, buona gente (accompagnata e guidata dalla disponibilità di alcuni sacerdoti) che si è scomodata in un pomeriggio di gran solleone per riparare con carità, con buone disposizioni, con penitenza ai delitti altrui.
Ricostruire, ricucire, rammendare, offrire alla Santissima Trinità i quattro cenci putridi della propria vita per riparare alle follie, alle studipidità, alle aberrazioni di tanti fratelli traviti, ingannati, illusi da una propaganda ora consolatoria, ora virulenta.
Il merito è quindi di quel poco che resta del popolo cristiano che ha scelto di riparare in pubblico a pubblici errori. I modernisti forse vi dicevano: fate silenzio, non provocate. Alcuni tradizionalisti vi urlavano con voce di formica: state a casa, non mescolatevi, non aggregatevi, non accettare caramelle dagli sconosciuti, sprangate l’uscio e semmai pregate privatamente.
Invece nel lavoro del sabato laicale avete ritrovato quell’unità visibile di intenti (almeno puntuale e provvisoria) di fronte al cuore Regale di Cristo: spetterà poi alla domenica rifotografare quella divisione, quella diaspora, quell’improvvida ma altrettanto inevitabile dispersione, frutto della perdita della Fede (o della sparizione) dei pastori legittimi, tramutatisi in domini canes muti.
Non voglio abusare di un certo linguaggio trionfalistoco da bollettini parrocchiali ma si è trattato di un pomeriggio di Grazia e di grazie.
Andare, camminare, lavorare
Camminare insieme può essere talvolta necessario (per citare un mio vecchio articolo su “Il naufragio del Poseidon”), talvolta sviante o attardante (specie se non si ha una meta), talvolta dannoso se ad esempio è Lucignolo che vi porta nel paese dei balocchi, talvolta aberrante se si vuole costruire la maritaniana città dell’Uomo.
Però anche roteare su se stessi, oltre che esssere fonte di capogiri e allucinazioni, risulta – se possibile – ancora più devastante e irrazionale.
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