Un capitolo dell’opera De’ Concilii Ecumenici e Del Concilio Vaticano (Roma, 1869) scritta dal valente teologo calabrese Luigi Vaccari, benedettino cassinese, allora Parroco della Patriarcale Basilica Ostiense, e poi Vescovo di Sinope in partibus infidelium e coadiutore del Vescovo di Nicotera e Tropea (1871-1887).
Tra le principali ragioni che militano a pro dell’infallibilità dommatica del Papa, due, se non andiamo errati, sono le cardinali, le quali si ricavano dal primato del medesimo Pontefice, e dall’ infallibilità della stessa Chiesa.
E cominciando a dire della prima, ricorderemo appena che il primato del Papa è una dommatica verità nel duplice deposito della rivelazione consegnata, e mai sempre dalla Chiesa sparsa per tutta terra e riunita in Concilio solennemente proclamata; sicché la sinodo Fiorentina, ove davansi il bacio di concordia i Latini coi Greci, decretando codesta verità, faceva eco unisona ai secoli precedenti.
È risaputo che questo primato, non ostante le subdole cavillazioni degli eterodossi, fu inteso sempre non solo per la primazia d’onore, di un primo cioè tra gli eguali, ma di un monarca assoluto e indipendente. Sul proposito uno tra i più dotti Gesuiti di questo secolo (1), dopo avere stabilito che l’autorità è essenzialmente una; una monarchicamente se risiede nell’unità fisica, ed una poliarchicamente se posasse, come alcuni erroneamente pretendono, nella morale unità del consenso, e che quindi l’autorità della Chiesa al pari di ogni altra autorità è essenzialmente una, soggiunge (2): «Non pretendiamo qui tacciare teologicamente l’opinione gallicana, ma godiamo nel considerare che la divisione da noi stabilita delle forme di governo a rigor di filosofia venga qui a giustificare la riprovazione che soffrirono più volte dalla Chiesa le famose proposizioni del 1682. E i loro difensori non comprendeano che logicamente la Chiesa presso di loro diveniva repubblica, e però non furono anátema e ci sono fratelli, ben cari fratelli; ma la loro conseguenza colà andrebbe a parare ; ed ecco perché nella vigna del vero non potea mettere radice, eradicabitur. Onore al generoso Episcopato francese che con esempio sì raro consola oggi la Chiesa, rinunziando col sacrifizio di ogni puntiglio l’eredità del 1682 per rientrare nei pieni diritti della universale libertà cristiana». Così il dotto scrittore; né potea, essere altrimenti in una nazione che conta gli Irenei, gl’Ilari, i Fénélon, in una nazione che ha dato al mondo tutto esempi prodigiosi di carità cristiana, chiamando fin il debol sesso alla magnanima opra dell’apostolato.
Primato del Papa dunque ed unità della Chiesa sono idee correlative. Mirabile unità che abbraccia il cielo e la terra, la Chiesa trionfante e la militante, mirabile unità della Chiesa militante, che nel suo ampio concetto abbraccia tutti i tempi; e la società patriarcale e la mosaica furono la figura, la promessa e l’inizio della Chiesa di Gesù Cristo. Vasta unità; ché questa Chiesa, abbattendo ogni macerie, unisce Giudei, Barbari, Gentili, Greci e Romani in un medesimo ovile e sotto al reggimento di un solo pastore (3). In questa guisa dileguandosi le odiose caste, tutti come membri mistici stringonsi nel corpo di Gesù Cristo (4). Mirabile unità! un solo Dio Padre di tutti, ed una sola fede (5); un solo Dio principio ed obbietto della stessa fede; la fede, principale movente dello spirito; il battesimo, unico mezzo di congiunzione con Gesù Cristo e tutti gli altri sacramenti mezzi di perfezionamento di cotesta unione a seconda delle circostanze e dei diversi stati dell’uomo cristiano. Ma tutti questi e somiglianti mezzi sono in mano dei successori degli Apostoli , quali sono stati posti per l’unità della fede (6).
Quindi codesta unità della Chiesa non è al pari di quella, che si rinviene nelle società politiche, esteriore e visibile, ma è unità di mente e di cuore, di fede e di carità. E però il grande s. Ambrogio (7) definì la Chiesa, per una congregazione, che forma un corpo connesso e compatto nell’unità di fede e di carità.
Mirabile economia di questa unità! I fedeli sono come i raggi di cerchi concentrici, vo’ dire delle semplici pievi che si concentrano immediatamente nei loro pievani. Questi poi sono raggi di cerchi maggiori, dico di diocesi, che in certa guisa si unificano nei loro Vescovi, i quali infine s’impernano, dirò così, nel sommo centro della Chiesa cattolica, cioè nel Pastore dei Pastori, nel Vescovo dei Vescovi.
Adunque l’ultimo anello di cotesta catena indissolubile sta nelle mani del Pontefice sommo. E però, il suo potere deve essere non pure sommo, ma anche infallibile; altrimenti non potrebbe egli conseguire quella perfetta unità di mente e di cuore, che Cristo esige dai suoi fedeli. Il che si fa ancora più chiaro, se si rifletta che l’unità della Chiesa, secondo che abbiam dello, consiste principalmente nell’unità di fede. E niuno può negare che a conservar efficacemente l’unità di fede nella Chiesa si addimandi una autorità non soggetta ad errore, altrimenti la causa non sarebbe più proporzionata a produrre il suo effetto. Ora il Pontefice romano, del che nessuno dubita, ha il diritto e dovere di tutelare l’unità della fede, la sua autorità dunque deve essere immune da ogni errore.
Queste idee non poteano sfuggire alla mente si perspicace di Bossuet, che dice così (8): «Il Figliuolo di Dio avendo stabilito che la sua Chiesa fosse una e solidamente basata sull’unità, ha stabilito ed instituito il primato di s. Pietro per sorreggerla e cementarla; e per questo noi riconosciamo questo medesimo primato nei successori del Principe degli Apostoli, ai quali si deve per questa ragione la sommessione ed obbedienza che í santi Concilii e i Santi Padri hanno sempre insegnato a tutti i fedeli».
E questi cattolici principi sconfessava Monsignor Maret, a cui piacque al certo, non già ispirato dal Paracleto, ma da quel vento che raggirò altra volta gli aulici ecclesiastici, diseppellire viete teoriche già spente, giudicate, anzi Lazzari quatriduani, e di cui in questa stagione lo stesso Bossuet redivivo, ed i suoi più fervidi seguaci ne proverebbero sazietà. Se la Chiesa poggia sulla divina rivelazione, questa senza dubbio non potrebbe né conservarsi, né trasmettersi senza un magistero visibile, infallibile e permanente! Ma dove si trova questo magistero? La risposta è concorde: nel Vicario di Gesù Cristo, nel Successore di S. Pietro, nel Capo visibile della Chiesa, nel Romano Pontefice. Troppo tardi e fuori stagione l’illustrissimo Maret, inviluppando. le sue teorie in mille ambagi, come il filugello nel bozzolo, tenterebbe tramutare la divina costituzione della Chiesa, e da monarchica, siccome Gesù Cristo l’ha stabilita, renderla pura aristocratica, innestandovi eziandio l’elemento democratico!
Il Pontefice Romano non è un presidente di repubblica rossa, o nera che sia ad triennium, ovvero ad nutum dei capricci dei tribuni della plebe, né per mandalo revocabile, e che si possa allargare o stringere a talento delle volubili popolazioni; ma, il torno a dire, è Vicario di Gesù Cristo, e successore di S. Pietro, e governa di propria autorità e per giure divino la Chiesa Cattolica.
Nondimeno questa divina Monarchia non esclude né punto né poco il potere che hanno i successori degli Apostoli, i Vescovi cioè della Chiesa Cattolica, sia che lo ricevano immediatamente da Gesù Cristo, o mediatamente per mezzo del suo Vicario in terra.
Mirabile monarchia, la sola la quale non può degenerare in assolutismo, o molto meno in dispotismo o tirannide! Conciossiaché è temperata dalle leggi fondamentali stabilite non già dagli uomini, ma dallo stesso Gesù Cristo, e però inalterabili. E tra queste leggi, cardinale è quella che stabilisce Pietro e i suoi legittimi successori, cioè i Romani Pontefici, a capi della Chiesa, e gli Apostoli, ed i Vescovi di loro eredi, a principi di lei incentrati nella prima cattedra.
In Pietro dunque, e nei suoi successori si rinviene l’infallibilità, e l’Episcopato ne partecipa allorché unisce il proprio sentimento a quello di Colui che disse e ripete ad ogni ora per bocca dei suoi successori: È sembrato a Noi e allo Spirito Santo.
(1) Taparelli: Saggio teorico di diritto naturale vol. 2. N. 1430.
(2). Nota 6.
(3) S. Giov. II.
(4) Rom. 12, 5.
(5) Efesi. 4.
(6) Efesi. 4, 11 13.
(7) Lib. III. degli uffiz. cap. 3.
(8) Primat. del R. P. Art. 21.


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fonte immagine beweb.chiesacattolica.it
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