Bergoglio malato (anzi sta benissimo)
Chi si appresta a leggere questa noticina della Strobosfera potrebbe pensare che io mi accodi alla canea dei vaticinatori sulla crisi sanitaria e sulla fine del “pontificato” bergogliano.
Per nulla. Sono anni che incontro gente che mi bisbiglia all’orecchio che “da fonti certe” l’argentino abbia i giorni contati, pochi mesi di vita, la gotta, la febbre terzana, la nefrite e il mal francese.
Nel frattempo Bergoglio con un “regno” che si avvicina a grandi passi (in carrozzina) ai dieci anni (San Pio X ne regnò undici), sta completando un percorso di riforme “modernistiche” a tutto tondo che non risparmia nulla e nessuno, riempito il “sacro collegio” di eminenti nullità e fedeli seguaci, insediato altri “gangsters” su cattedre episcopali per anni e anni a venire, riformato e rivoltato ordini religiosi e “movimenti ecclesiali” come calzini.
L’ultima visita in Canadà, con ennesima e rovinosa richiesta di perdono per danni (o immaginari o di cui la Chiesa non ha alcuna responsabilità) e la futura visita ecumenica in Kazakistan dimostrano l’intensa operatività di questo “Pontificato” che ha già lasciato danni secolari sul terreno.
Beninteso, il “domani appartiene a Noi” (ccme si canta con Fede e involontario umorismo nei ritrovi tradizionalisti underground) ma l’OGGI appartiene a Lui.
Non moriremo conservatori
Giustamente una volta si diceva “non moriremo democristiani”, salvo beninteso diventarlo alla prima svoltata, appena girato l’angolo.
Interesse, codardia, calcoli, pusillanimità, autoconvinzione di essere indispensabili in politica rendono democristiani anche i più ferrei cattolici integrali, i tradizionalisti più spigolosi: ci si addormenta con Donoso Cortes, ci si sveglia con don Sturzo (magari quello del 1953) o con De Gasperi (magari Tambronizzato).
Serve solo una spolveratina di bene comune, un panetto di realismo politico, la saggezza del “buon padre di famiglia”, una giacca ben stirata e una cravatta (da indossare malgrado le ”scomuniche” di Sanchez) ed in politica si sente incoercibile il richiamo del centro, del Zentrum maledetto ed eterno che attira come un pozzo con la propria Luna calata nelle profondità.
Ma so bene che voi che mi leggete, cari lettori, siete adamantini e a prova di bomba da questo punto di vista e allora mi permetto di spostare un po’ avanti il limes di queste mie considerazioni.
“Non moriremo conservatori”. Già, perchè il problema è ulteriore: niente ecclesiologicamente e politicamente mi ripugna più del conservatore inveterato, del cultore calcolato e “ideologico” del giusto mezzo (che beninteso non è affatto il giusto mezzo ma è il mezzo giusto per star comodi).
Ecclesiologia e politica in questo sono magnificamente e drammaticamente speculari: il “conservatore” frena i propositi, pone paletti, addolcisce i termini, stila l’elenco delle eccezioni, conserva un po’ di macerie della democrazia e della rivoluzione agli angoli del campo di Dio, argina, convoglia e alla fine pone la legge; tra il restauratore integrale e il rivoluzionario demo-modernista Lui ha la posizione migliore, più credibile, più efficace, più realizzabile, più sensata.
Anni e anni di vita nel nostro mondo me ne hanno fatti conoscere tanti, tutti diversi e tutti disperatamente eguali (anche nelle diverse fasce anagrafiche che in fondo poco contano), tutti pregni di… (mi perdonerete il termine postmoderno) di un boomerismo inscalfibile.
Non stiamo parlando dei prudenti o dei ponderati che di volta in volta scelgono mezzi e modi migliori per raggiungere un buon fine ma di un habitus mentale ed ideologico che è stato ed è tabe senile di molto dell’agire “cattolico tradizionalista”, paradossalmente vincente nella sua stasi centrista.
Infatti gli spaccamondo, gli scamiciati, i passionali, gli entusiasti dalla giuste posizioni talvolta eccedono, debordano, esagerano (non è una regola generale ma naturale esposizione ad un rischio necessario) e, come ancora più spesso accade, esauriscono la loro azione ed il loro impegno come le falene, in una fiammata.
Qui, come lo sciacallo, come la iena ridens, come l’astuto Tiresia di fronte ai cadaveri di Eteocle e Polinice, interviene il ben vivo conservatore a perorare la giustezza della propria assennata moderazione, ricevendo quattro soldi di applausi dalla dabbenaggine di gente dabbene.
A seguire cena al ristorante (o. se va meglio, a Palazzo) e Te Deum con qualche “cardinale” in cappa o prelati in carta da zucchero.
No, grazie alla Divina benevolenza, non siamo come Voi: non moriremo “conservatori”.
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Fonte immagine: Pixabay (free use)