di Giuliano Zoroddu
Lorenzo Rocci è un nome che generazioni di studenti italiani hanno letto sul frontespizio del loro Vocabolario di Greco, ma pochi alla fin fine sono andati a scoprire chi fosse il raccoglitore di quelle migliaia di parole greche e il loro toscanizzante traduttore. Per quasi tutti Rocci era il vocabolario soltanto. L’uomo quasi era scomparso. Solo recentemente alcuni studiosi hanno presentato con dovizia di particolari la sua figura di uomo, di studioso e di sacerdote. Sì, di sacerdote, perché Lorenzo Rocci fu prete e prete gesuita.
Nacque il Nostro a Fara in Sabina l’11 settembre 1864. In un primo tempo frequentò il Seminario di Anagni, per poi, nel 1880, entrare nella Compagnia di Gesù. Nel 1890 si laurea in Lettere. Presidente della commissione è Giosuè Carducci, che espresse tutta la sua ammirazione al neolaureato: “Lei non solo ha fatto bene, ma molto bene!“. Annota il Rocci nel suo diario: “Su nove candidati, passiamo solo due a primo esame“.
Gesuita da dodici anni, nel 1892, ottiene il permesso di riceve gli ordini maggiori: il 24 luglio riceve il suddiaconato; il 25 il diaconato; il 26 infine il presbiterato. Dall’anno precedente, esercitava inoltre l’insegnamento presso il Nobile Collegio Mondragone di Frascati, di cui poi sarà Preside dal 1939 al 1946. La docenza del Rocci fu sempre caratterizzata dalla ricerca di impartire agli allievi un insegnamento di qualità e dall’amore verso i medesimi allievi, oltre i banchi di scuola. Commoventi a questo proposito le pagine del suo diario in cui si racconta degli ex alunni coinvolti nella prima guerra mondiale. Agli studenti sono anche dedicate delle simpatiche fiabe latine alla maniera di Fedro, che il Rocci scrisse durante in periodo di “convalescenza” a motivo di certi mal di testa dovuti alla compilazione dell’opus magnum.
Nel 1920, anno in cui si trasferì a Roma, infatti aveva avuto inizio l’imponente lavoro di compilazione del Vocabolario Greco-Italiano che avrebbe la luce nel 1939. L’opera fu presentata a Pio XII, recentemente eletto, al Re Vittorio Emanuele III e a Benito Mussolini, i quali tutti si congratularono per la realizzazione del pregevolissimo volume.
Il Pontefice indirizzò al sacerdote un messaggio autografo.
“Altamente accetto – scriveva Pio XII – Ci riuscì l’omaggio, che con filiale devozione Ci volesti presentare, del tuo ampio Vocabolario Greco-Italiano … in quanto rappresenta il lavoro di gran parte della tua vita, tutta dedicata alla santa missione della cristiana educazione della gioventù … E veramente il Il tuo lavoro, diletto Figlio, benché attissimo per gli scolari, non è un semplice manuale scolastico, ma si presenta con tali caratteri di ampiezza e di dottrina, anche nuova e recondita, da spiccare tra quanti simili si son pubblicati finora in Italia, anzi da vincerli facilmente … Provammo poi particolare soddisfazione e compiacenza nel vedere con quanta cura e pienezza vi siano registrare le voci e i costrutti proprii dei nostri Libri sacri non solo, ma anche di tutti gli autori ecclesiastici che hanno segnato una fase tanto importante nella vita e nell’evoluzione della lingua greca. Così anche gli studiosi italiani della Sacra Teologia e delle altre facoltà ecclesiastiche troveranno d’ora innanzi nel tuo libro uno strumento adatto ai loro studi, uguale, anzi per certi versi superiore, a quelli che per il passato dovevano cercare negli stranieri“.
Gli accenti “patriottici” del finale del chirografo li si ritrovano pure nell’incontro fra il padre Rocci e il Duce, al quale il professore gesuita presentò il suo Vocabolario con queste parole: “Eccellenza, finalmente oggi questo vocabolario di greco potrà degnamente sostituire quelli pubblicati in inglese e in tedesco“.
Il successo fu grande. Per tale ragione il Preposito Generale della Compagnia di Gesù, padre Włodzimierz Ledóchowski, ammise l’ormai anziano religioso alla professione dei quattro voti. Fino ad allora infatti era stato coadiutore spirituale. La cerimonia si svolse il 10 marzo 1940.
Il lavoro sul Vocabolario proseguì fino al 1943, anno in cui fu data alle stampe la versione definitiva, che sarà ristampata tale e quale fino al 2011, anno in cui lo storico tomo fu edito in nuove forme. Onde si può ben ravvisare nel Rocci, socio dell’Accademia dell’Arcadia, autore di una Grammatica Greca e di una Sintassi Latina, traduttore di Omero e Sofocle, agiografo e poeta, una certa qual riproposizione otto-novecentesca di quegli umanisti che tanto illustrarono la Chiesa e la res publica litterarum nel Quattrocento e nel Cinquecento sulla scia del canonico Francesco Petrarca.
Questa tuttavia non fu l’unica sua occupazione. Ve n’era infatti un’altra, ben superiore: il ministero sacerdotale, la confessione, cioè, degli uomini al Gesù di Roma e degli universitari nella Cappellania di Sant’Ivo alla Sapienza.
Sempre più gravato dalle malattie, ebbe la grazia di potere celebrare la messa per l’Assunta nel 1949. Fu l’ultima. La morte infatti colse il dotto gesuita il 14 agosto dell’anno santo 1950, ormai immobilizzato sul suo letto, circondato dalla stima universale dei grandi come degli umili.
“Il padre, il maestro, l’apostolo, non è più tra noi – scrisse Il Messaggero nel necrologio – Iddio lo ha chiamato a ricevere il premio dei giusti. Gli amici, i discepoli, gli ammiratori e specialmente la scuola italiana, che tanto a lui deve, si chinino davanti alla sua tomba“.
E noi ci inchiniamo.
Bibliografia consigliata:
Eleonora Mazzotti, Lorenzo Rocci. Il padre, il maestro, l’apostolo, Società Editrice Dante Alighieri, Roma, 2018.
Vittorio Capuzza, Lorenzo Rocci SJ. Diario (anni 1880-1933), Bibliotheca Edizioni, Roma, 2021.


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