di Piergiorgio Seveso

Urne e sogni infranti

Conclusosi in fretta e fortunatamente il funesto gloglottare dei tacchini nella competizione elettorale delle terre italofone, ci si aspetterebbe dalla Strobosfera un’analisi o perlomeno un commento.

Non lo faremo in senso proprio perché tecnicamente siete già ampiamente circondati da universale pletora di volenterosi commentatori ma ci permetterete di constatare il fatto che molti sogni, molte chimeriche ambizioni si siano infrante sul gelido muro di un corpo elettorale ora ributtante, ora immemore, ora privo di nerbo e volontà.

La poltiglia sociale chiamata alle urne consegna queste terre ad un modesto governo “conservatore” perfettamente allineato alle logiche europeiste, atlantiste, probabilmente tecnocratiche del precedente “dragonico” e senza nemmeno quelle “amene” note di folclore della pornocrazia e del dilettantismo berlusconiano.

I defensor Fidei in trentaduesimo, i baciatori di rosari a sbafo, i velleitari di una “nuova Europa” che tanta visibilità e tanto batter di cuori e inumidir di ciglia avevano prodotto nella scorsa legislatura appaiono ridimensionati e quasi compressi in un angolo.

Giusto premio per tanta improntitudine, sicumera e lombarda tonteria prima e per tanta ondivago e trasformistico “senso dello stato” poi.

Se quindi l’ex capitan Salvini paga il fio di tante volubili trasformazioni, appare però evidente che il “fronte alternativo” che in due anni e mezzo di “dittatura sanitaria” mondiale e strapaesana non è riuscito a creare nulla di unitario, di significativo, di incisivo, di realmente pericoloso per i Mangiafuoco incappucciati delle segrete stanze.

La buona volontà e la generosità di taluni ha dovuto far i conti coi velleitarismi, i personalismi alllucinatori di tanti, di troppi primattori e capocomici ma anche con la memoria a cortissimo raggio dell’orribile “popolo sovrano”, come sempre dedito allo schiamazzo, alla momentanea mormorazione, alla cagnara sentimentale ma assai poco concreto e continuativo.

VI prego e ve lo dico col cuore: lasciate perdere e ve lo dice uno che ha guadagnato sul campo i galloni dell’esperienza nel micropartitismo e della “politica come testimonianza”, lasciate perdere, lasciate cadere nei pitali del nulla certi proclami roboanti e gli “abbiamoiniziatounpercorso”, i “simparadallesconfitte”.

Dalle sconfitte non si impara nulla, al massimo si impara a starsene a casa la sera.

Ora certamente, nel continuo pendolarismo di un certo modus agendi dei “nostri” commentatori, vedremo nuovi allineamenti meloniani e il continuo proiettare di sogni, elucubrazioni da scrittoio, fini analisi politiche alla bagnacauda o alla “polenta e osei” sull’azioni del nuovo esecutivo.

Inutile dire come l’entrismo (specie se rimane negli androni e nelle anticamere insieme agli ombrelli fradici e ai cappotti) ben prima che spregevole, risulti inutile.

Entrare nella stanza dei balocchi”: un elogio di Don Nitoglia

Non tragga in inganno il precedente passaggio della Strobosfera: se giocoforza dobbiamo occuparci delle questioni di attualità e di interesse generale, lo facciamo come se ci prendessimo una vacanza, come se ci allontanassimo brevemente dai luoghi abitualmente vissuti e frequentati per poi ritornarci precipitosamente.

Dove? Nelle piccole e scalcinate periferie ecclesiali dell’integrismo (che in una sorta di inevitabile riorientamento gestaltico diventano il centro irradiante di Tutto), per inseguire ombre nella notte, preparare agguati, tendere trappole, in un grande contorno di facce patibolari, mezzani, tenutari, lacchè fanatizzati e gangsters.

E proprio per ritornare e per lasciare un segno ad futuram memoriam rei, vorrei approfondire l’opera di un noto scrittore e apologeta “tradizionalista”.

Non perché sia nostro autore e nemmeno perché sia assiduo frequentatore delle giornate radiospadiste ma mi piace condividere un mio giudizio su Don Curzio Nitoglia.

E’ evidente che don Nitoglia ed io su tantissimi argomenti possiamo essere d’accordo ma quando ci addentriamo nell’ecclesiologia, nell’analisi del cosa è avvenuto dopo il 1958, divergiamo radicalmente. Lo abbiamo dimostrato entrambi e con passione nelle ”giornate radiospadiste”, lo testimoniano i molti scritti critici del suo pensiero di cui ho disseminato e fatto disseminare la Rete negli anni passati. Rimane però un punto fondamentale per cui ho profondo rispetto per l’opera sua.

Don Nitoglia non si accontenta delle elaborazioni altrui, dei “punti fermissimi”, delle fossilizzazioni polemiche, delle “messe cantate” dell’integristicamente e del tradizionalisticamente corretto, dei “catechismi fatti in casa”, dei “santuari inviolabili”. Don Nitoglia entra nella “stanza dei giocattoli” altrui, cambia le posizioni degli oggetti, li rovescia, spariglia le carte. Legge, indaga, studia, “volgarizza”, spiega, riapre quel che sembra chiuso, semina dove magari altri hanno coperto il terreno col catrame.

Radio Spada e l’autunno

Le stagioni che cambiano per definizione segnano una specie di transumanza nel cammino di una casa editrice come la nostra. Nuovi progetti, nuovi percorsi (di cui sicuramente siete informati), nuovi libri, nuove polemiche ma in fondo, che farà Radio Spada?

Forse vi sorprenderà la risposta che in fondo, come il refrain di un’antica e bella canzone, si ripete: nulla che non abbia già fatto sinora.

Continuerà a tenere al centro di tutto l’analisi della “rivoluzione conciliare”, della crisi dottrinale ed ecclesiale, fonte di ogni altra crisi, matrice di ogni sovversione e perversione dei cuori e delle menti. Lo farà senza mettersi giacche e cravatte da “impiegati della Tradizione”, senza “ma noi c’eravamo prima o da prima”, senza stilare prescrittive o proscrittive liste di “buoni e cattivi”, senza portare un ulteriore contributo entropico all’ampia degenerazione del nostro mondo “resistente”: lo farà anche senza inseguire mode transeunti o personaggi del momento (beninteso dando spazio a tutto ciò che accade), senza masaniellismi inutili, senza attivismi sconclusionati e ossessivi, senza mai metterci pennacchi in testa che certamente ci avrebbero attirato consensi (e fatevelo dire da uno che di pennacchi se ne intende, eccome) ma che avrebbero distratto dall’unum necessarium della nostra azione.

Fonte immagine: Pixabay (free use)

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