di Piergiorgio Seveso
L’alternativa alle urne
Data la nostra natura creaturale e finita, peraltro ampiamente colpita e sfigurata dal peccato originale, siamo naturalmente limitati nello spazio, nel tempo e ovviamente in ciascuna delle nostre attitudini e capacità. Oltre alla mancanza dell’onniscienza, cui si aggiunge una vastissima ed a volte imbarazzante e inquantificabile smemoratezza, non abbiamo nemmeno il dono di una retorica sopraffina edi i nostri lambiccati decò e la nostre figure retoriche da perenne liceale possono apporre certamente un qualche rimedio o un qualche rammendo visibile ma non essere risolutive.
Per tanto se mi imbatto in qualche pezzo o frammento scritto da altri, ne faccio volentieri segnalazione quando o coincide col mio pensiero oppure vi si avvicina oppure mi colpisce per floreale ricchezza di argomentazioni.
Scrivere infatti dei doppioni è, oltre che inutile, ridicolo dal momento che non è l’autorevolezza di chi scrive ad essere importante ma l’assennatezza di ciò che è scritto
In questo periodo di malanni ed infiammazioni elettorali (parleremo di elettoralite) tra voti “dis-utili” e voti “di bandiera” (magari anche essi “utili” o “più utili”), altri giustamente offrono le ragioni di un silenzio, di un disertare le urne che non è diserzione, di un rifiuto che non è semplicemente il rifugiarsi nella pavesiana “casa in collina”o in un qualche turrita o diroccata Civitella in attesa del passaggio dei barbari o degli Hyksos.
Lo fanno senza anatemi da commedia musicale, senza bava ai lati delle labbra ma con serena e composta convinzione.
Come ad esempio Manuel Berardinucci della benemerita associazione “Il Maccabeo”, certamente più moderata di Radio Spada ma non meno interessante. Vi riporto un suo breve scritto da social. Buona lettura!
“Qual è l’alternativa?” chiede forsennatamente il votante impenitente a chi sceglie l’astensione. Domanda sciocca, le alternative sono le più disparate e di complessa individuazione. Ognuno, seguendo i retti principii, può trovare il proprio paradigma, pur non senza oggettive difficoltà, per affrontare la tigre del mondo moderno. Che sia una maurrasiana militanza culturale, una daviliana e aristocratica fuga dal mondo, una tradizionale vita religiosa, un thiboniano ritorno alla realtà della terra, dipende dalle proprie inclinazioni, dal percorso personale, dalle disposizioni della Provvidenza.
Il non-voto, di per sé, non costituisce “un’alternativa”, ma semplicemente una disposizione dello spirito, che non compie un atto solo “perché va fatto” ma soltanto se accompagnato da valide ragioni. Sostanzialmente non devo essere io a spiegare perché non voto, ma è chi vuole che io voti a dovermi spiegare perché varrebbe la pena farlo.
Votare è un dovere legale? No, in assenza di sanzioni è assurdo parlare di dovere legale. Non che la legalità sia per sé stessa moralmente vincolante, ma non sussiste neanche l’appiglio legalistico per i giuspositivisti nostrani.
Votare è un dovere civico? No, se non ci si riconosce nella Costituzione e nella Repubblica, entrambe frutto di una convenzione stipulata da un certo numero di uomini, investiti da null’altro che da altri uomini. L’assurdità democratica di fondare le sovrastrutture che devono regolare la vita degli uomini, sugli uomini stessi, non fa che confermare l’assunto daviliana per cui la democrazia moderna non è altro che la via maestra alla religione antropocentrica, ovvero al culto dell’uomo. Ogni ordinamento che escluda il trascendente dal proprio orizzonte, non può che restare in balia del potere e dei suoi mezzi, poiché l’imposizione (a suffragio o coercitiva non cambia) resterà l’unico strumento di pacifica convivenza. E nessuno può avere il “dovere civico” di riconoscersi in qualcosa di puramente arbitrario e nichilistico.
Votare è un dovere morale? Magari per scongiurare il “male maggiore”?
No, se l’alternativa è essa stessa malvagia, benché magari con gradazioni differenti e se è corretto ritenere che il “male minore” non farà altro che rallentare e ancor più legittimare il “male maggiore”, che nel nichilismo della democrazia liberale gli succederà poco dopo. Ma soprattutto non è un dovere morale, considerando l’evidenza di impossibilità di autocorrezione del sistema. Pur ritenendo, con i più generosi sforzi, in buona fede i contendenti, resterebbe il macigno di un modello politico-sociale intrinsecamente errato ed irriformabile. E quí parte il: “allora si fa la rivolta?” Ma per avere risposta a questa domanda tornate all’inizio del post”.
“Beatificazioni” e approcci sentimentali
Come è chiaro a chiunque abbia occhi per vedere, il 4 settembre 2022 si è (forse) chiuso il cerchio fiammeggiante delle “canonizzazioni” e “beatificazioni” conciliari, iniziato, ben si badi, non con Bergoglio ma con la ironica giustapposizione wojtyliana di S.S. Papa Pio IX e Giovanni XXIII (bis) il 3 settembre 2000 in una cerimonia di “beatificazione” in piazza San Pietro.
Se i pur benemeriti estimatori del Papa del Sillabo piansero calde lagrime di gioia, ancora di più ne piangemmo noi di fronte ad un tale gioco di prestigio: mentre la devozione a Pio IX si codificava in qualche evento organizzato da nobiltà nera, mazzieri in pensione, mantellati cavalieri, e dame col veletta il culto “ideologico” del “papa buono” si inseriva ad un processo mondiale di apoteosi e marmorizzazione del “concilio vaticano secondo” (lettera e spirito) tuttora in corso.
Albino Luciani è stato fuor di dubbio (senza giudicare reni e cuori) un vescovo “della rivoluzione conciliare” senza la quale non avrebbe certamente avuto né cattedra, né galero, né trono, acerrimo nemico della “Messa romana” che pure era stata la sua Messa, inflessibile applicatore della burocrazia rivoluzionaria montiniana. Questo basta in radice per reciderne la “fama sanctitatis”: se tutti i “Buoni” e i “sorridenti” fossero canonizzati avremmo un calendario ben più folto delle pagine bianche o della Guida Monaci.
Non stupisce però che vi sia chi, anche tra le file del c.d. tradizionalismo, se ne faccia banditore e apologeta, o per sentimentalismo o per naturale vocazione alle sintesi indebite tra cattolicesimo integrale o modernismo, o per sfrenato flusso di coscienza o logorrea scrittoria.
E non stupisce nemmeno che siti presuntamente autorevoli vi dedichino “importanti recensioni” entusiastiche (le ennesime “importanti recensioni”).
Scrivere di più sarebbe inutile e inutilmente polemico ma mi preme garantire che Radio Spada non darà mai spazio a questo genere di operazioni di “recupero” o di addolcimento terzaforzista, non foss’altro perché il presidente di Radio Spada non ha nel proprio album di famiglia foto felici e “belanti” con “San” Giovanni Paolo II.
Radio Spada e i suoi toni
Spesso Radio Spada è considerata provocatoria e severa: molti di noi sono incorreggibilmente duri, spigolosi, polemici, inopportuni, a volte caustici, io stesso mi inserisco in questo novero.
Ma perchè lo siamo? Perchè una sete ci divora ogni momento, è l’amore per la Chiesa che ci sprona e ci incalza e l’idea che gente che pure è tanto vicina alla Verità cattolica, per un mero puntiglio settario, legato alla propria storia e alla propria stabilitas vitae o alla propria comodità, infici tutto o quasi, gettandosi tra le braccia di errori già condannati dalla Chiesa, ci riempie di rabbia, amarezza, dolore…
Personalmente non temo nè il disprezzo, nè l’odio, li subisco per la causa santa della Chiesa e ripenso all’indicibile solitudine che hanno vissuto tanti “eroi” del passato (uno tra tanti ma a me assai caro Monsignor Guerard des Lauriers).
Anzi sono molto contento di una cosa: quando siamo arrivati nella blogosfera (e son passati dieci anni), questi luoghi telematici erano sede di mille tradizionalismi, variegati, incerti, velleitari e parolai, piagnoni e irrisoluti, vacuamente devozionali, pizzocentrici o semplicemente timidi e poco loquaci sui problemi centrali legati alla crisi della Chiesa
In dieci anni questo sito è diventato un vero, reale, concreto luogo cattolico integrale: senza sbandate protestantiche, gnosticheggianti, terzaforziste, conservatrici polacche o bavare, anticlericali o meramente soggettivistico-emozionali.
Un blog che non è il ripiegato luogo di lacrime sul “latte versato” ma è una finestra aperta e soleggiata su una realtà viva e calorosa, in movimento crescente, fatta di sudore, passione e fedeltà verso il cattolicesimo romano che non muore e non morirà mai
E molti degli amici che abbiamo incontrato, anche grazie a questo blog, hanno scelto da che parte stare.
Alcuni hanno scelto bene (per chi scrive), altri hanno scelto strade sedepleniste e “conciliari” che certo non condivido ma umanamente rispetto.
Anche in queste scelte non possiamo non notare il contributo che ha dato il nostro sito che, nel suo piccolo, come la spada evangelica, ha portato una divisione benefica, amica della chiarezza.
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