di Massimo Micaletti

La legge ungherese che impone ai medici di far ascoltare il battito cardiaco del feto alle donne che stiano per ricorrere alla interruzione di gravidanza ha suscitato qualche scomposta reazione.

Avverrà presto anche in Italia”, teme qualcuno. Magari, e sarebbe solo una goccia nel mare di male sul quale galleggia l’aborto di Stato: ma le femministe e i femministi nostrani possono star tranquilli giacché Giorgia Meloni ha a più riprese dichiarato di non voler toccare la legge 194 e così pure Matteo Salvini (che, almeno, ha reso merito all’attività dei Centri aiuto alla vita che dal 1978 ad oggi hanno salvato dall’aborto 240.000 bambini e altrettante mamme, spesso con mezzi ridottissimi e grazie solo e soltanto al volontariato). Niente paura, dunque: coloro che sono maggiormente sospettati di voler fare qualcosa a protezione dei nascituri se ne sono serenamente lavati le mani.

Ma torniamo a noi: se un cuore batte, che problema c’è?

Chi parla di “crudeltà” nel far ascoltare le pulsazioni del nascituro e farne presenti le funzioni vitali, esattamente cosa intende? Le ipotesi sono due: a) la madre che chiede l’aborto non sa cosa sta facendo e potrebbe così rendersene conto; b) la madre che chiede l’aborto sa esattamente cosa sta facendo e “toccare con mano” la vita del concepito potrebbe farle acquisire piena consapevolezza delle implicazioni morali del suo gesto. In ambo le ipotesi, il problema è in realtà uno solo e si chiama coscienza, che è poi la cosa che ci distingue dagli animali.

Tutta l’ideologia abortista colpisce e ferisce la donna nel profondo della sua natura, la rende qualcosa che non è e ben se ne accorgono le madri che sono cadute nella trappola dell’interruzione volontaria di gravidanza: si tratta di una menzogna nascosta dalla paura e che emerge tremenda nel momento in cui la paura si dissolve. Ebbene, non permettere che la gestante prenda piena consapevolezza dell’umanità del concepito, del suo essere simile a lei ma completamente indifeso, è un attacco violentissimo alla dignità della donna: significa proteggerla dalla realtà, trattandola come persona inadeguata a comprendere il senso delle proprie azioni.

La più sentimentale o motivazionale propaganda femminista non può mettere a tacere la voce profonda e naturale della coscienza della madre che avverte che far uccidere il proprio figlio è male e non esiste giustificazione. La coscienza di una madre è sana, è profonda, si può dire che sia innervata in ogni fibra della donna e non tollera, una volta interpellata, di essere, elusa, ingannata, distratta. La coscienza di una madre non è come quella del medico abortista, che sa bene che c’è un cuore che batte e tuttavia usa l’aspiratore, distrugge il concepito e aspetta lo stipendio a fine mese: quel cuore non è nel grembo dell’abortista, non è minimamente parte della sua storia.

Una madre sa che il concepito le è affidato per protezione, non per proprietà; la creatura che porta in grembo non è in suo potere bensì in sua responsabilità. E in una cultura che vive fuggendo a velocità autodistruttiva proprio dalla responsabilità, il battito del cuore di un essere umano piccolissimo e indifeso è un boato che spazza via decenni di articoli di giornale, film, trasmissioni, soubrette, comparsate di personaggi vari e improbabili.

Il battito del cuore è la voce del concepito e parla immediatamente alla sua mamma: che ogni mamma possa ascoltarlo, per riconoscere l’amore più grande della sua vita. E che possa ascoltarlo anche chi, nelle stanze della politica, della giustizia, della scienza, della medicina, ha il potere – e il dovere – di proteggere la vita del più piccolo tra i piccoli.


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Foto di Marjon Besteman da Pixabay