Ovviamente – e questo vale per personaggi trattati tanto nei vari articoli quanto nei libri – il giudizio complessivo su figure di spicco della letteratura, ora eccentriche, ora controverse, deve tenere come supremo criterio quello della Dottrina Cattolica: salvare il buono, rigettare il cattivo, usare prudenza per tutto [RS]
di Luca Fumagalli
In occasione della pubblicazione della prima edizione italiana di Voci dall’Altrove di Roger Pater (Gondolin, 2022), si ripropone in questa sede l’introduzione al volume, una presentazione della figura dello scrittore benedettino e della sua bibliografia.
Dom Roger Hudleston O.S.B è uno di quei sacerdoti che, da abili dilettanti, hanno saputo lasciare un piccolo segno nella storia della letteratura cattolica britannica del XX secolo. La sua fama, oggi limitata a una nicchia di appassionati bibliofili e di cultori dell’occulto, è legata soprattutto a Voci dall’Altrove (Mystic Voices, 1923), una raccolta di racconti dell’orrore e del soprannaturale firmata con il nom de plume di Roger Pater (esito della traduzione latina, con inversione, di padre Roger).
Al di là di qualche occasionale affondo, nessuno studioso si è ancora preso la briga di analizzare sistematicamente la produzione narrativa di Dom Hudleston, che comprende pure un romanzo più tradizionale, My Cousin Philip (1924), legato a doppio filo al lavoro precedente. Ecco spiegato uno dei motivi per cui le scarne informazioni biografiche che si hanno sul suo conto si ricavano quasi esclusivamente dal necrologio scritto dal confratello Richard Hugh Connolly, apparso il 1 ottobre 1936 sulle colonne della «Downside Review».
Gilbert Hudleston – mutò nome in Roger solo quando divenne un religioso – era nato il 27 dicembre 1874 nell’elegante tenuta di Hutton John, a Penrith, nel Cumberland, oggi trasformata in una casa vacanze. Era l’ultimo figlio di Laura Taylor e di William Hudleston, ricco proprietario terriero di fede protestante che si era distinto servendo il governo inglese in India. La famiglia, il cui cognome veniva scritto indifferentemente con una o due “d”, vantava tra i suoi illustri antenati il benedettino John Huddleston, famoso per aver salvato la vita del re Carlo II e averlo in seguito convertito all’antica fede quando, nel 1685, questi giaceva sul letto di morte.
Dopo aver frequentato il prestigioso Wellington College ed essere stato praticante per paio d’anni in uno studio legale di Liverpool, il giovane Hudleston era approdato al Keble College di Oxford. Tuttavia la sua carriera universitaria durò solo pochi mesi: nel 1896 lasciò ogni cosa per diventare cattolico, venendo accolto nella Chiesa l’8 gennaio dal sacerdote Luke Rivington. Partì quindi alla volta di Roma, dove ricevette la prima comunione direttamente dalle mani di Leone XIII, per poi tornarsene in Inghilterra, presso l’abbazia di Downside, con l’intento di entrare a far parte dell’ordine benedettino.

Dai suoi superiori venne mandato nuovamente nella capitale italiana a studiare presso il Collegio Sant’Anselmo e trascorse pure un breve periodo a Monaco di Baviera, aiutando Dom Leander Ramsay nelle sue ricerche su San Cipriano. Il 24 settembre 1904, due anni dopo la professione solenne, fu ordinato sacerdote dal vescovo di Clifton, George Burton.
Di corporatura minuta e costretto per tutta la vita a indossare occhiali piuttosto spessi a causa della miopia, Dom Hudleston svolse dapprima diversi incarichi a Downside. Fu bibliotecario, maestro del coro, segretario dell’abate e direttore della «Downside Review». Sua fu la prima guida dedicata alla chiesa dell’abbazia, una delle quattro basiliche minori d’Inghilterra, e nel 1913 inaugurò una missione a Midsomer Norton. Tre anni più tardi, venne nominato preside della scuola che l’ordine gestiva a Ealing, un sobborgo di Londra. Nonostante le sue indubbie capacità – a detta di tutti era un tipo ubbidiente, ligio e devoto –, non passò molto tempo prima che chiedesse di essere rimosso dall’incarico, convinto che quella non fosse la sua strada.
Allo scoppio della Grande Guerra gli fu così concesso di prestare servizio nell’esercito in qualità di cappellano. Fu di stanza a Salonicco, in Grecia, dove la sua affabilità e il proverbiale buon umore furono un balsamo per lo spirito dei soldati che dovevano confrontarsi ogni giorno con la morte. Al termine del conflitto raccontò la sua esperienza al fronte in un lungo articolo per la «Downside Review», “Notes of a War Journey in the Balkans and Transcaucasia”.
Rientrato in patria, si fece carico della direzione della parrocchia benedettina di St John, a Bath, e, a partire dal 1924, di quella di Little Malvern. Purtroppo nel 1931 fu costretto a ritirarsi a Downside a causa dell’insorgere di problemi al cuore. Da allora prese a occuparsi principalmente dell’insegnamento della teologia e della gestione economica delle missioni dell’ordine; inoltre, essendo un musicista dilettante di discreto livello, sostituiva volentieri l’organista quando questi era assente. La sua salute, però, andò deteriorandosi rapidamente fino alla morte, avvenuta nel sonno il 5 agosto 1936 per arresto cardiaco.
Uomo dalla vasta cultura e dalle molteplici doti – pare fosse in grado di risolvere in mezz’ora il cruciverba del «Times» –, sul versante della produzione apologetica Dom Hudleston, oltre a essere stato per un certo periodo il direttore della collana “Orchard Books” della Burns, Oates & Washbourne e ad aver curato le nuove traduzioni inglesi di grandi classici della spiritualità cristiana, pubblicò articoli su diverse testate, tra cui l’americana «Catholic Historical Review» e la «Dublin Review», nonché opuscoliper la Catholic Truth Society. Infine, tra il 1907 e il 1912, compilò una quarantina di lemmi della Catholic Encyclopedia, compreso quello dedicato a John Huddleston.

In Voci dall’Altrove, deciso a provare le sue doti nel campo della letteratura, radunò alcuni racconti del soprannaturale che aveva iniziato a scrivere nel 1913, durante la convalescenza seguita a un’operazione per appendicite. A questo primo gruppo di storie se ne aggiunsero mano a mano di nuove, composte nei ritagli di tempo tra un’occupazione e l’altra, alcune delle quali apparvero in anteprima sul «Catholic World» nel 1922.
Quando la Burns, Oates & Washbourne pubblicò il libro, le vendite furono così buone che la casa editrice si adoperò per dare subito alle stampe un secondo testo, My Cousin Philip, che però non riuscì a bissare il successo del precedente (di cui, nel 1926, venne approntata una seconda edizione).
Protagonista di entrambi i volumi è Philip Rivers Pater, personaggio fittizio che l’autore immagina essere un cugino di suo padre, anch’egli sacerdote e facoltoso signorotto di campagna, ultimo discendente di una famiglia da sempre fedele a Roma. Il Pater immaginario è dotato di capacità extra-sensoriali e funge da “ricettore” di avventure soprannaturali. Fantasmi, possessioni, sedute spiritiche, oggetti maledetti e altri ingredienti tipici delle Ghost Stories vittoriane si accompagnano a un’originale meditazione sulla storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra e sulla spiritualità cristiana, una formula che ha come precedenti le raccolte The Light Invisible (1903) e A Mirror of Shalott (1905) di mons. Robert Hugh Benson, conosciuto soprattutto per il romanzo apocalittico Il Padrone del mondo.
Consapevole del terreno teologicamente scivoloso su cui si stava muovendo, nelle quattordici storie del libro Dom Hudleston, tramite i suoi personaggi, è sempre pronto a stigmatizzare le superstizioni e a operare gli opportuni distinguo tra le mistificazioni a buon mercato e ciò che è veramente miracoloso (che poi non sempre ci riesca è un altro paio di maniche). Anche dal punto di vista stilistico si dimostrò un autore attento: il risultato è una prosa limpida e asciutta, caratterizzata, tra l’altro, da una stratificazione linguistica – con abbreviazioni, termini gergali ed espressioni latine – che avvicina i dialoghi all’immediatezza del parlato e che contribuisce ad accentuare quell’atmosfera esotica che si respira in particolare nei racconti ambientati in Italia, una soluzione analoga a quelle adottate da Henry Harland e Baron Corvo nei loro lavori.
All’epoca i giudizi della critica furono unanimemente favorevoli. Per il «Times Literary Supplement» «le storie sono piene di pietà, la loro escatologia non è mai ristretta, e l’ultima illustra magnificamente la convinzione dell’anziano prete che esista una salda unità tra tutti coloro che amano Dio con cuore sincero»; il «Church Times», da parte sua, sottolineava «il fascino, la grande erudizione, i molti ragionamenti acuti e le sagge osservazioni» riscontrabili nel libro. Addirittura la «Dublin Review», paragonando Hudleston a Benson, arrivò a dichiarare che «l’allievo è più abile del maestro».

In risposta alle lettere degli ammiratori, tra cui spiccava il nome della Principessa Blücher, celebre per le sue memorie sulla Prima guerra mondiale, il benedettino fu costretto ad ammettere che quanto raccontato non era solo un prodotto della sua fantasia e che alcune delle strane esperienze vissute da padre Philip erano capitate anche a lui o a sui conoscenti.
Fino a ora di Voci Dall’Altrove erano stati tradotti in italiano solo una manciata di racconti, ovvero “De Profundis”, “Il lascito dell’astrologo” e “A Porta Inferi”, pubblicati accanto alle storie di altri maestri del fantastico in tre diverse antologie: Occulta, L’omnibus del soprannaturale (Mondadori, 1988), Storie di demoni (parte della collana “I Miti di Cthulhu” targata Fanucci, 1988) e la più recente Storie di diavoli (Newton & Compton, 1997).
Vale la pena soffermarsi brevemente sui racconti appena menzionati – oltretutto tra i migliori del volume – per fornire, a mo’ di antipasto, un saggio dei tratti peculiari che caratterizzano l’opera di Dom Hudleston.
“De Profundis”, ad esempio, ritorna su uno dei temi principali del libro, vale a dire il tentativo di un’anima del Purgatorio di comunicare con i vivi allo scopo di offrire consigli o di alleviare le loro sofferenze. La vicenda, ambientata in un convento femminile di Roma, ruota attorno al culto per una superiora scomparsa qualche tempo prima in odore di santità, culto che le suore continuano a praticare in gran segreto dal momento che il Vaticano lo ha ufficialmente vietato (accurate indagini hanno infatti portato alla luce gli isterismi e le menzogne reiterate della defunta). Proprio l’anima dell’ex superiora, che ora si trova in Purgatorio, in una visione rivela l’amara verità a una novizia, nipote di un cardinale, convincendo infine le autorità a intervenire e a chiudere il convento.
“Il lascito dell’astrologo” e “A Porta Inferi” trattano invece del pericolo dello spiritismo con toni simili a quelli impiegati da mons. Benson nel romanzo I Necromanti. Nel primo racconto si parla di un’antica sfera di epoca rinascimentale impiegata per oscuri riti satanici, mentre il secondo ha per protagonista un ex occultista, reso folle dai suoi esperimenti magici. Solo l’intervento di padre Philip lo libererà, nel finale, dallo spirito demoniaco che lo tormenta.

Sebbene in Voci dall’Altrove, come già sottolineato, Dom Hudleston faccia di tutto per interpretare l’elemento miracoloso attraverso una Fede certa nel divino, il confine tra ortodossia e creduloneria corre a volte il rischio di farsi pericolosamente labile. Tale ambiguità, riscontrabile pure negli altri autori cattolici del soprannaturale – in terra inglese, oltre a Benson, si contano solo Shane Leslie e l’enigmatico reverendo Montague Summers – è figlia di «una paura del Male personificato in uno spirito concreto, il Demonio, che può tormentarci e perseguitarci dappertutto; […] è una battaglia quasi manichea tra forze indipendenti […]». Così si esprime Richard Griffiths, che prosegue: «Vi era il gusto per il magico e lo straordinario, la convinzione dell’efficacia di certi riti e l’interesse per le manifestazioni esteriori del misticismo, il tutto ridotto a una serie di effetti automatici prodotti da formule magiche e incantesimi». Non va comunque scordato che passioni del genere riguardarono solamente una piccola parte dei cattolici britannici. La maggioranza, che comprendeva eminenti intellettuali del calibro di G. K. Chesterton, dimostrò, all’opposto, di avere i piedi ben più saldamente piantati a terra.
Se Voci dall’Altrove è stato ripubblicato nel 2001 dalla canadese Ash-Tree Press in un’elegante edizione critica a cura di David G. Rowlands, My Cousin Philip è diventato nel frattempo un costoso cimelio per collezionisti.
Nel romanzo si narra per esteso la storia di padre Philip, dalla rottura dei rapporti con il genitore di Roger Pater a causa di un litigio, fino ad arrivare alla decisione, troppo a lungo rimandata, di farsi sacerdote. L’abbandono degli studi giuridici, il viaggio a Roma e altri particolari della trama potrebbero illudere il lettore più smaliziato di trovarsi davanti a un vero e proprio roman à clef ; ad ogni modo non pare questo il caso, se non altro perché le differenze tra la parabola biografico-spirituale del protagonista e quella di Dom Hudleston superano di gran lunga le analogie. Per quanto concerne il soprannaturale, poi, l’aggancio più forte con Voci dall’Altrove è costituito dal capitolo XV del libro, intitolato “A Sixth Sense”, in cui si parla in termini espliciti delle straordinarie doti di padre Philip.
Forse il pubblico italiano, in linea di massima poco avvezzo a simili letture, troverà sulle prime i racconti del benedettino inglese decisamente curiosi, il parto di una mente un po’ troppo incline alle fantasticherie. Eppure, al netto di qualche limite, basterà andare un poco oltre l’immediatezza del testo per accorgersi come dietro a ogni storia si nasconda, in verità, un piccolo grande tesoro spirituale, risultato di una lucida volontà di docere delectando.
Il libro: Roger Pater, Voci dall’Altrove, Gondolin, Verona, 2022, 224 pagine, Euro 19.
Link all’acquisto: https://www.fedecultura.com/gondolin?store-page=Voci-dallAltrove-p494119015









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