di Luca Fumagalli
«Per la Scozia io canto,
la nazione rovinata da Knox,
che il poeta e il santo
devono ricostruire con la loro passione»
(George Mackay Brown, Prologue)
Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.
Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:
Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown
«Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown
Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown
Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:
“The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”
Per le precedenti puntate della rubrica:
“The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set“ / “A Time to Keep“ / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane” / “Icarus” / “A Calendar of Love” / “Sealskin” / “The Cinquefoil” / “The Drowned Rose” / “The Seven Poets” / “Andrina” e “The Day of the Ox” / “The Masked Fisherman” e “The Christmas Dove”
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Brown e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo. Link all’acquisto.
Winter Tales (1995) è l’ultima importante collezione di racconti firmata da George Mackay Brown che venne pubblicata durante la sua vita. Brown vi raccolse storie natalizie e d’ambientazione invernale, tutte accumunate dal tema del «mistero della luce che emerge dalle tenebre» (secondo le parole impiegate da lui stesso nella prefazione). Molti dei racconti, scritti nel corso di diversi decenni, erano già stati pubblicati altrove, su riviste e periodici, nel tentativo di illustrare il messaggio evangelico attraverso allusioni ed echi, sebbene a volte l’allegoria sia usata in maniera più diretta.
“Dancey” è forse la storia più interessante della raccolta, un’intricata giustapposizione di frammenti, con oscillazioni temporali notevoli, che abbina magistralmente il drammatico al sublime, caratterizzata pure da tocchi satirici che le regalano un sapore di inatteso, il gusto di un imprevisto affascinante. Ancora una volta Brown si dimostra un autore di grande qualità, capace come pochi di far vibrare le più disparate corde emozionali del lettore. È pure un apologeta raffinato che preferisce descrivere la propria fede attraverso l’allusione, il suggerimento obliquo, usando in questo caso, ad esempio, un vocabolario sacramentale per descrivere il tempo del raccolto.
La vicenda, ambientata in un’isola delle Orcadi, si apre su un paesaggio in tempesta durante i festeggiamenti per il solstizio d’inverno. Un ragazzo, William Ness, mentre sta passeggiando incontra una donna stremata, «i cui vestiti emanavano un forte odore di sale», con cui cerca inutilmente di comunicare. Vuole convincerla a seguirlo fino alla fattoria dei suoi genitori, ma la donna, dopo aver indicato il mare, crolla a terra. William si affretta verso casa, dove gli invitati si stanno scambiando i regali, e racconta quello che gli è appena accaduto. Nessuno, però, gli crede, almeno fino a quando, intorno alla mezzanotte, giunge la notizia che una nave di emigranti è naufragata lì vicino solo qualche ora prima: «Quella notte non ci sarebbero stati più musica e canti… C’era silenzio». Si organizza allora un gruppo di spedizione che ritorna dopo qualche ora con il corpo dell’estranea, morta per gli stenti, e una neonata, la quale viene adottata da Madge Selquoy, l’unica della comitiva a non avere né marito né figli (l’episodio è costruito a imitazione di un fatto realmente accaduto, ovvero il naufragio della nave Archangel avvenuto al largo dell’isola di Westray negli anni trenta del 1700).
Una generazione è passata dal naufragio e ora la bambina sopravvissuta, Dancey, è una donna, sposata da una decina d’anni con Andrew Crag, pescatore e contadino. Il suo nome, in verità, è Mary Danzig, scelto da Madge ispirandosi al porto dal quale era partita la nave poi affondata (si tratta della città polacca di Danzica). Hanno sei figli e Dancey si dà molto da fare per mandare avanti la casa. Tiene tutto sotto controllo grazie alla sua determinazione, per quanto le vicine non apprezzino affatto la sua personalità estroversa e chiassosa, tanto da definirla con disprezzo «una straniera venuta da Dio sa dove». All’epoca del fidanzamento con Andrew aveva dovuto sopportare le angherie della futura suocera, una donna anziana che non aveva una grande considerazione di lei, ma che Dancey aveva sempre trattato con affetto e riguardo. Solo dopo la sua morte, la ragazza era potuta convolare a giuste nozze con Andrew.
Nel frattempo William Ness è diventato uno scapolo solitario che vive in una piccola fattoria. Durante il tempo del raccolto i contadini si aiutano a vicenda, tutti tiranni William, che lavora sempre per conto suo. Tra le schiene curve nei campi vi è anche quella di Dancey. Un giorno si rende conto che qualcosa a casa di William non va, e quando varca la porta scopre che l’uomo si è rotto una gamba ma che è troppo orgoglioso e testardo per chiedere aiuto a qualcuno. Nonostante le sue proteste – «vattene, nessuno ti ha chiesto di venire qui» –, Dancey chiama il dottore, dà da mangiare alle galline di William e munge le sue mucche. Si prende inoltre cura di lui, accudendolo e pulendo la sudicia casa, e il dottor McCrae le conferma che, se lei non lo avesse chiamato, il burbero contadino sarebbe certamente morto. Dancey continua a stare vicino a William fino alla sua completa guarigione. Quest’ultimo, per ringraziarla, le offre dei soldi che, però, la donna rifiuta.
Nonostante le sue premure, la fattoria di William nel giro di poco tempo ritorna il luogo sporco e trascurato che era prima. Il contadino, che dopo essersi ripreso continua ad ignorare Dancey quando la incontra per casa, muore dieci anni più tardi e lascia tutti i suoi averi ad Andrew, per comprarsi una nuova barca, con la seguente motivazione: «Ogni uomo con una moglie come la sua, con la sua bocca molesta e le sue fastidiose premure, merita di stare lontano da casa il più possibile, tra il silenzio del mare».
Calato in un tempo ciclico, quello dell’eterno fluire delle generazioni in una costante alternanza di nascita e morte, “Dancey” è una storia che innanzitutto mette alla berlina l’atteggiamento pregiudizievole nei confronti dello straniero, dipingendo una protagonista che sta al cuore della comunità isolana che l’ha adottata, un simbolo di dolcezza e pazienza che, con la sua eccezionale carità, dona alla storia quasi il valore di una parabola. Di più, quando Dancey accudisce il vecchio William, l’uomo che le aveva salvato la vita, salvandolo a sua volta, Brown, come scrive Linden Bicket, sembra suggerire l’esistenza di «una bontà cosmica – una ruota d’ordine dove la dolcezza è sempre ricompensata». La vita, detto altrimenti, è attraversata da una concreta possibilità di grazia e amore.
***
Della stessa raccolta fa parte anche il brevissimo racconto “Shell Story”, vicenda a lieto fine che esalta la virtù della speranza e quella della perseveranza. La storia si apre su un gruppo di anziane signore che pretendono di scorgere nei gabbiani levati in volo la reincarnazione dei loro cari morti affogati, perlopiù marinai e pescatori. Si radunano di solito dopo l’ora di cena e cercano di attirare l’attenzione dei gabbiani chiamandoli per nome. Solo una donna, Charlotte, ormai centenaria, non riesce a scorgere suo marito, Jock Wylie, «affondato in mari sconosciuti l’inverno dopo che si erano sposati».
Un giorno, durante una tempesta, gli abitanti del villaggio scorgono aggirarsi vicino al molo la figura di Charlotte. Si è avvicinata a un gabbiano e gli sta dando da mangiare un pezzo di torta. Dopo aver consumato il pasto, il pennuto si alza in volo, compie tre giri sulla testa dell’anziana e poi sparisce all’orizzonte. Charlotte bussa allora alle porte delle varie case, raggiante di gioia: «Jock, il mio uomo, è finalmente tornato a trovarmi dai rifiuti dell’oceano».
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Fonte immagine: https://livingwittily.typepad.com/.a/6a00d8341c6bd853ef01bb08f17971970d-pi