di Luca Fumagalli

«Per la Scozia io canto,

la nazione rovinata da Knox,

che il poeta e il santo

devono ricostruire con la loro passione»

(George Mackay Brown, Prologue)

Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.

Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:

Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown

«Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown

Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown

Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:    

“The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”

Per le precedenti puntate della rubrica:

“The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set / A Time to Keep / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane” / “Icarus” / “A Calendar of Love” / “Sealskin” / “The Cinquefoil” / “The Drowned Rose” / “The Seven Poets” / “Andrina” e “The Day of the Ox” / The Masked Fisherman” e “The Christmas Dove” / “Dancey” e “Shell Story”

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Brown e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secoloLink all’acquisto.

Come scrivono Rowena e Brian Murray nel loro interessante volume dedicato all’analisi dell’opera di George Mackay Brown, intitolato Interrgation of Silence, in A Calendar of Love (The Hogarth Press, 1967), prima raccolta di racconti firmata dallo scrittore orcadiano, «nonostante una vasta gamma di riferimenti, l’idea di un “centro fisso” permea l’intera collezione. La pace – dopo un grande tumulto – è la chiave». Del resto, nella prefazione del libro, lo stesso autore individua nel provvidenziale martirio di San Magnus, che diede inizio a una stagione di benessere per le isole, il perno attorno al quale ruota la sua narrazione.

Più in generale, in A Calendar of Love trovano una loro prima espressione personaggi, come l’emarginato, e temi, come l’alcol, la modernità prevaricatrice, il valore della comunità e la polemica anti-protestante, destinati a presentarsi nuovamente nella vasta bibliografia di Brown. Nelle storie il folklore, il passato e il realismo più crudo si mischiano senza soluzione di continuità per dipingere l’intero spettro delle emozioni umane, con sperimentazioni stilistiche che viaggiano a metà strada tra la prosa e la lirica, secondo una poetica del frammento che lavora principalmente per giustapposizione di impressioni. Ne risulta un senso di grande varietà, una presentazione a tutto tondo dell’umano che affonda le proprie radici nel microcosmo delle Orcadi.

Se dei racconti più significativi della raccolta si è già parlato altrove[1], in questa sede non rimane che dare una rapida occhiata agli altri.

In “The Three Islands” le avventure in mare di tre pescatori fanno da cornice alle vicende accadute nel passato delle tre isolette vicino alle quali transita la loro barca. Nella prima, un tempo sede di una magnifica abbazia, un monaco amanuense è intento nel suo paziente lavoro: «Porta un carico d’eternità nel tempo, un’allegoria, la Buona Novella». Nella seconda, con un linguaggio da saga norrena, è descritto un gruppo di vichinghi di ritorno dalla stagione dei saccheggi; mentre nella terza, Egilsay, è rievocato il martirio di San Magnus, ucciso dopo aver assistito alla Messa tra un gruppo di miseri contadini: «Erano eccezionalmente poveri, e le guerre tra i nobili li avevano resi più poveri che mai. Cavalieri nei campi, vichinghi tra le reti. Questo pane e questo vino è il segno della loro offerta. Con ciò donano a Dio tutto quello che è loro». Nell’epilogo i tre pescatori, giunti finalmente a casa, festeggiano per essere fortunosamente scampati al mare in tempesta, e il proprietario della barca, nonostante sia un rigido protestante, si concede il lusso di un’allegra bevuta in compagnia.

George Mackay Brown

Se il breve “The Seller of Silk Shirts”, racconta del solito giro dell’isola che compie un venditore ambulante di origini indiane e delle persone che incontra – situazione proposta di nuovo da Brown nel romanzo Un’estate a Grennvoe –, più significativo è “The Wheel” che, pur presentando una situazione del tutto analoga, descritta secondo una tecnica che i Murray chiamano “processionale”, risulta decisamente più maturo e intrigante, lavorando per accumulo di dettagli. Robert Jensen, come ogni sera, bussa alle porte delle case del villaggio alla ricerca di notizie sul suo amico William Walls, con cui abitava, scomparso da diverso tempo. Solo nel finale, grazie all’espediente di un articolo di giornale che cade sotto gli occhi di Robert, si scopre che in realtà Walls è morto annegato in mare.      

Di impostazione simile è anche “The Ferryman”, il cui anonimo protagonista è un uomo che, cacciato via in malo modo dalla fattoria del fratello presso cui abitava dall’odiosa cognata, trova impego come traghettatore. Tutto il giorno trasporta passeggeri avanti e indietro dalla remota isola dell’arcipelago in cui vive fino a Stromness in cambio di una misera paga. Il suo lavoro, però, gli offre almeno l’opportunità di incontrare persone di ogni tipo che, in qualche modo, testimoniano le diverse sfumature del piccolo mondo delle Orcadi.

“The Troubling of the Waters” si risolve in un elenco dei vari tipi di whisky prodotti nelle fattorie dell’isola di Quoylay, il tutto condito con divertenti aneddoti sui loro produttori. Ora tutto quello che è stato descritto non esiste più, spazzato via da una modernità che non ha alcuna pietà per le tradizioni: «Oggigiorno c’è una drogheria autorizzata all’incrocio, proprietà di un tale MacFarlane di Dalkeith, presso cui gli abitanti dell’isola comprano il loro whisky in bottiglie sigillate a poco più di due sterline».

Segue il particolarissimo “The Storm Watchers”, un dramma per voci, come recita il sottotitolo, in cui sette donne raccontano a turno la propria vita osservando il mare; quando i corpi dei loro uomini, annegati tra le onde, vengono riportati a riva dalla corrente, si stringono in un cordoglio comune: «Dio, abbi pietà di noi. Pesce Eterno nella rete di sale tra gli affogati e gli affamati, nutri i nostri dolori». Del dramma esiste anche una versione filmica diretta da Gerda Stevenson.

La prima edizione della raccolta (The Hogarth Press, 1967)

Triste e consolatorio al contempo, “Tam” è uno dei quei racconti in cui Brown riesce a miscelare al meglio le sensazioni più contrastanti. Dal momento che il giovane Tam conduce una vita di stenti, solo con la madre, decide di lasciare la casa per far fortuna. Così si reca a Stromness e non passano molte ore prima che riesca ad assicurarsi un impiego in mare. Per la notte trova riparo dal cugino Jock, vedevo e padre di tre ragazze, con le quali Tam giace a turno. L’indomani prende il largo con la nave e di lui non si hanno più notizie. Nel frattempo sua madre muore e le figlie di Jock partoriscono tre bellissimi bambini.

Una delle storie più commoventi di A Calendar of Love, che affronta con rara delicatezza il tema della discriminazione e del pregiudizio, è certamente “The Ballad of the Rose Bush” la cui protagonista è una ragazza ritardata, Margaret, che è però bravissima a cucire. Una sera viene ritrovata nel bosco in fin di vita, sanguinante e con i vestiti strappati. Della violenza viene ingiustamente accusato uno degli zingari che di recente si sono stabiliti lì vicino, tale Mick, autore di una ballata su un cespuglio di rose. Il giorno dopo, a seguito di un processo farsa, Mick viene impiccato a Kirkwall e il vero colpevole, Clod il pastore, riesce a farla franca. Margaret vive per altri vent’anni e trascorre il suo ultimo giorno su questa terra a cucire un cespuglio di rose, lo stesso che è miracolosamente cresciuto sulla tomba di Mick da cui più di un testimone assicura di aver sentito provenire pure una dolce musica.

L’ultimo racconto, “Stone Poems”, è un ottimo esempio di una delle pratiche narrative favorite di Brown, ovvero quella di descrivere le reazioni di diversi individui alla medesima esperienza condivisa. Nel XII secolo un gruppo di vichinghi trova rifugio da un’improvvisa tempesta di neve nel Maeshowe, un complesso di tombe neolitiche. Per passare le ore, in attesa che torni il bel tempo, ognuno di loro incide una scritta sulle pareti della stanza. Si parla di amore e avventure, ma l’ultimo, un chierico chiamato Sylvanus, scrive che «A nord-est è nascosto un grande tesoro». Interrogato sul senso delle sue parole, risponde: «Mi riferisco alle ossa del beato Magnus che giacciono nella chiesa di Birsay dieci miglia a nord-est da qui». I personaggi, più che uomini del medioevo, appaiono senza tempo, non perché siano anacronistici, ma perché raccontano di passioni che valgono in ogni epoca e in ogni luogo.  


[1] “A Calendar of Love”, “Five Green Waves”, “Witch”, “Master Halcrow, Priest” e “The Story of Jorkel Hayforks”. Per la presentazione e l’analisi di questi racconti si rimanda agli articoli loro dedicati.



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