di Piergiorgio Seveso

Il senso della nostra battaglia

Spesso quello che diciamo e facciamo viene spacciato in modo spicciolo come mera “opzione tradizionalistica”, come uno scegliere dettato da gusti o attitudini psicologiche aspetti del cattolicesimo che verrebbero da noi ipostatizzati. Si tratterebbe in ultima analisi di un “picking cherries”, di un cogliere ciliege, quelle più vicine o più comode o più mature.

La realtà è invece assai più drammatica e abbraccia in sé tutta la nostra esistenza.

Come mi è capitato talvolta di dire: immaginatevi di essere nella quiete della vostra casa, un Palazzo, una vecchia casa signorile, ordinata, moderatamente impolverata ma pulita. Anche la più piccola cosa ha la sua posizione, un quadro, un marmo, un abat-jour, una decorazione ornamentale, un animale impagliato: tutto è al suo posto, da sempre.

Ebbene una notte, mentre dormite tranquilli, un branco di predoni, di ladri, di assassini, di tagliagole, da qualche porticina lasciata inavvertitamente aperta e inopinatamente incustodita, entrano nel vostro palazzo. Qualcuno della servitù viene ucciso con il padrone di casa, qualcun altro bastonato, qualcun altro brutalizzato e voi, uno dei figli, con i pochi vostri famigliari e altri servitori fedeli, quasi per miracolo, riuscite a rifugiarvi in un’ala del Palazzo praticamente inaccessibile per i ladroni, una specie di cantina-dispensa semi-sotterranea, senza vie d’uscita e con una sola via d’accesso.

Impossibile chiedere soccorso: il Palazzo è unico, isolato, fuori dal mondo, da quel momento quella cantina, quell’interrato diventano la vostra casa, ciò che del Palazzo rimane nella disponibilità dei legittimi proprietari. Superato lo sconcerto, il senso di nausea violentissimo, l’angoscia che toglie il respiro, incominciate a sentire quel normale odore di cantina, fatto di umidità e qualche muffa, che sarà l’aria che respirerete, insieme a quella che arriva dalle grate ferrate delle piccole finestre.

Intanto udite ora in lontananza, ora con la veemenza di un ruggito cavernoso, i rumori dei “Nuovi padroni” del palazzo che spostano, spaccano, bruciano le suppellettili, staccano gli arazzi, fanno strage dei libri della vostra biblioteca, abbattono le statue, danno fuoco alle vecchie sedie per scaldarsi, ridono, fanno ampi bagordi e orge, sfruttando le altre cantine e saccheggiando i forzieri e da ultimo parlano, parlano, parlano continuamente, inebriati dal successo della conquista e del saccheggio.

Come quando si entra in una stanza buia e piano piano le cose ritrovano i contorni, vi accorgete che un po’ di gente della casa si è rifugiata con voi, si è nascosta con voi in quel luogo sicuro, inaccessibile, inespugnabile e di tanto in tanto qualcun altro arriva, pesto, digiuno, con i vestiti stracciati, qualcuno che è miracolosamente sfuggito ai ciurmadori.

Da quel momento l’unico orizzonte fisico ed esistenziale è quello di questa cantina seminterrata: impossibile tentare una “riconquista”, “quelli là” sono armati fino ai denti e pronti a qualunque cosa e voi siete pochi e male in arnese.

Certo, i veri titolari del Palazzo siete voi ma questa titolarità è impossibile da esercitare e persino da dimostrare: si possono certamente tentare sortite, tramortire qualche scherano isolato, recuperare vettovaglie senza farsi troppo notare, liberare qualche schiavo della famiglia ma nulla di più.

Come dico SEMPRE solo i racconti immaginifici, in questi tempi di universale oblio della ragione e manomissione violentissima della natura umana, riescono a dare pieno gusto e a far assaporare il senso e il giusto di una battaglia.

Questa è la condizione oggi del cattolico tradizionalista (o se vogliamo “integrale” che forse rende con maggior pienezza il senso di ciò che facciamo), una condizione di minorità, di sostanziale acefalia, di naufragio sociale (al di là delle patetiche suggestioni di insorgenza di taluni predicatori o “intellettuali” del nostro piccolo mondo), una condizione generale di spossessamento e spaesamento rispetto l’”occupante modernista” che col “concilio vaticano secondo” ha generato la più sorprendente sostituzione che la storia umana abbia mai visto.

Non è un gioco, non è una storia horror per farne un film per Italia1 ma è la nostra vita di ogni giorno.

L’arte di Giovanni Gasparro

Non è mistero che io abbia stima e ammirazione per l’arte di Giovanni Gasparro Gliela rinnovo in questa rubrica, riverdendo una passione e una considerazione che ho giù espresso in molte sedi.

Fuor di ogni artifizio retorico, fuori di posa encomiastica,il Gasparro rappresenta oggi, specie nei suoi quadri più felici, la punta di diamante per la rinascita di una arte figurativa sacra nelle nostre terre. In mezzo ad un deserto di raccapriccianti deformazioni postmoderne e di brutture pastellose e insignificanti, il Gasparro ci riporta alla purezza, al recupero del centro dell’arte tardo rinascimentale e barocca, ovviamente riattualizzata e rivitalizzata nelle concezioni e anche negli estri di un pittore contemporaneo. In questo pieno ritrovarsi della corporeità nella sua traboccante pienezza ma trasfigurata dalla Verità cattolica, vediamo una pista valida per la restaurazione dell’arte sacra, anch’essa immeschinita e imbrattata dalla rivoluzione conciliare, quando sul mondo saranno tornata a brillare come sole radiante le chiavi petrine.

Non sono queste (per fortuna mia, vostra e del Gasparro) le parole di un critico d’arte ma di franco sodale nella buona battaglia. E’ quindi con questa profonda stima, con ammirazione fanciullesca di fronte alle meraviglie dell’Arte, con cordiale amicizia, arricchita da amene e al contempo profonde conversazioni e condivisioni negli anni delle prove e delle sanguinose battaglie, che vergo queste righe nella Strobosfera.

L’unicum di Radio Spada

Anni fa un tizio che mi intervistò con dovizia di dettagli e poi ritirò l’intervista, come una Maddalena pentita da burletta o una Donna Violante mistico-sensuale nei film di de Sica, disse che noi dicevamo “le stesse cose degli altri”.

Si sbagliava di grosso: Radio Spada (sia come blog che come casa editrice) svolge, con le sue peculiarità e i suoi limiti, un ruolo unico all’interno della schieramento cattolico antimodernista (chiamatelo integrista o tradizionalista, son questioni importanti ma essenzialmente filologiche) di lingua italiana, sia contro i suoi nemici esterni (neomodernismo, liberalismo, massonismo, genderismo, sovversione genericamente intesa) e i suoi nemici interni (tradizionalismo degenere o spurio, rissosità entropica, microparrocchismo di ritorno caporionismo settario).

Che questa unicità possa infastidire e produrre moti inconsulti di reazione ostile e a volte un generale ACCECAMENTO dei cuori e delle menti è comprensibile, lecito ma ma non accettabile, dal punto di vista della legittimità. Ci consola però pensare che accanto a odi inestinguibili, esacerbati e forse anche inclini alla marcescenza, incrociamo grandi amori e affetti di amici e sostenitori che sono, accanto alla spinta sovrannaturale della nostra azione, il motore più potente e inesauribile di Radio Spada.

Fonte immagine: Pixabay (free use)

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