Nota di RS: continua la collaborazione fattiva e amichevole di Pietro Ferrari, già autore di tre libri per la nostra casa editrice ovvero “Fascismi”, la “Questione monetaria” e “Non Possumus”. Si tratta un esponente di punta del cattolicesimo integrale nostrano. Come ebbi modo di dire in passato: nel panorama del laicato “tradizionalista” di lingua italiana, piuttosto brullo e disadorno (per tacere di cuspidi acuminate e omicide), Pietro Ferrari spazia con passione e sprezzatura in vari campi: ecclesiologia, economia, diritto, politologia. Lo fa con prese di posizione anche fortemente polemiche e che possono suscitare dibattiti e forti controversie. Radio Spada esiste anche per questo: per ribadire le Verità cattoliche definite e certe e per incrementare dibattiti sulle materie libere. In questo caso continua il confronto sulla guerra in corso nelle pianure orientali. (Piergiorgio Seveso Presidente SQE di Radio Spada)
di Pietro Ferrari
Sappiamo tutti che l’unico aggettivo che può seguire la parola “cattolico” senza stonature non può che essere nuovamente “cattolico”, quindi né “liberale”, né “comunista”, né “fascista”, etc.
Altrove con RS abbiamo già analizzato il fenomeno fascista Edizioni Radio Spada – Pietro Ferrari presenta “Fascismi” a Giulianova – YouTube e commentato l’alto magistero pontificio a proposito delle ideologie novecentesche [EDIZIONI RADIO SPADA] Su Il Giornale, Mattia Rossi recensisce ‘L’opposizione magisteriale a fascismo, nazionalsocialismo, liberalismo e comunismo’ | Radio Spada ma quello che preme stavolta, è raccontare in estrema sintesi ciò che accadde giusto un secolo fa.
COME NACQUE
Benito Mussolini assieme ad un manipolo di socialisti soreliani, interventisti, reduci della Grande guerra, sindacalisti rivoluzionari, arditi e prossimi legionari fiumani, durante la primavera del 1919 fondava in piazza San Sepolcro a Milano un nuovo movimento: i Fasci italiani di combattimento.
Una forza di nicchia, inizialmente anticlericale, un “antipartito” marginale rispetto alla marea socialista, ma cominciò ad attecchire, soprattutto nei grandi centri emiliani e toscani, puntando sulle avanguardie studentesche e attraendo a sé i ceti piccolo-borghesi. Da una trentina di Fasci con qualche centinaio iscritti alla fine del 1919 si passò nella primavera del 1920 a 118 sezioni e oltre 27mila iscritti e nel maggio del 1922 si contavano 322mila iscritti e 700mila lavoratori inquadrati nei sindacati fascisti.
PERCHE’ NACQUE
Il quadriennio turbolento che precede la Marcia su Roma, fino ai giorni che sfociarono nell’ingresso nella Capitale il 30 ottobre 1922, fu un periodo contrassegnato da una diffusa violenza politica che vedeva fronteggiarsi due campi contendenti. I linciaggi erano molto diffusi ed anche le brutalità sommarie da parte dei rossi, come ha ben descritto Emilio Gentile:
In quegli anni, (dal ’18 al ’19) raddoppiarono e poi (nel ’21) triplicarono i morti per omicidio, mentre raddoppiarono i delitti di lesioni e percosse e triplicarono quelli contro l’ordine pubblico. Le elezioni del 1919 furono un trionfo dei socialisti. Le leghe contadine, cooperative e sindacati col controllo di molte amministrazioni locali sostituivano i tricolori dei palazzi con le bandiere rosse.
I rossi stavano organizzando una fitta rete di potere ricattatorio verso i ceti medi: obbligo di assunzione di certi lavoratori, vessazioni ai proprietari sulle condizioni contrattuali e qualsiasi commerciante, negoziante e lavoratore che si sottraeva veniva a subire il loro boicottaggio. Il fanatismo della lotta di classe veniva esplicitamente rivendicato come strumento per realizzare quella stessa rivoluzione bolscevica, che ave-va trionfato in Russia nel 1917. Il partito socialista era diviso tra riformisti e massimalisti, in attesa della scissione di Livorno, da cui nel 1921 nacque il PCI, e proprio nel massimo momento di espansione iniziò la sua decadenza.
Il Biennio Rosso generò il Biennio Nero.
COME AVVENNE LA MARCIA
Un mix strategico di minacciosi ricatti illegali e sottili accordi multipli istituzionali. Oggi si parlerebbe di smart power.
La prima fase dell’insurrezione nella notte del 27 ottobre prevedeva l’occupazione di prefetture e questure, stazioni ferroviarie, poste e telegrafi, di radio e giornali delle principali città italiane, poi circondare Roma da quattro zone ed attendere ordini prima dell’assalto. In caso di sconfitta, ritirata strategica a Perugia per organizzare un nuovo e definitivo assalto.
Facta si recò dal Re con il testo che proclamava lo stato d’assedio, ma Vittorio Emanuele III cambiò idea perché gli fu prospettata un’avanzata fascista talmente dirompente da indurlo a voler evitare una sanguinosa guerra civile quando la fedeltà dell’esercito italiano sembrava vacillare. C’è chi sostiene che lo stesso sovrano abbia ceduto alle pressioni di nazionalisti e monarchici filofascisti che attorniavano il Governo dimissionario. Qualcuno ipotizza pure che Vittorio Emanuele temesse di perdere il trono per via di un accordo fra Mussolini e il duca d’Aosta mirante alla sua sostituzione. Molti ritengono che sarebbe bastato l’ordine del Re all’esercito di spazzare via le poche decine di migliaia di squadristi che accerchiavano Roma, ma a Fiume i militari si erano già ribellati una volta. Il Re chiese al Capo supremo Diaz se le truppe avrebbero obbedito e lui rispose che i soldati obbediscono sempre…ma che non sarebbe stato opportuno metterli alla prova.
Quando Mussolini giura alle Camere nel suo governo di coalizione con liberali e moderati ci sono tre ministri fascisti, due popolari, due democratico-sociali e un giolittiano. Ottiene 359 voti con soli 35 parlamentari fascisti.
QUELLO CHE NON TI ASPETTI
Tra i teramani illustri, a marciare su Roma vi fu Leonardo Pannella, padre del più famoso Giacinto Marco: La lunga marcia nazionale dello squadrismo fascista e la mobilitazione degli abruzzesi di Pietro ferrari | Cartaceo (youcanprint.it)
RIFLESSIONE FINALE
E’ assai difficile cento anni dopo entrare nel clima di quei giorni e di quegli anni, troppo facile giudicare adesso le ideologie che avrebbero continuato a scontrarsi in modo sanguinoso per tanti anni ancora. Erano allora esse ancora fresche di miraggi di mondi migliori. In quell’Italia uscita dalla carneficina della Grande Guerra ci si sparava addosso e la violenza non destava lo scandalo che può e deve destare oggi. La Marcia su Roma fu l’epilogo di una lunga storia di odio politico, l’esito di una guerra civile che lasciò per le strade migliaia di caduti. L’insurrezione fascista è stato l’episodio eversivo più imponente della storia d’Italia.
Non deve mancare però la buona fede di tutti. La maggioranza degli italiani di cento anni fa più che indignarsi per gli oltraggi al tricolore e ai reduci – semmai quello era più che altro un fastidio – temeva che i rossi avrebbero abolito la proprietà privata e mandato in esilio il Papa. Oggi non si è ancora capaci di far pace con la propria storia.
Non mi riferisco ai pochi antifascisti veri di sempre, ma a “quelli del giorno dopo”: agrari e industriali che videro in Mussolini un argine al kaos bolscevico, braccianti e operai che seguirono il compagno Benito fino alla sua fine, cattolici che, fatti gli opportuni distinguo sostanzialmente appoggiarono il fascismo come baluardo contro tutto il peggio che “il giorno dopo” sarebbe arrivato.
In fin dei conti basti ricordare come emblematica la luminosa figura di Mons. Umberto Benigni. Già campione di San Pio X, promotore del Sodalitium Pianum teso a sradicare i modernisti dalla Chiesa, Mons. Umberto Benigni decise di collaborare intimamente ed intensamente col Regime e non come pittoresco clerico-fascista, ma comeagente segreto.
Tutto è finito ormai, tutto è cessato, i giudizi sia quelli severi che benevoli sono già stati dati. Resta però l’anelito umano, il mettersi in moto, la spinta e la tensione di andare verso qualcosa da difendere o da costruire. Al di là di tutto Roma e soprattutto “questa” Roma resta comunque luogo assoluto, meta simbolica ancora da liberare o da riconquistare.
I cattolici lo sanno bene che tutto sommato, il pellegrinaggio è una Marcia.
Immagine storica di repertorio
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