Fonte: bollettino Veritas, n. 119, ottobre 2022
Proponiamo ai lettori un testo risalente ma MOLTO attuale di padre Roger Thomas Calmel, sacerdote domenicano morto nel 1975, conoscente ed amico di Mons. Marcel Lefebvre, sostenitore in Francia e nel suo Ordine di una grande battaglia dottrinale in favore della Messa di sempre e della Tradizione.
Chiamo «rivelazionismo» una fiducia disordinata nelle rivelazioni private; fiducia che non è abbastanza illuminata e rettificata dalla ragione e dalla Fede. Certamente non rimprovero a questi fratelli nella Fede di credere al meraviglioso nell’ordine privato, né al suo ruolo indispensabile nella Chiesa, ma piuttosto di situarlo in pratica al di sopra della Scrittura e della Tradizione; inoltre di voler equiparare i fatti meravigliosi più diversi; infine di lasciarsi sviare nella loro vita interiore dal meraviglioso invece di metterlo sotto il dominio delle virtù teologali, che sono il centro vero di ogni vita cristiana.
Troviamo dunque alcuni cristiani che accordano a delle rivelazioni puerili e strane, ricevute – dicono – da anime privilegiate, esattamente lo stesso credito che ai messaggi di Lourdes, così limpidi, così sobri e così consoni con il dogma cattolico. E cosa dire di quei cristiani che, avvalendosi delle visioni di queste famose anime privilegiate, ne sanno sulla Passione del Signore molto di più degli stessi Evangelisti?
E, visto che i rivelazionisti ci parlano tanto dei giudizi del Signore sulla storia degli uomini, ricordiamo gli insegnamenti della Rivelazione quali ci vengono riportati dai testi ispirati. Ricordiamo anche, sullo stesso soggetto, la solida dottrina dei Padri e dei Dottori della Chiesa. Noi crediamo al ritorno del Signore: «Credo in unum Dominum Jesum Christum […]et iterum venturus est cum gloria judicare vivos et mortuos, cuius regni non erit finis».
Non solo alla fine delle fini la Fede sarà quasi spenta e la carità rimarrà viva solo in un ristretto gruppo, avendo la freddezza e l’egoismo portato la morte nelle anime, ma vi saranno anche nel corso della storia delle prefigurazioni di questo ottenebramento e di questa specie di estinzione della vita spirituale. I cristiani hanno sempre saputo, particolarmente grazie a San Giovanni e Sant’Agostino, che verrà un ultimo anticristo, il quale aveva però dei precursori già nei tempi apostolici (1 Gv 2,18).
Il libro dell’Apocalisse, al quale ci si riferisce a giusto titolo per parlare correttamente della fine del mondo, non può essere considerato come una cronologia anticipata; questo libro è una teologia della storia sotto forma di simboli che si ricapitolano e si precisano progressivamente. Altre fonti capitali di riferimento sono Mt 24, l’ultima parte di Lc 17 e Lc 21. Questi testi fondamentali devono essere interpretati con discernimento perché non concernono solo ed in maniera esclusiva la generazione contemporanea alla prima venuta del Signore e che vide la rovina del tempio e l’ultima, quella che vedrà il ritorno glorioso di Gesù Cristo, ma si riferiscono sotto molti aspetti anche alle generazioni che si collocano tra le due appena enunciate. Il Signore ha giudicato degne del suo insegnamento infallibile a riguardo dei suoi giudizi sullo svolgimento della storia anche le numerose generazioni intermedie, che dovranno essere quelle che conterranno il maggior numero di fedeli, quelle che formeranno la parte più considerevole della sua Chiesa.
Vi sarà un segno della fine che non avrà precedenti: è la conversione del popolo ebreo a titolo di popolo. Ma questo segno nessuno è in grado di dire a che momento esatto bisogna situarlo prima della fine del mondo. Per gli altri segni (apostasia, anticristo, espansione del Vangelo, morte spirituale, guerre e cataclismi) noi sappiamo che, anche se si svilupperanno secondo un certo progresso lineare, essi procedono anche per ripetizioni cicliche. Verso quale di queste ripetizioni ci stiamo avviando? Dio solo lo sa.
Dunque alle generazioni intermedie tra quella che vide la rovina di Gerusalemme e quella che vedrà la fine del mondo, il Signore ha dato una duplice rivelazione: mentre annunciava gli eccessi dell’iniquità e gli straordinari castighi, allo stesso tempo ci garantiva la permanenza delle fonti di coraggio e di consolazione. In effetti, quali che siano i perfezionamenti storici dell’iniquità, questi giorni di prova, per quanto possano essere pericolosi, saranno abbreviati a causa degli eletti (Mt 24,22); d’altra parte, nessuno può strappare le pecore dalle mani del Buon Pastore (Gv 10,28-29); in terzo luogo, la Redenzione non cesserà dall’essere vicina e bisognerà alzare la testa: «levate capita vestra» (Lc 21,28) verso Colui il cui Cuore è aperto per noi (Gv 19.37); in quarto luogo, lo Spirito Santo non cesserà di rendere testimonianza a Cristo (Gv 16,1-15), anche quando sembrerà che l’apostasia sommerga tutto. Per riassumere: le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa (Mt 16,18), contro Pietro e contro la Fede; contro la Messa e contro i Sacramenti, anche quando l’uomo di iniquità siederà nel luogo santo (2Ts 2,4 e Mt 24,15). Vi è dunque una duplice rivelazione a proposito dei giudizi e castighi divini. Gli aspetti contrastanti non devono essere isolati e separati. Quando le rivelazioni private si riferiscono agli interventi della giustizia divina, esse debbono iscriversi fedelmente nella prospettiva della Rivelazione canonica. Le predizioni comminatorie fanno parte integrante del Vangelo di Gesù Cristo.
Il nostro misericordioso Salvatore si è donato come re e come giudice: giudice non soltanto alla fine del mondo, ma anche giudice nel corso della storia: «Ipsius sunt tempora et saecula». Le predizioni sulla rovina di Gerusalemme, sulla terribile fine del mondo, sulle persecuzioni dei cristiani, non possono essere tolte dai Vangeli e dalle Epistole. Svariate volte Gesù ha parlato come profeta di sventura.
Ma è profeta di sventura nel contesto del Vangelo ed è questo che cambia tutto, che fa della sua profezia un nutrimento per vivere della grazia divina, una sorgente di pace interiore e di beatitudine: «Beati qui lugent quoniam ipsi consolabuntur». Ci guarderemo dunque dal disprezzare le profezie private quando esse sono profezie di sventura e proprio per il suddetto motivo, ma chiediamo due cose: in primo luogo, titoli sufficienti per ammettere che il messaggero o la veggente ci parlino per conto di Dio, in nome di Dio, e non di loro propria iniziativa. Il che suppone la seconda condizione: che la profezia sia situata in quella linea di pace, di conversione, d’equilibrio soprannaturale che è la linea del Vangelo. In breve: che le profezie private, anche comminatorie, siano al livello d’elevazione, di sobrietà, di purezza che è quello del Vangelo.
Daremo adesso qualche direttiva più immediatamente pratica per precisare quale deve essere la condotta da tenere nell’ora attuale. Essendo la celebrazione della Messa terribilmente minacciata nell’ora attuale, tanto più bisogna custodirla e dunque dirla e assistervi nelle disposizioni richieste. È l’ora in cui, essendo difficile assicurare la vera catechesi, a maggior ragione bisogna mettercela tutta. È l’ora in cui la legislazione familiare (se così si può chiamare) diventa criminale e mostruosa e bisogna quindi combatterla con tutte le nostre forze. È l’ora in cui le innovazioni di Paolo VI sono colpite da legittimissima suspicione, come prova lo schiacciante elenco riportato nel Libellus dell’abbé de Nantes; si abbia perciò il coraggio di non sentirsi legati dalle novità di questo pontefice. È l’ora in cui i Vescovi, strumentalizzati e manovrati dalla collegialità, tentano di far prevalere un sincretismo religioso contemporaneamente massonico, comunista e cristiano; noi non dobbiamo seguire tali Vescovi. È l’ora infine nella quale dobbiamo testimoniare la Fede di sempre con disposizioni di forza e d’umiltà da rinnovare costantemente perché la nostra testimonianza non si trova di fronte ad una persecuzione violenta, il che semplificherebbe molto le cose, ma ad una rivoluzione modernista ispirata da demoni fra i peggiori ingannatori di anime.
Tale è l’ora attuale. È la diagnosi che facciamo servendoci della ragione che Dio ci ha dato, illuminata dalla luce della Fede e della riflessione teologica. È dunque nell’ora attuale, che è tale, che dobbiamo santificarci e rendere testimonianza tanto più che chiediamo a Dio che si realizzi in qualche modo, negli anni a venire, la profezia di San Pio X. Il periodo attuale richiede dal cristiano, nella stessa misura ed ancor più dei periodi precedenti, un’attitudine spirituale di lucidità, di realismo, di Fede, di carità, di speranza. Ebbene non sono queste attitudini ragionevoli e teologali che i produttori e rivendicatori di carta rivelazionista favoriscono nelle anime di buona volontà.
Essi non sembrano conoscere altro che un aspetto della profezia privata nel seno della Chiesa: l’annuncio di castighi divini. Ebbene esistono carismi d’ordine dottrinale, come l’insegnamento di saggezza, il sermo sapientiae che è concesso a qualche grande Santo per l’edificazione delle anime. Questo sermo sapientiae, a dire il vero, non è un carisma concesso alle donne; bisogna dire però che un messaggio come quello della via d’infanzia della piccola Teresa proviene da un vero carisma. Sarebbe ridurre troppo le grazie che lo Spirito di Cristo concede alla Chiesa vedendo i carismi solo nei messaggi minacciosi dati in determinate apparizioni, anche se il messaggio è ortodosso e il veggente degno di fiducia.
Una delle colpe più gravi dei rivelazionisti è questa: non hanno seriamente meditato sulla vita dei Santi e delle Sante che furono particolarmente impegnate nella profezia privata, nelle apparizioni, nel meraviglioso e nel miracolo: una Giovanna d’Arco, una Margherita Maria, una Caterina Labouré, una Bernadetta, i bambini di Fatima. Nella vita e morte di questi autentici privilegiati nient’altro che semplicità, calma, limpidezza; né smania, né esaltazione.
Il loro messaggio fu sempre il meno contorto possibile, il meno complicato. Per questo messaggio essi erano pronti a dare la loro vita e, di fatto, Santa Giovanna d’Arco fu martirizzata. Ciò nonostante, non era in una meravigliosa separazione e fuori dall’ordinario che Giovanna e gli altri avevano situato e fissato le loro anime. Come tutti i cristiani, come tutti i Santi, l’avevano fissata nella Fede, speranza, carità. Ci tenevano al loro messaggio solo perché faceva parte del dovere straordinario che Dio ordinava loro di compiere, come ordina alla maggior parte un dovere ordinario, dovere ordinario che bisogna compiere con un amore perfetto. Questi messaggeri ci tenevano al loro messaggio unicamente perché questa fedeltà primaria era per loro la condizione per poter vivere delle virtù teologali e dei doni dello Spirito Santo; qui si situa l’essenza della loro vita spirituale. Come non si può concepire la loro vita senza l’intervento dello straordinario, così non la si può concepire senza la fedeltà a rendere testimonianza di questo straordinario, ma l’anima della loro vita era la carità, non lo straordinario.
Il meraviglioso, rivelazioni e profezie, del quale erano messaggeri fedeli, è indispensabile per l’esistenza e la santità della Chiesa, per la conversione e la sopravvivenza della Francia. Il Corpo mistico non può fare a meno quaggiù delle grazie gratis datae, ma è la grazia gratum faciens, la grazia delle virtù e dei doni, che è la sua anima vivente. Giovanna, Margherita Maria, Caterina Labouré, Bernadetta, i bambini di Fatima, questi messaggeri del più eccezionale meraviglioso, non cessarono mai, comunicando e difendendo il loro messaggio, di consolidarsi nella grazia santificante, nel più umile e più realistico amore. Si può dunque ben capire che il loro messaggio, non solo per l’equilibrio del suo contenuto, ma anche per il modo di trasmetterlo, non arrecò mai agitazione bensì serenità, sia per il prossimo che per loro stessi.
La Chiesa non respinge, né può respingere il meraviglioso, le rivelazioni e i miracoli, ma la Chiesa mette al di sopra di tutto e senza confronti la vita teologale e la santità. Fedeli a questa dottrina, evitando bene di disprezzare per principio le manifestazioni del meraviglioso, ma senza essere scioccamente creduli o vanamente agitati, avendo ben messo a posto le rivelazioni private che meritano fiducia (principalmente le rivelazioni private di portata universale), le utilizzeremo al meglio nella luce della Fede, la Fede che agisce per mezzo della carità (Gal. 5,6).
Per vivere rettamente nella Chiesa al cristiano non basta dire: «L’insegnamento del magistero gerarchico mi basta; se vi è dell’altro non voglio saperlo». Perché il magistero stesso è obbligato a sapere che vi è dell’altro; non certo un altro insegnamento, del quale la gerarchia ha il deposito e la vigile custodia, ma altre voci straordinarie di messaggeri fedeli, che hanno la missione di parlare per attirare l’attenzione appunto sull’insegnamento dispensato dal magistero. Non vi è altro magistero che quello della gerarchia, non esiste un magistero ispirato che sarebbe superiore al magistero gerarchico e davanti al quale questo dovrebbe inchinarsi. Vi sono però altri messaggeri, oltre quelli gerarchici, dei messaggeri ispirati, straordinari, che i dignitari gerarchici devono accettare d’ascoltare, anche se poi è compito della gerarchia concludere e decidere. La nozione cattolica della Chiesa non esclude i carismi, ma li subordina alla gerarchia. Non esclude le rivelazioni private, chiede solamente che non siano delle illusioni private, e poi che queste rivelazioni siano in armonia con la Rivelazione.
In nessun tempo della storia della Chiesa la voce dell’autentica gerarchia (che non s’identifica con le insinuazioni della gerarchia modernista) in nessun tempo, dunque, la vera gerarchia, che garantisce a titolo ordinario e ufficiale il carisma di verità (Sant’Ireneo), ha mai preteso di soffocare le voci ispirate e straordinarie, perché queste voci, se vengono da Dio, lungi dal contraddire la Rivelazione, la ripetono, la fanno capire, persuadendo i cuori con accenti più penetranti e con un tono più appropriato alle nuove situazioni. È così che le parole del magistero gerarchico sul Sacro Cuore di Gesù non sono state cambiate dalle rivelazioni private di Santa Margherita Maria, ma dopo queste rivelazioni le stesse parole sono state dette con più veemenza e ribadite con maggior entusiasmo. Nel 1854 era risuonata la voce forte del Pontefice romano con la definizione infallibile dell’Immacolata Concezione, ma questa voce ha messo in moto le folle e mobilitato le nazioni alla preghiera e alla penitenza solo a seguito delle apparizioni dell’Immacolata a Santa Bernadetta. Si potrebbero fare analoghe constatazioni per quanto riguarda la devozione al Rosario e la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria: senza la voce ispirata dei veggenti di Fatima, la voce del magistero ordinario non si sarebbe imposta così profondamente alle anime cristiane.
E cosa dire delle rivelazioni private comminatorie? Gli avvenimenti di Mt 24 sono sempre attuali e la Chiesa continua a farli sentire nell’ultima domenica dopo la Pentecoste; solo la liturgia d’ispirazione e fabbricazione modernista cerca di farli dimenticare. La Chiesa, dunque, fa sempre risuonare nelle orecchie dei fedeli gli oracoli di Mt 24, ma affinché questi avvertimenti siano presi sul serio da molti cristiani moderni che dormono nei loro peccati, con una ottusaggine spesso simile a quella dei contemporanei di Noè alla vigilia del diluvio, è necessario, per risvegliare i dormienti, che l’insegnamento del magistero gerarchico sia, secondo le circostanze, non modificato, non piegato in senso millenaristico, ma ribadito fedelmente dai messaggeri che hanno il compito di trasmettere delle rivelazioni comminatorie. Si chiede soltanto a questi messaggeri di presentarsi con delle garanzie sufficienti, così come ci si attende che il loro messaggio sia consono al Vangelo.
Tutto questo per dire che le rivelazioni private e, in maniera generale, tutti i carismi hanno un posto nella vita della Chiesa, un ruolo non trascurabile, non supererogatorio, ma necessario; bisogna perciò ben metterle al loro posto: subordinandole all’autorità del vero magistero (che non è il falso magistero modernista), situandole nel solco della Rivelazione divina lasciandoci risvegliare, toccare, convertire, edificare dall’accento straordinario con il quale ci ripetono le parole di vita eterna.
Da “Breve Apologia della Chiesa di sempre”, p. Calmel, ed. Ichthys