Il 12 novembre 1944 Pio XII riceveva in Vaticano l’Unione Italiana Medico-Biologica “San Luca” e rivolgeva ai partecipanti all’udienza un discorso sulla importanza della scienza, sulla dignità dell’uomo, sull’attività del medico cristiano. Ne traiamo alcuni brani.
La vostra presenza, diletti figli, richiama alla Nostra mente il ricordo di una scena svoltasi a Parigi nel dicembre del 1804. Nella gran sala del Louvre, ove numerose delegazioni accorrevano a rendere omaggio al Vicario di Cristo e a ricevere la sua benedizione, furono presentati al Sommo Pontefice Pio VII cinque giovani medici – tra i quali era il celebre Laennec – membri della Congregazione Auxilium christianorum fondata pochi anni prima in quella Metropoli. Il Papa non poté trattenere un primo movimento di sorpresa: «Oh! – egli disse sorridendo – medicus pius, res miranda!». Nella pesante atmosfera di una educazione intellettuale materialistica un’Associazione, qual è la vostra Unione Italiana Medico-Biologica « San Luca » —, contribuisce ad immettere come una corrente di aria pura e salubre : innanzi tutto, dirigendo gli spiriti verso quelle verità fondamentali della sana ragione e della fede, nelle quali le grandi questioni dell’etica medica trovano la loro soluzione; in secondo luogo, affermando e applicando i principi cristiani nell’esercizio pratico della medicina e nella formazione della gioventù studiosa …
Scienza mirabile già nel campo suo proprio per tutto ciò che essa rivela, l’anatomia ha la virtù d’introdurre la mente in regioni ancor più vaste ed elevate. Ben lo sapeva, ben lo sentiva il grande Morgagni, quando, durante una dissezione, lasciando cadere dalle sue mani il bisturi, esclamò: Ah, se io potessi amare Iddio come lo conosco! Che se l’anatomia manifesta la potenza del Creatore nello studio della materia, la fisiologia penetra nelle funzioni del meraviglioso organismo, la biologia vi scopre le leggi della vita, le sue condizioni, le sue esigenze e le sue generose liberalità. Arti provvidenziali, la medicina e la chirurgia applicano tutte queste scienze a difendere il corpo umano, tanto fragile quanto perfetto, a riparare le sue perdite, a guarire le sue infermità. Inoltre, il medico, più che altri, dappertutto interviene non meno col suo cuore che con la sua intelligenza; egli non tratta una materia inerte, per quanto preziosa; un uomo come lui, un suo simile, un suo fratello soffre tra le sue mani. Ben più, questo paziente non è una creatura isolata; è una persona che ha il suo posto e il suo ufficio nella famiglia, la sua missione, sia pure umile, nella società. Più ancora, il medico cristiano non perde mai di vista che il suo malato, il suo ferito, il quale, grazie alle sue cure, continuerà a vivere per un tempo più o meno lungo o, nonostante le sue premure, morrà, è in via verso una vita immortale e che dalle disposizioni dell’infermo al momento del definitivo passaggio dipende la sua infelicità o la sua beatitudine eterna …
Senza dubbio il dolore fisico ha anche una naturale e salutare funzione: esso è un segnale d’allarme, che svela il nascere e lo svilupparsi, spesso insidioso, dell’occulto malore, e induce e spinge a procurare il rimedio. Ma il medico incontra inevitabilmente il dolore e la morte nel corso delle sue ricerche scientifiche, come un problema di cui il suo spirito non possiede la chiave … finché egli non domanda alla fede una risposta che, sebbene non completa, quale è nel mistero dei disegni di Dio e si farà palese nella eternità, vale tutta a tranquillare il suo animo. Ecco questa risposta. Iddio, creando l’uomo, Io aveva per dono di grazia esentato da quella legge naturale di ogni vivente corporeo e sensibile, non aveva voluto mettere nel suo destino il dolore e la morte; il peccato ve li ha introdotti. Ma Egli, il Padre delle misericordie, li ha presi nelle sue mani, li ha fatti passare per il corpo, le vene, il cuore del suo Figlio diletto, Dio come lui, fatto uomo per essere il Salvatore del mondo. Così il dolore e la morte sono divenuti per ogni uomo, che non respinge Cristo, mezzi di redenzione e di santificazione. Così il cammino del genere umano, che si svolge in tutta la sua lunghezza sotto il segno della Croce e sotto la legge del dolore e della morte, mentre matura e purifica l’anima quaggiù, la conduce alla felicità senza limiti di una vita che non ha fine. Di fronte dunque all’imperioso problema del dolore, quale risposta il medico potrà dare a se stesso? quale all’infelice, che l’infermità abbatte in un cupo torpore, o che insorge in una vana ribellione contro la sofferenza e la morte? Soltanto un cuore penetrato da una viva e profonda fede saprà trovare accenti d’intima sincerità e convinzione, capaci di far accettare la risposta dello stesso Maestro divino: È necessario patire e morire, per entrare così nella gloria (cfr. Luc. 24, 26. 46). Egli lotterà con tutti i mezzi e gli espedienti della sua scienza e della sua abilità contro la malattia e la morte, non con la rassegnazione di un disperato pessimismo, né con la «esasperata risolutezza», che una moderna filosofia crede di dover esaltare, bensì con la calma serenità di chi vede e sa ciò che il dolore e la morte rappresentano nei disegni salvifici dell’onnisciente e infinitamente buono e misericordioso Signore.
È dunque manifesto che la persona del medico, come tutta la sua attività, si muovano costantemente nell’ambito dell’ordine morale e sotto l’impero delle sue leggi. In nessuna dichiarazione, in nessun consiglio, in nessun provvedimento, in nessun intervento, il medico può trovarsi al di fuori del terreno della morale, svincolato e indipendente dai principi fondamentali dell’etica e della religione; né vi è alcun atto o parola, di cui non sia responsabile dinanzi a Dio e alla propria coscienza …
Il quinto comandamento – Non occides (Exod. 20, 13) -, questa sintesi dei doveri riguardanti la vita e la integrità del corpo umano, è fecondo d’insegnamenti, così per il docente sulla cattedra universitaria, come per il medico esercente. Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine. Della vita di un uomo, non reo di delitto punibile con la pena di morte, solo signore è Dio! Il medico non ha diritto di disporre né della vita del bambino né di quella della madre: e niuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana potestà, può autorizzarlo alla diretta distruzione di essa. Il suo ufficio non è di distruggere le vite, ma di salvarle. Principi fondamentali e immutabili, che la Chiesa nel corso degli ultimi decenni si è vista nella necessità di proclamare ripetutamente e con ogni chiarezza contro opinioni e metodi opposti. Nelle risoluzioni e nei decreti del magistero ecclesiastico il medico cattolico trova a questo riguardo una guida sicura per il suo giudizio teorico e la sua condotta pratica …
Luca, che S. Paolo chiamò «medico carissimo» (Col. 4, 14), scrisse nel suo Vangelo: «Tramontato poi il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui (Gesù). Ed egli, imposte a ciascuno di essi le mani, li risanava» (4, 4). Senza possedere tale prodigiosa virtù, il medico cattolico, che è realmente quale la sua professione e la vita cristiana esigono. vedrà tutte le umane miserie cercare presso di lui un rifugio e chiedere alla sua mano benefica di stendersi e posarsi sopra di loro. E Iddio benedirà la scienza e la perizia di lui, affinché possa guarire molti e, ove ciò non gli sia dato, procurare almeno agli afflitti alleviamento e conforto.
Con l’augurio che così preziosa grazia vi sia abbondantemente concessa nella molteplice opera vostra, impartiamo di gran cuore a tutti voi qui presenti, alle vostre famiglie. a quanti avete in desiderio e in affetto, ai malati affidati alle vostre cure, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.
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fonte: vatican.va
fonte immagine: liturgia.mforos.com