Volentieri offriamo ai lettori questo felice estratto della Storia Universale della Chiesa – L’apice della potenza ecclesiastica-politica dei Papi, le Crociate, la Scolastica, del Card. G. Hergenröther.
Ma dopo il 1073, impadronitisi del regno i turchi seldsciucidi, condotti da Melek Sciah, le persecuzioni contro i cristiani infuriarono ogni dì più, e ancor più feroci divennero quando nel 1086 Gerusalemme fu abbandonata al furore dell’orda selvaggia condotta dal barbaro Orthok. Le chiese cristiane saccheggiate, gli altari infranti, i sacerdoti e pellegrini maltrattati, spesso fino a morirne. Nel 1095, alcuni pellegrini di ritorno da Terra Santa e con essi gl’inviati dell’imperatore greco Alessio presentarono nel sinodo di Piacenza vivi lamenti delle tante violenze che i saraceni commettevano contro i luoghi santi e i loro veneratori, e sempre più eccitarono il pensiero di recare ad essi aiuto contro i mussulmani ed insieme strappare alle mani degl’infedeli il paese, ove il Signore aveva conversato in umana carne. La crescente civiltà e potenza dell’Occidente, e ancor più la forza della fede e del trionfo sempre più manifesto della Chiesa nella lotta delle investiture, rendevano insoffribile l’onta inflitta al nome cristiano. La liberazione di Gerusalemme diveniva la meta dei desideri e degli sforzi dei più nobili cavalieri.
Si trattava di porre al sicuro i beni più nobili del genere umano, liberare i luoghi santi, cioè i più sacri per ogni cristiano, che furono teatro delle opere e dei patimenti di Cristo, e quivi rendere grazie al Salvatore per le infinite benedizioni, che al genere umano aveva recato. La lotta poi contro l’islamismo, il quale minacciava di continuo all’Europa cristiana, ebbe i più salutevoli effetti, ed era al tutto giustificata per le vessazioni usate dall’islamismo stesso a danno così dei cristiani d’Europa come di quelli d’Oriente condannati quasi ad essere distrutti. Ciò che i sovrani di Bisanzio, antichi signori della Siria e della Palestina minacciati essi pure dai saraceni, non potevano, era facile ai principi e ai cavalieri cristiani d’Occidente, pieni della brama di operare cose grandi non meno che dell’ardore della fede. Così quivi tanto poté il sentimento religioso che migliaia e migliaia di uomini abbandonarono allegramente ogni cosa e fra mille stenti e privazioni trassero in Palestina a vendicare il disonore della cristianità, a difenderla dai suoi nemici naturali, a strappare finalmente la tomba dell’Uomo Dio alla profanazione degli infedeli. E come già un tempo una forza misteriosa sospingeva le orde dei barbari verso l’Occidente e il Mezzodì contro Roma, così ora uno spirito superiore guidava i guerrieri germani e romani già inciviliti verso l’Oriente ripiombato nella barbarie, verso Gerusalemme.
Ma una simile impresa richiedeva l’accordo di molti principi e popoli: e questo solamente dal Capo della cristianità si poteva ottenere. I Papi furono in effetti quelli che primi rivolsero l’animo ad una impresa sì grande; con la più ferma costanza e senza posa la eccitarono e promossero; e anche quando altri ornai non vi pigliavano più parte, né impegno, vi persistettero sempre con mirabile perspicacia e con frutto. Gregorio VII, richiesto di aiuti dall’imperatore greco Michele Ducas nel 1074, faceva già disegno di muovere alla testa di un esercito cristiano in Oriente, ma fu impedito dall’attuare così grandioso disegno per i rivolgimenti seguiti alla corte di Bisanzio non meno che a quella di Germania. Vittore III dopo lui mosse Genova e Pisa e i loro alleati ad una felice spedizione contro i mussulmani d’Africa, i quali disertavano e predavano le costiere d’Italia.
Ma ad Urbano IIera riserbato il vanto di effettuare finalmente la spedizione di Palestina; e a ciò egli si giovò dei suoi viaggi per l’Alta Italia e per la Francia, come dei sinodi di Piacenza e di Clermont. Le parole ispirate del pontefice operarono fortemente sugli animi dei presenti. Al grido: «Dio lo vuole!» migliaia e migliaia facevano il voto di passare in Palestina, e si appuntavano una croce sulla spalla destra. Urbano dichiarò che a quanti con retta intenzione, e non per cupidigia di onori e di denaro, traevano in Palestina a liberare la Chiesa di Dio, tale spedizione varrebbe in luogo di tutte le penitenze canoniche; fece prescrizioni quanto alla parte che vi avevano da prendere gli ecclesiastici ed i laici, e nominò suo legato per quella spedizione l’eccellente vescovo del Puy, Ademaro. Pietro di Amiens, che aveva veduto coi suoi propri occhi i patimenti della Chiesa di Gerusalemme, sorse a predicare con ardore la crociata in Normandia. L’entusiasmo in Francia si fece universale: di quivi si propagò nei paesi vicini e trascinò a sé molti prodi guerrieri. Vero è che alcuni vi erano tratti dalla vaghezza d’imprese, dalla cupidigia del bottino, o da altri anche più ignobili motivi; ma nella sostanza l’opera era effetto di entusiasmo religioso, di fede e di amore al Salvatore del mondo. A tutte le grandi imprese s’immischiano umane debolezze e passioni, ma non perciò esse né in sé, né per la maggioranza di quelli che vi hanno parte, perdono il loro merito e il loro splendore[i].
[i] Greg. VII, Registr. l. II, ep. 31, 49; 1. I, ep. 46. Mansi l. c. XX, 97, 100, 149, 153.Gfrorer, Gregor VII. Vol. VII, p. 362 ss. Urbano II ap. Guill. Tyr. l. c. I, 14 (Bongars l. c. I, 640). Robert. monach., Baldericus, Hist. Ierus., Guibertus, Hist. Hieros. (ibid. p. 31 s. 88, 479). Hefele, Conciliengesch. V. 215 ss.
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Immagine in evidenza: La cattura di Damietta (Cornelis Claesz van Wieringen), Pub. Dom.