di Luca Fumagalli
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di J. R. R. Tolkien e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo. Link all’acquisto.
La Chiesa, specialmente negli ultimi anni di vita, causò a Tolkien più di una preoccupazione.
Ferrandez Bru, nel saggio J. R. R. Tolkien e Francis Morgan. Una saga familiare, racconta come per lo scrittore inglese la Fede fosse qualcosa di fondamentale: si recava a Messa ogni giorno – Humphrey Carpenter, che tra l’altro definisce «appassionata e totale» l’adesione del professore al cattolicesimo, dedica nella sua biografia un paio di pagine alla descrizione di questa buona abitudine – e molto ebbe a soffrire a causa dell’avversione dell’amico C. S. Lewis per il “papismo” e dell’atteggiamento tiepido della moglie Edith. Una lettera di Tolkien del 1941 indirizzata al figlio Michael si chiude proprio con un elogio del Santissimo Sacramento che coinvolge pure la morte, descritta con i medesimi echi francescani ravvisabili nelle sue opere: «Qui troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e l’autentica via per tutti i tuoi amori sulla terra, e ancora di più: la Morte; che, per il divino paradosso, dà termine alla vita e richiede la rinuncia a tutto, eppure solo gustandola (o pregustandola) ciò che cerchi nelle relazioni terrene (amore, fedeltà, gioia) può mantenersi, o assumere quell’apparenza di realtà, di eterna durata, che il cuore di ogni uomo desidera».
Tolkien era inoltre così profondamente devoto alla Madonna che vari critici hanno notato dei riflessi mariani nelle figure dell’Elfa Galadriel e di Elbereth, Regina delle Stelle; più in generale, il culto dei santi era per lui qualcosa di imprescindibile, in parte legato alla sua avversione per l’esoterismo. Così scriveva in una lettera del 1954: «I Santi sono quelli che malgrado tutte le loro imperfezioni non hanno mai totalmente piegato il cuore e la volontà al mondo dello spirito del male (in termini moderni ma non universali: alla Macchina, al materialismo “scientifico”, al socialismo in ognuna delle sue varietà che oggi sono in guerra)».
La sua Fede fu messa seriamente alla prova solamente negli anni del Concilio Vaticano II, quando, tra il 1962 e il 1965, la Chiesa diede il via a un processo di aggiornamento teologico-dottrinale che non mancò di suscitare polemiche. Del resto, oltre al professore di Oxford, furono molti gli esponenti di spicco del revival cattolico in Inghilterra che assunsero posizioni scettiche – quando non apertamente critiche – nei confronti delle riforme promosse dal Concilio. Pochi, come Graham Greene, furono gli entusiasti: la maggior parte degli intellettuali, al contrario, avanzò più di una riserva. Il capofila dei dissidenti fu senza ombra di dubbio Evelyn Waugh, che dal giorno della chiusura del Concilio non smise mai di chiedere a Dio di poter morire ancora cattolico (pertanto, nella sua scomparsa, avvenuta improvvisamente durante la Pasqua del 1966, si è tentati di scorgere un segno provvidenziale di qualche sorta).
Al pari di Waugh, anche Tolkien visse con sentimenti contrastanti quanto stava avvenendo al Concilio. George Sayer, che con il professore discusse lungamente durante gli anni Sessanta, in un’intervista rilasciata a Joseph Pearce parlò di una matrice “tradizionale” del cattolicesimo tolkieniano: «Era un cattolico molto rigoroso. Era molto ortodosso e vecchio stile, e si oppose alla maggior parte dei nuovi sviluppi nella Chiesa al tempo del Concilio Vaticano II». Parole analoghe sono impiegate da John Tolkien, il figlio dello scrittore, diventato sacerdote negli anni Quaranta: a sua detta il padre era «contro i cambiamenti, […] soprattutto la perdita del latino». Anche Carpenter lo nota: «Un’altra sorgente di infelicità fu, in età avanzata, l’abolizione della Messa in latino, poiché l’introduzione dell’inglese nella liturgia al posto di quel latino che aveva conosciuto e amato sin da ragazzo lo aveva profondamente ferito».
Del resto il 1 settembre 1963 lo stesso Tolkien aveva scritto una lettera in cui, dopo aver espresso tutto il suo amore per il Papato romano e per l’Eucarestia, elogiava San Pio X, il Pontefice che, secondo lui, aveva fatto «la più grande riforma dei nostri tempi». In un’altra epistola indirizzata al figlio Michael, manifestò più esplicitamente i suoi dubbi: «So abbastanza bene che, sia per me che per te, la Chiesa che una volta percepivamo come un rifugio, ora sembra spesso una trappola. […] Penso che non ci sia nulla da fare se non pregare, per la Chiesa, per il Vicario di Cristo, e per noi stessi; e allo stesso tempo esercitare la virtù della lealtà, che diventa veramente una virtù solo quando vi è il serio rischio di tradirla».
Le accuse di Tolkien erano dirette soprattutto ai novatori, in particolare a coloro che pretendevano di tornare a una presunta purezza originale: «Cosa fosse la “Chiesa primitiva”, nonostante tutte le ricerche, rimarrà qualcosa di ampiamente sconosciuto; […] ciò che è primitivo non è garanzia di valore». Nel prosieguo della lettera, il professore di Oxford spiega poi come sia assurda la pretesa di estirpare un albero per ricercarne il seme: semplicemente quest’ultimo non c’è più; il tronco, le fronde e le foglie sono la sua naturale evoluzione, non certo un tradimento.
Altre questioni scottanti, come l’ecumenismo, incontrarono solo in parte il suo favore: se da un lato Tolkien considerava ovvio che i soldati del cattolicesimo non potessero vincere la guerra rimanendo sempre asserragliati nella propria fortezza, dall’altro ricordava a Michael: «Che cosa sarebbe ora la cristianità se la Chiesa di Roma fosse stata distrutta?».
Tuttavia, a differenza di Waugh, non intraprese la strada dell’opposizione militante. Optò – come la maggior parte dei perplessi – per l’ubbidienza, accettando con rassegnazione cambiamenti che non capiva fino in fondo. Davanti a un tale smarrimento scelse l’unica soluzione che gli pareva possibile, quella cioè di affidarsi al giudizio del Papa. D’altronde, lo aveva imparato sin da piccolo, non era pur vero che il Pontefice non poteva ingannarsi e ingannare in materia di Fede?
Fonte: L. FUMAGALLI, La Società della Contea. Appunti sulla filosofia politica di J. R. R. Tolkien, NovaEuropa Edizioni, 2019.
Seguite Radio Spada su:
- Telegram: https://t.me/Radiospada;
- Gloria.tv: https://gloria.tv/Radio%20Spada;
- Instagram: https://instagram.com/radiospada;
- Twitter: https://twitter.com/RadioSpada;
- YouTube: https://youtube.com/user/radiospada;
- Facebook: https://facebook.com/radiospadasocial;
- VK: https://vk.com/radiospada.
Fonte immagine: https://ilpensierostorico.com/wp-content/uploads/2022/01/Tolkien.jpg