di Luca Fumagalli
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Maurice Baring e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo. Link all’acquisto.
Se l’inglese Maurice Baring in vita era «uno dei più celebrati romanzieri cattolici», lodato, tra gli altri, dal francese Mauriac, oggi di lui si sono quasi completamente perse le tracce. In Italia i suoi titoli non sono più stampati da decenni, mentre nel Regno Unito preziosi interventi di critici del calibro di Edmund Wilson, Paul Horgan e Joseph Epstein hanno illuso chi sperava in un revival. Tuttavia negli ultimi vent’anni non sono mancate sporadiche iniziative finalizzate a valorizzare l’opera di Baring, compresa la ripubblicazione dei suoi migliori romanzi da parte della casa editrice House of Stratus.
Lo scrittore, nato nel 1874, era l’erede dei lord Asburton e Revelstocke, settimo di otto figli. La sua famiglia, discendente di un pastore protestante tedesco, aveva dato all’Inghilterra, sin dal XVIII secolo, grandi banchieri, amministratori e finanzieri. Ottenuta la laurea ad Oxford, Baring aveva scelto la carriera diplomatica, abbandonata in seguito per il giornalismo e la scrittura. Nel 1909 si era convertito al cattolicesimo – «l’unica azione nella mia vita di cui sono abbastanza certo di non essermi mai pentito» –, associando alla vecchia amicizia con Hilaire Belloc quella con G. K. Chesterton (i tre sono raffigurati insieme nel dipinto Conversation Piece di James Gunn). I numerosi viaggi per il mondo gli lasciarono, tra le altre cose, una profonda passione per gli scrittori russi, in particolare per Cechov, la cui influenza, accanto a quella di Proust e Gide, è ravvisabile nei suoi romanzi, tutti pubblicati dopo la Grande Guerra e caratterizzati da «uno stile totalmente naturale». A interromperne una carriera singolarmente feconda, costellata pure di saggi, poesie e testi teatrali, intervenne negli anni Trenta il morbo di Parkinson che accompagnò Baring fino alla morte, nel 1945.
Nelle opere dell’inglese, scrive Epstein, «si scorge l’influenza dell’approccio religioso alla vita sulla letteratura, e i scoprono sia la sua forza che la sua debolezza». Racconti di formazione e amori infelici donano al lettore un senso diffuso di lacrimae rerum, come se l’esistenza, con gli imprevisti del quotidiano, fosse al fondo intollerabile, abitata da imperfezioni, delusioni e sconfitte che paiono non promettere mai nulla di buono. A segnare il clima è la perenne incompiutezza, una promessa di felicità che, pur facendo occasionalmente capolino tra le pagine, è destinata ad allontanarsi ogni volta che si ha l’illusione di averla a portata di mano. Ciò dona alla prosa di Baring una particolare allure drammatica, una nota di strisciante decadenza, con protagonisti che tentano inutilmente di affrontare un male che è più grande di loro. La narrazione procede a guizzi, a colpi di reni, e se talvolta si cristallizza in una freddezza che mal si accoppia con le forti emozioni che attraversano i cuori dei personaggi, un sentore di sospeso è l’incentivo più forte per il lettore che si ritrova presto a sfogliare una pagina dopo l’altra alla caccia di una qualche risoluzione.
Tutto dà l’impressione di volgere al peggio, eppure la speranza resta: senza cadere nell’errore di trasformare i propri romanzi «pieni di teologia» in opere stucchevolmente apologetiche, Baring, armato di rara delicatezza, mostra che le porte della redenzione sono aperte per chiunque lo voglia. La fede è ciò che rimette insieme i pezzi dispersi di un puzzle, ridando ordine al caos e senso alla follia, e pure il miracolo, soprattutto nelle sue ripercussioni psicologiche, ricopre un ruolo nel felice esito della vicenda.
Queste caratteristiche si ritrovano in La tunica senza cuciture (The Coat Without Seam, 1929), a detta di Ralph McInerny e di altri studiosi uno dei romanzi più riusciti di Baring. Del libro, dedicato all’Abbé Mugnier, amico e confessore di Huysmans, esiste pure una vecchia traduzione italiana targata Istituto di Propaganda Libraria.
La vicenda, che abbraccia un arco temporale di diversi anni, ha per protagonista Christopher Trevenen. Del ragazzo, tormentato da un non facile rapporto con i propri genitori, reso ancora più complicato dall’improvvisa morte della sorella maggiore, si segue la carriera scolastica fino all’età adulta, quando Christopher tenta dapprima la via della carriera diplomatica per poi rassegnarsi a fare il corrispondente estero per la stampa inglese (impossibile non scorgere in questi passaggi echi della biografia di Baring). Condannato dalla cattiva sorte a perdere ogni occasione che gli viene offerta, la sua vita, come nota Emma Letley, «consiste in una serie di amicizie infrante, amori infelici e scelte di carriera sfortunate. Più dolorosamente, è una vita di possibilità evaporate».
La storia del giovane è intervallata con quella della tunica senza cuciture, «un pezzo di stoffa logora rosso scuro», il vestito che i soldati romani tirarono a sorte dopo la crocifissione di Gesù. Christopher si imbatte svariate volte nelle pie leggende legate alla reliquia – ad anticipare sempre eventi drammatici –, ma solo nell’epilogo arriva a comprendere che essa, a prescindere dalla veridicità o meno delle sue proprietà miracolose, ha un’importantissima valenza simbolica: l’esistenza è infatti una stoffa lacerata dal peccato, dalle infinite contraddizioni dell’umano, e solo Dio è in grado di riportarla alla sua originale unità.
All’epoca della pubblicazione, Chesterton, subodorando che il romanzo avrebbe senz’altro scatenato le ire dei recensori protestanti e laicisti, scrisse a Baring una lettera piena d’affetto: «È straordinario come il mondo esterno riesca a notare tutto tranne il punto. E curiosamente è così con buona parte del lavoro cattolico di grande qualità che oggi è fatto nella letteratura, specialmente in Francia. […] Io sono solo un volgare giornalista polemico e non ho mai preteso di essere un romanziere; in ogni caso la mia scrittura non riesce ad essere così fine e delicata come la tua. […] Ma ci sono molte persone che apprezzeranno qualcosa di buono come La tunica senza cuciture».
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Fonte immagini: https://www.kobo.com/us/en/ebook/the-coat-without-seam-1