Volentieri offriamo ai lettori questo interessante estratto da Il processo ai templari, lo Scisma d’Occidente, le eresie di Wyclif e Hus (Card. Hergenröther, vol. VII della Storia universale della Chiesa).


Nel 1369 venne a Roma l’imperatore greco Giovanni Paleologo, vi abiurò lo scisma, e fece omaggio al Papa. Ma Urbano V fu trafitto nell’anima in vedere che nessuno dei principi di Occidente si moveva a dare soccorso a quel monarca minacciato di continuo dagli ottomani, né le compagnie di ventura a quel tempo sì numerose in Italia volevano smettere le loro meschine e interessate guerriglie, per difendere un imperatore cristiano contro la prepotente mezzaluna[i]. Di più, la ribellione di Perugia, il rinnovarsi delle minacce da parte dello sleale Visconti, lo sfacelo politico dell’Italia, l’incertezza d’ogni ordinamento fecero in lui la più dolorosa impressione. Vero è che il re Luigi d’Ungheria gli si profferse di scendere in Italia con diecimila uomini in suo soccorso, ma Urbano rifiutò l’offerta. Infine l’insistenza dei cardinali francesi, di cui aveva egli pure cresciuto il potere nel 1368 con una nuova promozione, il timore dello scompiglio che da capo minacciava in Italia, il contrasto fra le condizioni cotanto migliori, tra cui era vissuto in Avignone, e quelle dell’Italia d’allora, l’indussero, nel maggio 1370, a far palese in Montefiascone il proposito suo di ritornarsene in Provenza; al che inoltre gli dava buon pretesto la mediazione, che ormai gli era necessario d’interporre, tra la Francia e l’Inghilterra.

I migliori fra gl’italiani gemettero di una tale risoluzione: i deputati di Roma lo supplicarono di ritornare alla sua metropoli, s. Brigida di Svezia gli prenunziò che la morte l’incaglierebbe immediatamente al suo arrivo in Francia. Ma il Papa restò fisso nel suo proposito e dispose ancora vari provvedimenti per gli stati della Chiesa; indi, il 5 di settembre 1370, con tutta la sua corte, si mise in mare a Corneto; il 16 giunse in Marsiglia e il 24 fece la sua entrata in Avignone, dove fu accolto con tante maggiori feste, quanto meno se ne sperava ormai il ritorno[ii]. Poco stante Urbano V ammalò, ma pure con tanto più vigore continuò a dirigere gli affari, quanto più si sentiva venir meno le forze. Indi con acceso fervore si dispose alla morte. Il 19 dicembre del 1370 – dopo aver fatto aprire le porte del palazzo, che egli abitava, di suo fratello allora assente in Bologna, affinché tutti i fedeli potessero vedere come muore un Papa – giacendo sopra un povero letticciuolo, indossando l’abito di s. Benedetto che mai aveva deposto, col crocifisso fra le mani, e pieno di rassegnazione spirò l’anima sua. Egli era in odore di santità, e molti principi chiesero la sua beatificazione, la quale, come sembra, non fu impedita se non dallo scompiglio che seguì indi a poco per lo scisma; Pio IX confermò il culto prestatogli di beato.

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[i] E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino, 1844. A. Fabretti, Biografie dei Capitani venturieri dell’Umbria, Montepulciano, 1842 ss. G. Canestrini, Documenti per servire alla storia della milizia italiana, Firenze, 1851. Archivio storico italiano t. XV.

[ii] Revelat. s. Birgittae l. IV, c. 138 s., ed. Ioann. de Turrecrem., Romae, 1488, 1521 e spesso Petrarca, Senil. l. III, ep. 13.