di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Marshall e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secoloLink all’acquisto.

«Più vecchi si diventa,

meno si osa guardare in faccia la realtà»

Lanciato in Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta dalla casa editrice Longanesi, lo scozzese Bruce Marshall è oggi ricordato soprattutto per i suoi romanzi a tema religioso, con sacerdoti come protagonisti, quali A Ogni uomo un soldo, Tutta la gloria nel profondo e Il miracolo di Padre Malachia (quest’ultimo considerato da molti il suo capolavoro). Tuttavia nella vasta bibliografia dello scrittore cattolico, che conta più di quaranta titoli, figurano opere di genere diverso e vari sono pure gli argomenti trattati.

Il mese delle foglie che cadono (The Month of the Falling Leaves, 1963), ad esempio, è una spy story ambientata al tempo della Guerra fredda. La vicenda, caratterizzata dall’inconfondibile piglio umoristico di Marshall, ha per protagonista il cinquantenne Harold Twinberrow Hilliard, professore di filosofia in un’università di provincia. Il suo ultimo saggio ha venduto così bene in Polonia che la Società Metafisica di Varsavia lo ha invitato a tenere una conferenza. A causa di una serie di sfortunate coincidenze viene però scambiato per un agente segreto e presto si ritrova alle calcagna gli uomini del controspionaggio polacco. Seguiranno una serie di incontri e di avventure tragicomiche che, oltre a Hilliard, coinvolgeranno anche una giovane giornalista che crede nella telepatia e che sogna di fondere la dottrina cattolica con quella comunista, Wanda Zamoyska, di cui il professore, spirito solitario intrappolato in un matrimonio tutt’altro che felice, finirà per innamorarsi.

La prosa di Marshall, schietta ma delicata, contraddistinta da una sobrietà che rifiuta svolazzi e inutili orpelli, come sempre lascia ampio spazio alle citazioni – Newman, Brooke, Pope… – e agli inserti plurilinguistici. Il risultato è un romanzo godibilissimo, dedicato a Morris West e impreziosito dalla citazione inziale tratta da La peste di Camus, che si lascia leggere tutto d’un fiato, fino all’epilogo dal sapore decisamente agrodolce. Sebbene non si tratti di una delle opere imprescindibili dello scozzese, rivela comunque la sua notevole abilità nel tessere trame intricate e coerenti, dove alla fine tutti i pezzi del puzzle trovano la loro giusta collocazione.

Il titolo, una perifrasi polacca per indicare il mese di novembre, sembra suggerire una poeticità che, in verità, nel testo è totalmente assente. A partire da Hilliard, un antieroe vittima degli eventi, e dai personaggi che gli gravitano intorno, fino ad arrivare agli improbabili nomignoli che usano gli agenti sotto copertura, tutto è così terribilmente prosaico da sfociare nella caricatura grottesca, in una deformazione svilente del reale che ricorda i primi lavori di Evelyn Waugh (lo scrittore inglese era un ammiratore di Marshall e il suo romanzo d’esordio, Declino e caduta, è citato nelle pagine finali del libro proprio per alludere allo stato comatoso della modernità). Non per questo manca il dramma autentico, ma in generale a prevalere sono i toni farseschi di un mondo che fondamentalmente non crede più in nulla.

Illuminanti, a tal proposito, le riflessioni intorno a un’umanità i cui aneliti esistenziali non vanno oltre le quattro pareti del bagno oppure quelle legate al cinismo della classe dirigente britannica e al suo asservimento al dio denaro: «Un paese che permette a magnati e ad adolescenti di calpestare le ossa di due generazioni di soldati morti in guerra e il frutto del loro sacrificio ha perso qualsiasi diritto alla lealtà dei cittadini». Non è un caso che nel Regno Unito i libri di Hilliard non interessino a nessuno e che il suo paese non gli abbia mai offerto una concreta possibilità di uscire dalla mediocrità; anche durante il Secondo conflitto mondiale, quando sperava nell’azione, il professore era stato relegato dietro a una scrivania.

Ad ogni modo Il mese delle foglie che cadono contiene pure interessanti considerazioni sul comunismo, sulla storia della Polonia e sulla la fede. Per quanto riguarda il primo punto, Hilliard ha le idee chiare: «Forse tutte le ideologie non sono che una disputa sul come chiamare speranza la disperazione». Il pensiero gli è suggerito del volto anonimo e desolante di Varsavia, completamente ricostruita dopo la guerra. Al contrario, la visita al cimitero Powazkowski gli rivela il forte attaccamento dei polacchi alla loro terra, figlia di una storia tanto gloriosa quanto dolorosa (soprattutto per la Chiesa, i cui ministri continuano ad essere censurati e arrestati). Ecco perché una spia filo-occidentale, un sacerdote, sente il bisogno di ribadirgli che «in Polonia la santità non è mai stata santocchieria o il sentimento sentimentalismo»; più avanti, invece, Wanda si interroga retoricamente sul ruolo di agnello sacrificale che il destino sembra aver assegnato al suo paese: «Perché, sulla croce, come Cristo tra i ladroni, ci dev’essere sempre la Polonia? Non potrebbe qualche volta esserci la Svizzera?». Il vago scetticismo di Hilliard, figlio di un’affiliazione puramente formale all’anglicanesimo, si scontra dunque con un contesto in cui la religione è ancora importante e in cui essere cristiano significa pagare un caro prezzo: «Saremo presi e moriremo martiri», dice nuovamente Wanda, «per me sarà più facile che per voi, perché io morirò per la Polonia cattolica, mentre voi morirete soltanto per titoli e azioni di borsa!».

A dimostrazione di un certo spessore di fondo, in conclusione merita di essere segnalato che da Il mese delle foglie che cadono è stato tratto nel 1968 un film per la tv tedesca, intitolato Der Monat der fallden Blätter, di cui Marshall ha co-scritto la sceneggiatura.



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