di Luca Fumagalli

«Per la Scozia io canto,

la nazione rovinata da Knox,

che il poeta e il santo

devono ricostruire con la loro passione»

(George Mackay Brown, Prologue)

Continua la rubrica dedicata alla presentazione e al commento dei migliori racconti di George Mackay Brown, tra gli scrittori più significativi del cattolicesimo scozzese del XX secolo. Originario delle isole Orcadi, Brown fu poeta, romanziere, saggista e drammaturgo, capace di coniugare nei suoi lavori l’amore per le piccole patrie con l’universalità del messaggio cristiano.

Per una nota introduttiva sulla figura di George Mackay Brown e sulla sua opera si segnalano i seguenti articoli:

Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown

«Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown

Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown

Due articoli dedicati ad altrettanti racconti di Brown sono già apparsi fuori rubrica:    

“The Tarn and the Rosary” e “Winter Tale”

Per le precedenti puntate della rubrica:

“The Story of Jorkel Hayforks” / “Witch” / “Master Halcrow, Priest” / “Five Green Waves” / “A Treading of Grapes” / “The Wireless Set / A Time to Keep / “The Bright Spade” / “Celia” / “The Eye of the Hurricane” / “Icarus” / “A Calendar of Love” / “Sealskin” / “The Cinquefoil” / “The Drowned Rose” / “The Seven Poets” / “Andrina” e “The Day of the Ox” / The Masked Fisherman” e “The Christmas Dove” / “Dancey” e “Shell Story” / Le altre storie di “A Calendar of Love” / Le altre storie di “A Time to Keep” / “The Fires of Christmas” / “The Fight at Greenay” e “The Burning Harp”

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Brown e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secoloLink all’acquisto.

In “Tithonus”, uno dei racconti più riusciti della raccolta Hawkfall (1974), il ricorrente tema della decadenza delle Orcadi non è affrontato, come di consuetudine in Brown, dal punto di vista dei poveri abitanti delle isole, perlopiù contadini e pescatori, ma da quello dell’eponimo laird, che assiste impotente al lento disfacimento della comunità di cui è a capo. Il titolo della storia, che richiama Tennyson, fa riferimento alla mitologia classica: a Titone, amante di Eos, la dea dell’alba, Zeus donò l’immortalità ma non l’eterna giovinezza, condannandolo così a vivere sempre più vecchio e privo di forze.

La vicenda, che compre un arco temporale di circa mezzo secolo, è narrata in prima persona dallo stesso Tithonus, trasferitosi otto anni prima sull’isola di Torsay dopo aver lasciato Londra. Da un lontano prozio, oltre al titolo nobiliare, ha ereditato un’antica tenuta in rovina, dove vive con il gatto Tobias, e una modesta rendita. Conosce tutti nel villaggio – ai tempi del suo antenato si sarebbero tolti il cappello, in segno di rispetto, al suo solo passaggio –, ma l’unico che può veramente definire suo amico è il maestro della scuola locale, James MacIntosh, con cui gioca regolarmente a scacchi ogni venerdì sera.

Il racconto si apre con la nascita di Thora, figlia del pescatore Maurice Garth e della moglie Armingert, che da tanto tempo desideravano avere una bambina tutta loro. Così Tithonus commenta il lieto evento: «È la prima creatura che nasce sull’isola da quando sono venuto qui per essere il laird. Sento come se in qualche modo mi appartenesse. […] Le generazioni sono state premiate. L’isola si è parecchio arricchita da ieri».

Sin da subito Thora si dimostra una ragazza speciale, anche MacIntosh lo nota, e in un’occasione riesce persino a sedare una rissa al porto semplicemente invitando le parti alla ragionevolezza. Una volta cresciuta, però, abbandona il promesso sposo poche settimane prima del matrimonio – un tipo in gamba e con buone prospettive – per andare a vivere in una baracca con il povero mozzo di una nave, tale Shaun Midhouse, dal quale avrà tre figli e verrà in seguito abbandonata. Quando i genitori della ragazza implorano Tithonus di fare qualcosa, il laird, dinnanzi alla forza dell’amore, non può che ammettere la propria impotenza: «Mi dispiace. C’è qualcosa al lavoro qui che nessuno di noi comprende, una sorta di forza elementale. È terribile e delicata allo stesso tempo». A Maurice e ad Armingert non resta dunque che tornarsene a casa, «loro che non hanno avuto figli per tanto tempo nella loro giovinezza, sono di nuovo senza figli».

Qualche anno dopo Tithonus fa la conoscenza di Mansie, uno dei bambini di Thora, decisamente troppo sveglio per la sua età, che si professa comunista e ateo, ma che, allo stesso tempo, non si accorge di come il laird sia tutt’altro che ricco e di come, in generale, sull’isola le cose non vadano affatto bene: «Torsay è mezza vuota. La maggior parte delle case sono in rovina». Più tardi, quando Tithonus si ammala gravemente, è proprio Thora a prendersi cura di lui, servendo al suo capezzale giorno e notte mentre è incosciente.

Nell’epilogo, dopo che anche il ministro è andato in pensione lasciando l’isola, il laird si ritrova a parlare con un giovane missionario presbiteriano. Con rassegnazione deve ammettere che ormai a Torsay i pochi abitanti rimasti sono tutti vecchi, mentre i giovani hanno cercato fortuna altrove, in città, nelle fabbriche o negli uffici: «È un’isola destinata all’estinzione. […] Presto, lo so, il posto sarà definitivamente abbandonato ai gabbiani, ai corvi e ai conigli». Tra i tanti che non ci sono più vi anche l’amico James, morto in solitudine dopo che la sua scuola era stata chiusa per mancanza di studenti. Ulteriore beffa, non si è voluto nemmeno rispettarne le ultime volontà: «Avrebbe voluto essere sepolto a Torsay. Gli stessi parenti con cui non aveva avuto alcun rapporto da un quarto di secolo hanno ordinato che il suo corpo venisse riportato a Dundee. Lì è stato cremato e le sue ceneri gettate tra venti stranieri».

Tuttavia è solo con la scomparsa di Thora che «il cuore dell’isola ha smesso di battere»; Tithonus, che pure con lei non ha mai scambiato nemmeno una parola, sente di aver perso l’unica donna che abbia mai veramente amato.

In conclusione, accanto al progresso che annienta gli atavici legami comunitari, va notato che in “Tithonus” si ripresentano altri temi ricorrenti nelle opere di Brown come la critica al pregiudizio secondo il quale il lavoro intellettuale sia superiore a quello manuale, oppure l’idea che le donne siano in grado di esercitare una misteriosa influenza benefica sugli uomini. Per alcuni studiosi, ad esempio Alan Bold, il racconto può inoltre essere interpretato come una delicata storia d’amore priva di qualsivoglia contatto fisico.



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