Recentemente – sempre a cura dell’Avv. Ferro Canale (studioso di diritto canonico e saggista) – abbiamo pubblicato La rinuncia di Benedetto XVI: la parola ad un giurista. Di seguito ci offre il suo punto di vista sull’ipotesi di un’elezione “popolare” del Papa, una sorta di anti-Conclave. Buona lettura!


di Guido Ferro Canale

La morte di Benedetto XVI, che non pochi consideravano tuttora legittimo Pontefice, ha portato alla ribalta una serie di problemi poco studiati riguardo all’elezione del Papa, perché naturalmente i Cardinali, essendo convinti che il Papa fosse ormai un altro (poco importa qui se a torto o a ragione), non sono entrati in Conclave né hanno intenzione di farlo. Quello che ormai si potrebbe a buon diritto chiamare “Benevacantismo” si trova diviso sui modi in cui si potrebbe superare l’impasse, il che non stupirà chi sappia qualcosa dei vari filoni di sedevacantismo; qui vorrei, però, affrontare una sola delle diverse tesi in campo, perché, per l’apparenza di un solido aggancio nel diritto positivo, potrebbe trovare qualche credito presso fedeli non abbastanza scaltriti in materia giuridica e merita, comunque, una confutazione espressa.

Il ragionamento in discorso vuole che i Cardinali, se non entrano in Conclave entro venti giorni dalla morte del Papa, perdano il diritto di eleggerlo e che, per quella volta, torni applicabile la disciplina anteriore, secondo cui egli era eletto dal clero e dal popolo di Roma (cui dovrebbero qui aggiungersi le Diocesi suburbicarie). Quaeritur quid iuris.

Partiamo dai punti in suo favore: è vero che la disciplina vigente per l’elezione del Papa (Cost. Ap. “Universi Dominici Gregis”, 22 febbraio 1996, e successive modifiche, d’ora innanzi UDG), al n. 37 impone ai Cardinali elettori presenti in Roma di dare inizio alle operazioni elettorali al massimo venti giorni dalla vacanza della Sede; ed è parimenti vero che, secondo il n. 76, “Se l’elezione sarà celebrata in modo diverso da come questa Costituzione stabilisce, o senza l’osservanza delle condizioni parimenti qui imposte, l’elezione è automaticamente nulla e invalida, senza bisogno di alcuna dichiarazione, e perciò non attribuisce all’eletto diritto alcuno” (“si electio aliter celebrata fuerit, quam haec Constitutio statuit, aut non servatis condicionibus pariter hic praescriptis, electio eo ipso est nulla et invalida absque ulla declaratione, ideoque electo nullum ius tribuit.”). Ma, se l’elezione tardiva è nulla per il solo fatto del ritardo, allora evidentemente i Cardinali non possono più condurne una legittima, perché qualsiasi loro tentativo sarebbe ancor più in ritardo; perciò, l’elettorato attivo deve passare a qualcun altro, che non sia obbligato a seguire la UDG; nel corso dei secoli i canonisti si sono chiesti “Cosa succederebbe se tutti i Cardinali morissero senza aver eletto il Papa?” e, delle varie risposte, indubbiamente la più probabile è quella che chiama in causa la disciplina anteriore. Non sembrerebbe assurdo applicarla, per analogia, al caso in cui essi, pur ancora in vita, versino nell’impossibilità giuridica di eleggere validamente il Papa.

Sed contra:

  1. in primo luogo, è errato che l’elezione tardiva sia nulla;
  2. ma, perfino se lo fosse, sarebbe invece nulla l’elezione “sostitutiva”, così come congegnata.

Invero, gli sconsigliati fautori della tesi in esame riprendono, sia pur sotto altre formule, e applicano al Papa la tesi di un “diritto divino morale” (ossia derogabile da parte della legislazione pontificia) del popolo cristiano di concorrere all’elezione del proprio Vescovo, già sostenuta con vigore dal Rosmini nel trattato “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”, in fiera protesta contro i Concordati di allora, che delegavano in pratica la nomina dei Vescovi al potere civile… ma l’opera è stata messa all’Indice soprattutto per la proposta di tornare all’antica disciplina. E si badi: diversamente dall’odierno “Comitato promotore” dell’elezione, Rosmini sapeva benissimo che essa non prevedeva affatto l’elettorato attivo per i laici, ma lo riservava ai chierici, esigendo poi che i Vescovi della provincia ecclesiastica approvassero la scelta fatta; il popolo doveva, a sua volta, manifestare un consenso che aveva, però, un valore diverso, di testimonianza dei buoni costumi e della buona reputazione dell’eletto; donde la formula riassuntiva “il Clero giudice, il popolo consigliere” (op.cit., Cap. IV, n. 75). Quindi, il corpo elettorale ipotizzato sarebbe costituito in violazione della stessa disciplina che si pretenderebbe di applicare, per il ruolo assegnato ai laici e anche per la presenza del clero delle Diocesi suburbicarie (a questi fini, il clero di Velletri-Segni non è il clero di Roma). Già solo questo basterebbe ad evidenziare la nullità della pretesa elezione: ai sensi del can. 169, “Perché l’elezione sia valida, non può essere ammesso al voto nessuno, che non appartenga” al novero degli elettori. Ma porrebbe più di un problema anche la sicura mancanza dei Vescovi della Provincia Romana… che oggi altro non sono che i Cardinali Vescovi.

Invece, la confutazione della pretesa nullità dell’elezione se i Cardinali entrassero in Conclave in ritardo rispetto al termine legale richiede un ragionamento un po’ più articolato.

Senza dubbio, il Collegio Cardinalizio, pur governando la Chiesa in tempo di Sede vacante, non ha affatto il potere di cambiare le norme che regolano l’elezione del Papa e neppure di dispensare dalla loro osservanza nel singolo caso (cfr. UDG nn. 4 e 5); quindi, il problema di una possibile nullità esiste. (Una tesi molto diffusa vuole che la sua sussistenza sia esclusa a priori se l’eletto apparente viene accettato da tutti come vero Papa, perché Dio non permetterebbe mai alla Chiesa intera di ingannarsi in proposito; mi permetto, per semplicità, di limitarmi a tralasciarla).

Per capire come si debba interpretare la clausola di nullità recata da UDG 76, bisogna fare un passo indietro: in diritto canonico, la regola generale – sottesa al can. 10 – prevede che l’atto compiuto in violazione di una legge, sostanziale o processuale, sia comunque valido; la nullità richiede una previsione normativa espressa. Lo stesso vale per l’inabilità di qualcuno (singolo o gruppo) a compiere validamente un atto giuridico.

Qui già troviamo un primo ostacolo alla tesi in parola: UDG 76 prevede bensì la nullità dell’elezione, ma non anche l’inabilità dei Cardinali ad avviarne una nuova. Ciò ha un’importanza particolare ai nostri fini: siccome non occorre alcun provvedimento che accerti la nullità (come invece sarebbe previsto dalle regole generali del Codice), giuridicamente la vacanza della Sede Apostolica non si interrompe affatto, sebbene sia avvenuta un’elezione apparente; quindi i famosi venti giorni dovrebbero sempre contarsi dalla morte o valida rinuncia del Papa di prima, perfino se l’intruso restasse nel possesso del Papato per anni. In altre parole, quasi mai all’elezione nulla può seguirne un’altra che sia tempestiva – è moralmente impossibile che, in cinque giorni al massimo, si possa eleggere un Papa, accorgersi solo a cose fatte che l’elezione è nulla, essere tutti d’accordo sul punto e riaprire il Conclave! – e tuttavia la legge non prevede quella che dovrebbe essere una conseguenza normale, cioè che il diritto di eleggere il Papa passi ad altri. Questo è un primo indizio che, forse, la premessa è sbagliata, ossia che la nullità prevista da UDG 76 non include il mancato rispetto del termine di venti giorni.

Come superare, però, l’apparente portata generalissima della clausola di nullità?

Qui soccorre il can. 18: tutte le eccezioni a regole generali vanno sottoposte ad interpretazione stretta: le parole vanno prese nel più ristretto dei vari significati possibili. E le nullità vi rientrano sempre, perché abbiamo visto che sono di per sé eccezioni alla regola per cui gli atti contra legem restano validi. Di conseguenza, il termine electio non va preso nel senso più ampio – comprensivo di tutti gli atti preliminari – ma nel più stretto, la procedura elettorale propriamente detta.

Questa conclusione è confortata da diversi altri argomenti interpretativi, esposti di seguito.

Precedenti storici (cfr. cann. 6 §2 e 21). In precedenza, esistevano tre procedure alternative per l’elezione del Papa, “per scrutinio”, “per compromesso” e “per quasi ispirazione”; le clausole generali invalidanti delle varie leggi pontificie susseguitesi nel corso del tempo, molto simili a UDG 76 (cfr. da ultimo Cost. Ap. “Romano Pontifici eligendo”, n. 77), si riferivano al caso di un’elezione svolta secondo una procedura non prevista o al mancato rispetto delle condizioni dettate per ciascuna delle tre ammesse. Siccome nel dubbio si presume che il contenuto della legge non sia cambiato, adesso che UDG 62 ha abrogato le altre due, si suppone che il n. 76 continui ad avere lo stesso significato delle disposizioni anteriori, riferito però all’unica procedura rimasta, quella per scrutinium; quindi dovrebbe intendersi “Se l’elezione si svolgerà secondo una procedura diversa, o senza rispettare le condizioni stabilite per quella per scrutinium”; e il rispetto del termine acceleratorio, come non era incluso nella clausola di nullità anteriore, così neppure adesso.

Passi paralleli (cfr. can. 17). Se confrontiamo il n. 76 con il n. 77, vediamo che il primo tutela l’osservanza delle norme che riguardano la electio, mentre il secondo, rendendo applicabile tutta la UDG anche in caso di rinuncia del Papa, ha cura di menzionare distintamente gli “atti precedenti l’elezione” e “l’elezione stessa”; quindi, la stessa Cost. Ap. ci conferma che gli atti anteriori all’inizio delle operazioni elettorali, come l’ingresso in Conclave (cfr. UDG 54 e 63), non vanno ricompresi nel termine electio.

Fine della legge (cfr. can. 17). Lo scopo delle norme sulle elezioni è assicurare la rapida copertura degli uffici vacanti. Ma se il termine acceleratorio, in sé, vi concorre senz’altro, non così la nullità per il suo mancato rispetto, che crea contenzioso, invalida anche un’elezione su cui non ci siano altri rilievi e, in questo caso, chiamerebbe in causa un corpo elettorale che non agisce da mille anni: tutto questo pregiudica l’obiettivo di contenere la durata della Sede vacante anziché favorirlo.

Intenzione del legislatore (cfr. can. 17). Nel preambolo, Giovanni Paolo II enuncia l’intento di conservare in gran parte la disciplina anteriore e, in particolare, i tratti essenziali del Conclave, rispetto a cui nota solo tre innovazioni: la scelta di abrogare per procedure per compromissum e per quasi inspirationem, la Città del Vaticano come sede fissa del Conclave e l’obbligo di celebrarlo nella Cappella Sistina; ma i Cardinali non hanno, come invece avevano in passato (Leone XIII, “Praedecessores Nostri”), il potere di cambiar sede se per caso lo Stato o almeno la Cappella fossero inaccessibili, quindi deve concludersi che la nullità – che non distingue tra violazioni colpevoli o incolpevoli, proprio perché colpisce l’atto compiuto e non sanziona le persone dei colpevoli – non sia stata estesa alla violazione di queste due nuove norme; molto meno, allora, potrà intendersi estesa ad una regola su cui il legislatore neppure si è soffermato.

Interpretazione sistematica. La disciplina speciale dell’elezione del Papa tende, non da oggi, a ridurre le ipotesi di nullità rispetto alle norme generali, ad es. rendendo impossibile obiettare ad un Cardinale elettore che non può votare perché si è “notoriamente” staccato dalla comunione con l Chiesa (cfr. can. 171 §1 n. 4° e UDG nn. 35-6); o salvando, almeno in certi casi, una votazione dove i voti espressi superano il numero degli elettori (cfr. can. 173 §3 e UDG 69); per non parlare del fatto che è valida perfino l’elezione simoniaca, quindi io potrei letteralmente comprarmi il Papato e nessuno potrebbe farci proprio niente (cfr. can. 149 §3 e UDG 78). Sarebbe allora un controsenso pensare che poi la clausola generale finisse per ampliarle, non solo in modo indeterminato e pregiudizievole per la certezza giuridica, ma al punto di rendere nullo anche ciò che sarebbe invece valido secondo le norme generali: un termine acceleratorio, infatti, esiste per tutte le elezioni (cfr. can. 165), ma non a pena di nullità. E non si vede nessuna ragione per cui quest’ultima dovrebbe esistere solo per l’elezione del Papa, anzi se ne vedono molte in contrario.

Effetto utile. Se veramente il n. 76 avesse la portata “onnicomprensiva” che il lettore meno esperto sarebbe, ictu oculi, tentato di attribuirgli, sarebbero superflue le indicazioni, sparse qua e là nella stessa UDG, che specificano che un dato requisito va osservato per la validità (in particolare ciò viene ripetuto più volte per la maggioranza dei due terzi nell’elezione del Pontefice).

Per il giurista, una simile convergenza dei vari argomenti interpretativi è il fondamento sicuro della certezza morale che l’interprete del diritto ha il compito di trovare anzitutto per sé e poi, nei limiti del possibile, di trasmettere agli altri.

Si può, quindi, concludere – senza che residuino ombre di dubbio – che i Cardinali non perdono il diritto di eleggere il Papa solo per non aver rispettato, in ipotesi, il termine entro cui avrebbero dovuto entrare in Conclave.


Seguite Radio Spada:


Immagine in evidenza da: “Pope Michael”, David Bawden, https://okietraditionalist.blogspot.com/2016/11/yes-i-kinda-like-pope-michael-of-kansas.html