Volentieri presentiamo ai lettori questo articolo di Don Thibault de Maillard, FSSPX, pubblicato sul mensile Courrier de Rome (n° 659 di dicembre 2022) e tradotto da UnaVox.
Presentazione
1. Quale sarebbe la reazione di San Luigi, o di Don Suger, ascoltando un concerto rock, una sinfonia di Beethoven o anche un’opera del XVII secolo? Stupore, scandalo o delirio?
I tre articoli che seguono provano a fornire una risposta.
Il Rinascimento che mette l’uomo e le sue emozioni al centro della musica, seguito dalla Rivoluzione francese che separa compositori e ascoltatori, porteranno al nostro XX secolo che, per meglio farla piacere, semplifica la musica – o la complica all’estremo.
In questo lavoro rischioso e difficile, i Papi del Rinascimento saranno un modello di equilibrio di giudizio. Furono loro che incoraggiarono San Filippo Neri a creare un nuovo genere musicale in linea col suo tempo: l’oratorio, un’opera a soggetto religioso ma senza attore.
Se i Papi hanno accettato di “cristianizzare” la creazione per eccellenza del Rinascimento musicale, che è umanista, è perché si era rivelato necessario contrastare, almeno in buona parte, le evoluzioni suddette, che erano al di sotto della morale.
2. Tuttavia, lo sviluppo estremo dei germi del Rinascimento portò a porsi la questione dei limiti che la musica cristiana deve imporsi per conservare un equilibrio veramente cristiano. Prima del limite morale, che non sarà sviluppato in questo nostro studio, si pone la questione del limite culturale: ci sono punti di riferimento oltre i quali una musica non può più sostenere di appartenere alla cultura cristiana?
I tre articoli seguenti affronteranno successivamente questa questione in relazione al posto occupato dall’emozione, ai legami sociali dell’opera nella creazione musicale e, infine, alla ricchezza propriamente spirituale che ci si aspetta da un’opera intrisa di civiltà cristiana.
La musica sotto l’influenza naturalista
L’emozione alla conquista della musica
Introduzione
1. Jean-Jacques Rousseau non amava il canto gregoriano: nel 1753 egli diceva: il «canto piano modulato» « […] non ha nulla di piacevole in sé, esso piace solo con l’aiuto di alcuni ornamenti arbitrari, e solo a coloro che convengono di trovarli belli (1).
Facciamo notare che i criteri di giudizio qui invocati: il «gradevole» e ciò che «piace», sono centrati sulla soggettività dell’ascoltatore. Se questi criteri non possono ragionevolmente essere esclusi dai giudizi musicali, nondimeno possono lasciare perplessi, soprattutto perché sono applicati al canto proprio della Chiesa.
In effetti, secondo Leonardo da Vinci (2), fin dal Rinascimento il rapporto col mondo è centrato sull’uomo «modello del mondo». La musica, rappresentazione dei movimenti del mondo, sarebbe cambiata anch’essa? La musica del Rinascimento, fiorita realmente nel Barocco, non rischiava di derivare da una concezione dell’uomo che esclude il divino?
2. Pretendere di qualificare certa musica come naturalista sembrerà una sfida. Per osare una simile affermazione bisognerebbe almeno conoscere l’azione della musica sullo spirito, ma lo stesso Francis Wolff (3) sottolinea che «pochi filosofi si sono […] avventurati ad analizzare (l’) emozione estetica» (4). Un dizionario di musica i cui autori non sono sospettati di avere il Cardinale Pie come lettore quotidiano, si azzarda a qualificare la musica del Rinascimento – e ancor più del Barocco – come naturalista, vi si legge: «Nel Rinascimento la musica […] partecipa […] (al) naturalismo e alla riconduzione del sacro nei limiti naturali» (5). Abbastanza per indagare – a rischio di sbagliare – sulla parte di eternità e quella di temporalità che coesistono nella musica.
I
Quando l’umano occupa più spazio
1. Moltiplicare le voci
3. La musica è senza dubbio l’arte che dà più spazio alla creazione umana, poiché il musicista crea due volte: la prima producendo dei suoni musicali definiti su una scala sonora, come un pittore che applica dei colori su una tela, e la seconda ordinando questi suoni tra loro nel tempo, per dar loro una coerenza dinamica. Con questi due livelli di possibilità creative, i compositori hanno a disposizione un margine di creazione che rasenta l’infinito. E’ in questo contesto che compaiono successivamente le modulazioni della musicalità che aumenteranno la consistenza della parte umana presente nella musica.
Nell’XI secolo, la comparsa della polifonia metterà in atto un nuovo motore interno nell’evoluzione della musica. La sequenza delle dissonanze, in tensione, e delle consonanze, in distensione, dà ritmo alla musica e aggiunge nuovi slanci alla composizione. Questo motore è un nuovo strumento di espressione. Ad esso si aggiunge quello della storia, che spinge i compositori a creare costantemente qualcosa di nuovo per distinguersi dal passato. Questi due fattori non potevano che «moltiplicare le tensioni fino al punto in cui la loro risoluzione si sarebbe rivelata irraggiungibile» (6), cioè, a forza di aggiungere sempre più dissonanze o di farle durare più a lungo, alla fine non si sentono più risoluzioni.
4. Tuttavia, l’armonizzazione fa sparire una parte propriamente umana delle musiche medievali: l’intelligibilità del testo. In effetti, il divario del testo tra le voci rende quest’ultimo difficile da comprendere. In tal modo la musica non è più al servizio del testo, ma di se stessa. A questo proposito, F. Wolff considera la letteratura e la musica come due generi che partecipano più o meno l’uno dell’altro. Da una parte vi è la prosa, non ritmata, e dall’altra la musica puramente strumentale, senza alcuna parte di testo.
Tra questi estremi si colloca le poesia, il canto gregoriano e l’opera, che combinano con proporzioni variabili il testo e la musica.
Con lo sviluppo della polifonia barocca, la moda virò verso la musica pura e si allontanò dalla prosa. Il significato delle parole è relegato in secondo piano, ma paradossalmente questo accadrà per mettere il testo maggiormente in evidenza.
2. Riunire tutti i piaceri artistici
5. In effetti, a partire dal 1600, l’opera trova uno sviluppo considerevole e metterà la musica al servizio dell’azione teatrale. Ormai la musica ha la funzione di illustrare le passioni degli attori. Le grandi città italiane arriveranno presto a contare dozzine di opere. Ormai la musica religiosa non è più il solo genere erudito accessibile al pubblico. Marco da Gagliano, prete compositore (1582-1643), scriveva nel 1605, nella prefazione di una nuova Dafne, che l’opera «è veramente uno spettacolo per principi, mirabile soprattutto perché in essa si uniscono tutti i piaceri più nobili: l’invenzione poetica, il dramma, il pensiero, lo stile, la dolcezza delle rime, l’incanto della musica, il concerto delle voci e degli strumenti, la squisita bellezza del canto, l’attrazione della pittura anche nelle scenografie e nei costumi» (7). Notiamo già la coincidenza dei due aspetti: la musica colta è al servizio delle emozioni e allo stesso tempo si rende più accessibile al pubblico.
3. Sviluppare gli strumenti
6. D’altra parte, mentre fino al 1600 gli strumenti della musica erano destinati solo ad accompagnare la voce, essi ormai vengono suonati sempre più da soli. Da questa novità deriveranno diverse conseguenze. Gli strumenti danno la possibilità di rappresentare movimenti che la voce non è in grado di realizzare: entrano nel repertorio altezze inesplorate, ma anche un’agilità nei movimenti, una rapidità, che la voce faticherebbe a seguire. Lo strumento elimina anche alcuni vincoli, legati in particolare alla necessità di respirare. Moltiplica i timbri disponibili e permette di variare più facilmente il volume sonoro.
7. Ne deriva che la voce si ritrova a dover rivaleggiare con lo strumento, ed è quando ci riesce che la si ammira. Alla fine del XVII secolo cantori e trombettieri gareggiavano nelle fiere per divertire i curiosi: da qui lo sviluppo del virtuosismo da un lato, e il perfezionamento degli strumenti dall’altro.
Nel XVII secolo, l’Italia diventa un centro internazionale del violino e fu nel XVI secolo che fu fissata la forma definitiva di questo strumento (8). Il XVI secolo vide notevoli sforzi per migliorare la tromba (9) e molti altri strumenti. Con questa emancipazione degli strumenti, si pose la questione dei rapporti tra tecnica e l’uomo.
Nel XVIII secolo, i pensatori illuministi ritengono che lo strumento non sia in grado di rappresentare le passioni umane: quindi non se ne interessano e preferiscono la musica vocale.
4. Stimolare la virtuosità
8. Con lo sviluppo degli strumenti viene stimolato il virtuosismo. Monteverdi (1567 1643) si compiace di aver inventato un nuovo genere musicale. «E’ a me», dice, «che appartiene la ricerca e l’invenzione (del) genere [guerriero], così necessario all’arte della musica, senza il quale era, si può giustamente dire, finora imperfetta, avendo solo due generi, il dolce e il temperato” (10). Questo genere diventerà una scuola duratura e stimolerà i voli lirici dell’opera. E’ così che i virtuosi prendono sempre più posto nel Rinascimento e poi nel periodo barocco. Lo storico della musica Rebatet afferma che «l’emancipazione della melodia, la nascita dell’aria, il posto sempre più importante che essa assunse per l’opera lirica, in particolare a Napoli, tutto aveva favorito lo sviluppo del virtuosismo vocale» (11). «Mai erano stati usati dei mezzi così raffinati per esprimere i sentimenti umani, mai erano stati tradotti con tale sfarzo, con tale brillantezza, con un tale senso di grandezza» (12). Un’opportunità per artisti e compositori di vedersi messi in risalto, a discapito della bellezza che dovrebbero esprimere?
II
L’emozione crescente
1. Distinguere, imitare e rappresentare
9. La svolta compiuta della musica in questo periodo è culturale. Modificando il rapporto dell’uomo col mondo, il Barocco cambia ormai anche la musica, arte per eccellenza della rappresentazione dei movimenti del mondo. L’arte riscopre gli Antichi e i musicisti si collegano progressivamente con il teatro delle passioni dell’antichità greca, incentrato sull’uomo e le sue passioni. Questo è il motivo che li spinge a deviare dalle regole ascetiche e austere della polifonia dei secoli XV e XVI, generalmente costruita in modo molto verticale: tutte le voci cantavano all’unisono le stesse parole. D’ora in poi, per rappresentare al meglio le passioni umane, le voci si emancipano l’una dall’altra e iniziano a cantare in modo anticonformista e libero.
10. Tuttavia, il Barocco si allontana dagli Antichi. Dice Francis Wolff che «con il Barocco la musica “rappresenta” meno disposizioni antropologiche di quelle individuali. E meno disposizioni costanti ad agire, meno personaggi di stati passionali momentanei: le emozioni. E invece di imitarli imitando i movimenti del corpo in azione, la musica deve esprimerli per mezzo delle inflessioni della voce mossa. C’è qui tutta la differenza tra due modi, antico e moderno, di rapportare l’arte all’umanità: l’uomo antico è un modello generale, l’uomo moderno è un individuo particolare; il primo è soggetto di azione con principi invariabili, il secondo è oggetto di passioni passeggere. […] C’è una vera e propria trasgressione delle regole ascetiche e austere della musica polifonica dominante che escludeva la messa in scena della soggettività umana, delle sue singolarità, dei suoi travagli e delle sue debolezze» (13).
2. Esprimere emozioni o stati d’animo?
11. L’espressione delle emozioni va progressivamente ad imporsi nella musica come un principio universale. Monteverdi, pioniere del nuovo stile, afferma che «la buona musica deve avere come scopo l’emozione, come afferma Boezio quando dice Musicam naturaliter nobis esse coniunctam et mores vel onesto vel evertere [La musica è naturalmente legata a noi ed eleva o perverte i nostri costumi]» (14). L’accoglienza del pubblico all’ottavo libro dei Madrigali, di cui egli fa la prefazione, è eccezionale: durante la prima ripresentazione del nuovo libro, intitolato Le Combat, «gli ascoltatori erano così sopraffatti “che non ci fu applauso”» (15). L’idea che la musica debba rappresentare le emozioni farà scuola.
Più di un secolo dopo, Rousseau scriverà, nel suo libro Lettera sulla musica francese, che «la vera musica, (è) fatta per commuovere, per imitare, per piacere e portare al cuore le più dolci impressioni dell’armonia del canto» (16).
L’orientamento verso l’emozione, l’affetto: è questo l’apporto della musica barocca.
12. Per i nuovi musicisti questo orientamento è naturale. Monteverdi, spiegando le basi dello stile mosso che ha inventato, afferma: «Ho osservato che le nostre passioni, o affezioni dell’anima, sono principalmente tre: la collera, la temperanza e l’umiltà o supplica, come affermato dai migliori filosofi; e questo lo si ritrova nel timbro della nostra voce, che può essere alto, basso e medio, ma lo si ritrova anche nell’arte della musica, chiaramente codificata con i tre termini concitato (animato), molle (dolce) e temperato» (17).
Nel XVIII secolo, i pensatori illuministi ne saranno talmente convinti che troveranno inespressiva la musica puramente strumentale, ritenendo che la voce sia la sola capace di esprimere le emozioni.
13. Sedotti dalla scoperta dell’espressività emotiva, gli artisti e gli amanti della musica barocchi dimenticano che la musica ha molte altre capacità rappresentative. Le emozioni sono solo una piccola parte delle possibilità espressive della musica. Più in generale, la musica rappresenta degli stati d’animo, che non dipendono interamente dai soggetti senzienti.
Ogni musica ha il suo stato d’animo: dal noioso e ripetitivo «la vita è così» dei cantori dei blues all’atmosfera d’eternità del gregoriano. Lo stato d’animo è il volto esterno, pubblico, di cui l’umore è il volto interno, privato. Sperimentiamo l’uno fuori di noi, sentiamo l’altro dentro di noi» (18). Le emozioni hanno bisogno di un oggetto per essere precise: la tristezza di un lutto o di un cielo piovoso. Ma la musica è capace di manifestare solo «la componente più incerta e ambigua dell’emozione: la calma, l’agitazione, la lentezza, la rapidità, la fermezza, l’esitazione, ecc.» (19). Con questi soli strumenti, il numero di passioni che la musica può esprimere è molto ristretto: la gioia, la tristezza, la calma o l’agitazione. Dunque, l’emozione in musica rappresenta solo una parte del repertorio possibile, e solo per alcune emozioni che dovranno essere vaghe.
14. L’attaccamento a questa nuova concezione della musica farà scuola, ma non in maniera lineare. Il Barocco (1600-1750) coltiva le emozioni, ma le colora di grandezza e di dignità. Lo stile galante (1730-1780) è un «incontro tra la cura del prestigio tecnico e l’obbligo di rimanere piacevoli» (20) e accantona per un certo tempo la cura della moderazione del Barocco. Il periodo classico (tra il 1750 e 1800 circa) rinnoverà con delle forme più sobrie. Quanto al Romanticismo, esso assumerà interamente la preponderanza dell’emozione, testimoniata dalla critica che il romantico Goethe formula a Johann Sebastian Bach: «Tecnica e meccanismo portati all’estremo conducono i compositori al punto che le loro opere cessano di essere musica e non hanno più nulla a che fare con i sentimenti umani; confrontate ad essi non si può portare nulla che provenga dal proprio spirito o dal proprio cuore» (21). Dopo il Romanticismo le passioni furono presto abbandonate, almeno nella musica colta, come reazione allo stile precedente.
3. Una musica che non è più destinata a Dio e che si centra sull’uomo
15. Dire che la musica barocca si sarebbe totalmente distolta da Dio perché si volta verso l’uomo e le sue emozioni, sarebbe abusivi e caricaturale. In effetti, i compositori non hanno mai smesso di comporre opere religiose – che sono la gran parte del repertorio dell’epoca. In più, nelle composizioni religiose i musicisti dicono di fare attenzione nell’utilizzare le dissonanze in modo più classico e più rotondo per rispettare il carattere proprio della musica sacra.
Infine, nel periodo barocco le stesse emozioni sono sempre caratterizzate dalla grandezza e dalla nobiltà, il che fa dire allo storico della musica R. Goldron che «l’arte musicale dell’epoca barocca non tollera il consueto, il quotidiano: la vita è situata al di là di essa, in un clima di esaltazione che trasfigura i sentimenti umani più elementari, più permanenti, in passioni sublimi dove uomo e Dio si confondono, dove il Cielo comunica con la terra in una grande fusione cosmica» (22).
16. Se la finalità della musica non è veramente distolta da Dio, le prospettive di composizione evolvono. L’attenzione rivolta all’uomo e a ciò che in lui vi è di più nobile, e cioè le passioni, subordina ormai la musica all’umano piuttosto che ad una armonia considerata come oggettiva. Allontanandosi dalla ricerca di un equilibrio indipendente dall’uomo, la musica cerca di piacere. Per questo essa corre il rischio di ricercare l’effetto e ciò lusinga. Come conseguenza ultima, la bellezza musicale perde la sua oggettività e si assimila al piacere. Manifestando di più le passioni, la musica diviene più universale, perché è più «ascoltabile». L’ascoltatore non aspira più ad uno stato d’animo ricco e rappresentativo, ma cerca di provare emozioni, spesso facili e fuggitive.
17. Il pensiero naturalista barocco segna con questo l’inizio di una rivoluzione universale che vede l’uomo rivoltarsi contro tutto. Ma la musica dell’emozione non si rivolta né contro le leggi dell’armonia né contro quelle del ritmo. Essa si rivolta solo contro la musica non emotiva, la musica dello stato d’animo. Così facendo, essa chiude per sé le porte della rappresentazione dell’eterno. Rifiutando con queste modalità le rappresentazioni non emozionali «la cultura diviene fine a se stessa, nozione del tutto estranea al Medioevo, ove l’esistenza era solo una preparazione alla salvezza» (23). «L’uomo non si crede più indegno di diventare il soggetto centrale e unico di un quadro o di un libro. Questa fu la logica conseguenza dell’Umanesimo, se si ammette con Octave Nadal che uno dei suoi disegni era quello di “staccare l’uomo dalla gloria celeste, le cui radici affondavano da tanto tempo nel suo cuore, per fargli amare, in cambio, la propria gloria e addomesticarla a sé e al suo soggiorno naturale” (Le préclassicisme français, Cahiers du Sud). Autonomia, che, “tremendo onore”, condurrà l’uomo alla solitudine e al monologo. (Viste in questa prospettiva, le sonate di Beethoven o l’opera per pianoforte di Schumann saranno uno dei lontani compimenti musicali dell’Umanesimo.)» (24).
III
L’emozione contro l’eternità
1. Rappresentare l’eternità
18. Pretendere di rappresentare l’eternità in musica rasenta il paradosso, poiché eterno e temporale non si compenetrano. Tuttavia, l’arte del tempo è capace di farlo in due maniere opposte: la pulsazione regolare delle battute che si susseguono o il circolo sempre rinnovato di misure identiche, che si ripetono regolarmente dando la sensazione di qualcosa che non cambia. Questa assenza di cambiamento, questa immobilità in movimento, dà all’ascoltatore l’impressione di un eterno presente, sempre identico. Così, la sequenza dei tempi, indispensabile per l’esistenza stessa della musica, può essere evidenziata o, al contrario, essere resa meno percepibile dallo stile del compositore.
Coltivando il paradosso e l’opposizione, la musica barocca si avvicina alla rappresentazione della temporalità e si allontana da quella dell’eternità. Al contrario, i compositori del XV e del XVI secolo prediligevano le durate lunghe, regolari e omogenee, che rendevano queste ripetizioni monotone all’infinito, andando nella direzione di una rappresentazione dell’eternità.
19. Un’altra possibilità si offre al compositore per rappresentare l’eternità: adottare il ritmo libero, come nel canto gregoriano. In questo caso, è l’assenza di riferimenti regolari che crea la sensazione di lasciare il tempo, con la mancanza di riferimenti costanti. «Poiché una musica che aspira a parlare e a contemplare l’eternità deve astrarsi dal tempo e dai suoi segni, essa mira al nuncstans (il «sostenibile duraturo») – come avrebbe detto Sant’Agostino; essa si produce in un presente dilatato senza prima né dopo, estensibile all’infinito, sempre identico a se stesso senza passato né futuro.
Al contrario, una musica umana, e si potrebbe dire “umanista”, come fiorisce nella musica barocca, deve essere segnata, al pari della vita umana, dalla temporalità, anche se ci invita a gioire, fin dalla terra, dell’esistenza di un altro mondo sull’aria di un minuetto – come il coro finale della Passione secondo San Giovanni di Bach» (25).
2. Rappresentare la temporalità
20. Rappresentare la temporalità è proprio quello che fa la musica barocca. Tutte le innovazioni tecniche sono utili per questa rappresentazione: l’agilità degli strumenti, la virtuosità dei cantanti, la polifonia e la coniugazione delle arti, tutto questo permette una infinita moltiplicazione dei movimenti e una valorizzazione della temporalità tanto più brillante. Nella polifonia «le idee dei Greci sul cromatismo [i movimenti di un solo semitono], così come l’uso moderno del processo di alterazione dei gradi della scala diatonica [una scala di un tono o di un semitono] in vista di ottenere nuovi “colori”, furono al centro delle preoccupazioni dei due musicisti-teorici la cui influenza fu profonda: Vincentino e Zarlino» (26).
21. Questi nuovi strumenti sono tuttavia utilizzati con finezza, come per il madrigale «che usa gli effetti sonori e descrittivi con una delicatezza tutta aristocratica; la pedanteria vi è assente. Nessun eccesso, nessuna patetica, si sospetta in questa “pittura delle passioni”. Il tono va dalla più lieve grazia alla più nobile gravità» (27). Altre leve musicali, come il “sensibile” (28) o il canto dei castrati, arricchiscono poi una musica che oggi ha molte e variegate molle per esprimere le emozioni umane.
Conclusione
22. Il mondo non è fatto solo di emozioni; e la musica, se è la rappresentazione dei movimenti del mondo, anch’essa non deve essere fatta solo di emozioni. L’emozione è buona, ma non può intervenire in tutto. Perché la ragione divina è all’origine del mondo e ne è anche il fine. Tuttavia, la propensione a giudicare una musica dall’emozione che si produce nell’ascoltatore è diventata un’abitudine che non ha abbandonato nessuno dei figli del XXI secolo: dalla liturgia, dove sono per questo benvenuti i canti a tendenza carismatica, al concerto, dove la musica deve “toccarci”, o anche nei raduni del tipo raveparty.
Una nuova concezione dell’uomo, più emotiva e meno razionale, è emersa dal Rinascimento e nei secoli successivi ha condotto la musica popolare nelle trappole della facilità e della mediocrità che vi sono collegate.
23. Per tornare ad essere capaci di comprendere i movimenti non emozionali del mondo, l’uomo ha bisogno di un’ascesi e di un’educazione improntata alla maturità. A questa condizione, la musica diviene capace di ricreare un mondo veramente umano. E’ dunque senza alcuna parzialità che Pio XII insegna che «la funzione e la missione dell’arte, praticata come si conviene, consistono nell’elevare lo spirito per mezzo della vivacità dell’espressione ascetica fino ad un ideale intellettuale e morale che supera la capacità dei sentimenti e il dominio della materia, fino a Dio, Bene supremo e Bellezza assoluta, da cui proviene ogni bene ed ogni bellezza» (29).
NOTE
1 – Jean-Jacques Rousseau, Lettre sur la musique française, 1753, consultato su Musicologie.org.
2 – France Farago, L’art, Armand Colin, Paris, 2003, p. 52.
3 – Francis Wolff è professore onorario alla Ecole normale supérieure. Egli ha commentato cinque libri di Aristotele e in particolare nel suo Pourquoi la musique ?, ha redatto uno studio filosofico realista su quest’arte.
4 – Francis Wolff, Pourquoi la musique ?, Fayard, 2015, p. 141.
5 – Silvio Marengo (dir.), Encyclopédie de la musique, Garzanti, Milano, 1992, p. 918.
6 – Francis Wolff, Pourquoi la musique ?, Fayard, 2015, p. 192. Wagner è citato come punto d’arrivo di questo fenomeno.
7 – Citato in Lucien Rebatet, Une histoire de la musique, ed. Robert Laffont, Paris, 1969, p. 155.
8 – Marc Vignal (dir.), Dictionnaire de la musique, Larousse, Paris, 2001, p. 882.
9 – Vignal (dir.), ibidem, p. 861.
10 – Claudio Monteverdi, Madrigali, libro 8, Venezia, 1638, p. 3. Traduzione francese di Gérard Begni.
11 – Lucien Rebatet, Une histoire de la musique, ed. Robert Laffont, Paris, 1969, p. 83.
12 – Romain Goldron, Histoire de la musique, t. 5, ed. Rencontre, Losanna, 1966 p. 11-17.
13 – Francis Wolff, Pourquoi la musique ?, Fayard, 2015, p. 240.
14 – Claudio Monteverdi, Madrigali, libro 8, Venezia, 1638, p. 3.
15 – Lucien Rebatet, Une histoire de la musique, ed. Robert Laffont, Paris, 1969, p. 165.
16 – Jean-Jacques Rousseau, Lettre sur la musique française, 1753, consultato su Musicologie.org.
17 – Claudio Monteverdi, Madrigali, libro 8, Venezia, 1638, p. 3.
18 – Francis Wolff, Pourquoi la musique ?, Fayard, 2015, p. 256.
19 – Wolff, ibidem, p. 255.
20 – Wolff, ibidem, p. 337.
21 – Lettera a Eckermann del 12 gennaio 1827, citato in Marc Vignal (dir.), Dictionnairede la musique, Larousse, Paris, 2001, p. 177.
22 – Romain Goldron, Histoire de la musique, t. 5, ed. Rencontre, Losanna, 1966 p. 11-17.
23 – Romain Goldron, Histoire de la musique, t. 4, ed. Rencontre, Losanna, 1966, p. 9.
24 – Goldron, ibidem, p. 12.
25 – Francis Wolff, Pourquoi la musique ?, Fayard, 2015, p. 115.
26 – Romain Goldron, Histoire de la musique, t. 4, ed. Rencontre, Losanna, 1966, p. 49.
27 – Goldron, ibidem, p. 45.
28 – Nota piazzata immediatamente sotto la «tonica», in affinità con il «riposo».
29 – Pio XII, Discorso agli autori e artisti cristiani di Roma, 26 agosto 1945.
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