di Luca Fumagalli
C’è uno spettro che oggi turba l’immaginario di quel sistema mediatico impregnato di politicamente corretto, quasi si trattasse di un nemico metafisico: è il “fascismo” quale condensato di tutti i mali della storia ed esso stesso “male assoluto” da quando Umberto Eco lo ha trasformato da fenomeno storico in un archetipo del lato oscuro dell’uomo. Naturale conseguenza è la frusta narrazione che prevede da una parte i buoni “antifascisti”, immacolati ed eroici, e dall’altra i cattivi “fascisti”, quasi dei subumani. In tal modo la “destra” è costantemente sul banco degli imputati, soggetta al ricatto del fascismo, richiesta di continue e mai sufficienti abiure. Tutto questo senza che nessuno – o quasi – si ponga la domanda se il fascismo, come fenomeno storico, sia effettivamente riconducibile soltanto alla categoria politica della destra o non piuttosto se in realtà esso abbia avuto altre radici tali da smontare pezzo per pezzo lo schemino precostituito del progressismo andato a male come una merce avariata.
Allo stesso tempo, però, è innegabile che la “destra” italiana non sia mai stata capace di mettere in campo strategie di penetrazione culturale dei luoghi dove si formano la mentalità comune e il clima di un’epoca storica come l’università, la scuola, i media e, in generale, il mondo della elaborazione intellettuale. Da qui la sensazione di essere “esuli in patria”, come recita il titolo di un libro del politologo Marco Tarchi. Sicché, quando poi è investito dalla pressione inquisitoriale dell’antifascismo d’accatto, questo ambiente non riesce a organizzare un’adeguata difesa e controffensiva (salvo eccezioni, naturalmente, che comprendono ad esempio nomi del calibro di Franco Cardini, Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco).
Stretto tra il ricatto antifascista e le sue alleanze liberali nell’ambito del centrodestra, il mondo politico della “destra” – che da ultimo ha cercato di trovare nel sovranismo conservatore un “rifugio” – non ha saputo superare i suoi atavici limiti né risolvere alcune evidenti aporie della propria proposta politica, come emerge oggi dai programmi e dalle posizioni assunte da Fratelli d’Italia. Limiti e aporie che hanno la loro causa senza dubbio nell’incapacità di mettere in cima alla propria strategia politica l’elaborazione culturale.
Di queste questioni si occupa con piglio appassionato Luigi Copertino nel suo saggio Le colpe dei padri e le ambiguità dei figli (La Vela, 2022). In esso Copertino, giurista e giornalista, già autore per Radio Spada, dopo aver offerto un assaggio della complessità politica e culturale che caratterizzò storicamente il fenomeno fascista – gli stessi costituenti del dopoguerra trasferirono silenziosamente nella vigente Costituzione il meglio dell’esperienza sociale del regime, al contempo conservandone le strutture economiche interventiste – passa a soppesare le zone d’ombra che oggi caratterizzano la proposta politica del partito della Meloni, al crocevia tra eredità e apertura verso le altre culture politiche, che non si possono accettare senza il rischio di liquefare la propria storia di provenienza.
Fondamentalmente Fratelli d’Italia dovrebbe chiarire le sue posizioni e dire a quale modello vuole ispirarsi: se a un’economia nazionale e sociale di mercato controllato, nel quadro di uno Stato organico saldamente ancorato al territorio e alla cultura identitaria del popolo, oppure a un’economia di mercato aperto all’incontrollato flusso dei capitali finanziari e all’egemonia transnazionale delle banche d’affari globali e delle multinazionali. Con il chiaro avvertimento che parole come “sovranità” o richiami all’identità religiosa e alla famiglia naturale si dissolvono nella vuota retorica laddove la scelta fosse fatta in favore del secondo modello.
Il libro: Luigi Copertino, Le colpe dei padri e le ambiguità dei figli. Il peccato originale della destra italiana, La Vela, Lucca, 2022, 140 pagine, 15 Euro.
Link all’acquisto: https://www.edizionilavela.it/prodotto/le-colpe-dei-padri-e-le-ambiguita-dei-figli/
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