di Luca Fumagalli
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Tolkien e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo. Link all’acquisto.
Nell’album delle foto di famiglia, pubblicato nel 1992, vi è una bella immagine in bianco e nero che ritrae Tolkien. Sotto di essa una didascalia: il filosofo che ride (The Laughing Philosopher).
Il professore di Oxford era esattamente così, un Democrito mite e riservato che si faceva beffe della follia dell’uomo moderno, tutto tecnica ed egocentrismo. Allo stesso tempo, non era nelle sue corde atteggiarsi a spirito eletto, né si sentiva in qualche modo superiore agli altri. Piuttosto provava una profonda pietà per il prossimo e a sostenere il suo sorriso vi era la certezza che il Bene, nonostante tutto, fosse destinato sempre e comunque a trionfare.
John Ronald Reuel Tolkien era nato il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, nello Stato Libero dell’Orange, dove il padre, Arthur Tolkien, si era trasferito con la consorte, Mabel Suffield, per diventare responsabile della Bank of Africa. Hilary Arthur Reuel, il secondo figlio, venne alla luce due anni dopo.
Quando Arthur morì di febbri reumatiche, nel 1896, la famiglia Tolkien tornò in Inghilterra stabilendosi a Sarehole Mill, poco lontano da Birmingham. Mabel conduceva con i figli una vita frugale, provvedendo lei stessa alla loro istruzione. Ronald, che con il fratello trascorreva interi pomeriggi leggendo o giocando sotto il sole della campagna inglese, si affezionò rapidamente ai nonni Suffield e venne così a scoprire che la famiglia era originaria del Worcestershire. Per lui, un bambino senza patria, quei luoghi divennero una sorta di “terra promessa”: «Ogni angolo di quella contea, per quanto bello o squallido, è per me, per qualche indefinibile ragione, “casa” come non lo è nessun’altra parte del mondo».
Nel frattempo Mabel si era riavvicinata alla religione e nell’estate del 1900 maturò la decisione di convertirsi al cattolicesimo. I familiari, ferventi protestanti, andarono su tutte le furie sospendendo da un giorno all’altro ogni sostegno economico.
La donna fu così costretta a chiedere aiuto presso l’Oratorio cittadino, fondato dal celebre cardinale J. H. Newman e sede di una comunità di sacerdoti appartenenti all’ordine oratoriano. Qui conobbe padre Francis Xavier Morgan, un prete per metà gallese e per metà anglo-spagnolo che all’epoca aveva quarantatré anni: in lui trovò non solo un confessore comprensivo, ma anche un grande amico. Egli divenne ben presto parte indispensabile della vita della famiglia Tolkien, a maggior ragione dopo che anche Ronald e Hilary furono ricevuti nella Chiesa di Roma.
Nel 1904 Mabel venne ricoverata in ospedale dove le fu diagnosticata una grave forma di diabete che nel giro di pochi mesi le risultò fatale. Con la sua scomparsa, come sottolinea il biografo tolkieniano Humphrey Carpenter, la religione prese in Ronald il posto che lei aveva occupato in precedenza: «Mia madre è stata veramente una martire», scrisse il ragazzo nove anni dopo, «non a tutti Gesù concede di percorrere una strada così facile per arrivare ai suoi grandi doni, come ha concesso a Hilary e a me, dandoci una madre che si uccise con la fatica e le preoccupazioni per assicurarsi che noi crescessimo nella Fede».
Nel testamento Mabel aveva designato padre Morgan tutore dei suoi figli. Quest’ultimo, che disponeva di buone risorse personali, si occupò con grande affetto dei due orfani, non facendo mancare loro nulla. L’Oratorio, situato vicino all’abitazione della zia a cui i due erano stati affidati, ben presto divenne la loro nuova casa.
Nel 1905, tra i banchi di scuola, Tolkien conobbe Christopher Wiseman, figlio di un ministro metodista; tra loro nacque una profonda amicizia basata sulla comune passione per la letteratura classica, il rugby e le discussioni animate. Insieme, classe dopo classe, frequentarono le scuole. Tra l’altro fu proprio alla King Edward’s che Tolkien cominciò a sviluppare un interesse per il disegno – in seguito illustrerà diverse delle sue opere – ma, più di tutto, per la filologia e i princìpi generali delle lingue.
Il giovane studente emerse dalla lettura del Beowulf e dei classici della narrativa medievale con il desiderio di inventare linguaggi di fantasia. Col tempo questo singolare passatempo divenne qualcosa di molto serio: la lingua elfica, denominata Quenya, che Tolkien iniziò a elaborare nella sua forma definitiva intorno al 1915, in un certo senso fu la scintilla che appiccò il fuoco del suo legendarium.
Quando Ronald raggiunse l’età dell’adolescenza, padre Morgan trovò per lui e Hilary una sistemazione in un pensionato, sempre vicino all’Oratorio. Qui era ospitata una ragazza diciannovenne, anch’essa orfana, di nome Edith Bratt. Aveva tre anni più di Tolkien, era una giovane graziosa, piccola di statura, snella, capelli corvini e occhi verdi. Entrambi erano ragazzi feriti, bisognosi d’affetto; scoprirono di essere innamorati e presero a frequentarsi sempre più assiduamente. Quando padre Morgan lo venne a sapere, allarmato per la ricaduta che la relazione avrebbe inevitabilmente avuto sulla carriera scolastica di Ronald, vietò al ragazzo di rivedere ancora Edith finché non avesse raggiunto i ventuno anni.
Tolkien, seppur a malincuore, dovette obbedire. Per lenire il dolore della separazione forzata non trovò di meglio che gettarsi a capofitto tra i libri della biblioteca della King Edward’s. In quei polverosi locali, tra centinaia di vecchi tomi, nel 1911 nacque la TCBS (“Tea Club and Barrovian Society”). Si trattava di un sodalizio umano e culturale i cui componenti principali, oltre allo stesso Ronald, erano Christopher Wiseman e Robert Quilter Gilson, il figlio del preside. Più tardi si aggiunse un nuovo membro, Geoffrey Bache Smith, aspirante poeta ed esperto di letteratura inglese. La loro amicizia si protrasse ancora per vari anni, almeno fino a quando Gilson e Smith trovarono la morte in Francia durante la Grande Guerra.
In autunno, dopo aver vinto una borsa di studio per l’Exeter College di Oxford, Tolkien iniziò a frequentare l’università.
Le materie che lo appassionavano di più erano la filologia e la letteratura germanica. In lui nacque poi un viscerale amore per la lingua gallese, e nuove stimolanti opere, come il finnico Kalevala, ne accesero la fantasia: Ronald aveva scoperto un grande mondo da esplorare, quello dell’antico settentrione d’Europa, celtico, germanico, scandinavo, con i suoi miti pagani, le sue leggende, le sue lingue scomparse, i suoi antichi culti.
Nel 1913, compiuti i ventuno anni, poté finalmente ricongiungersi con Edith, la quale, pur controvoglia, per amore abbandonò la Chiesa d’Inghilterra e abbracciò il cattolicesimo.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, nell’estate del 1915 Tolkien venne inquadrato come sottotenente nei Fucilieri del Lancashire, specializzato in comunicazioni e segnalazioni, non prima però di essersi laureato con il massimo dei voti in letteratura inglese
L’anno successivo, il 22 marzo, avvicinandosi il momento dell’imbarco per la Francia, Ronald ed Edith si unirono in matrimonio. La coppia non possedeva molti soldi, ma lo stipendio regolare da soldato garantiva quanto bastava per tirare avanti senza affanni. Ronald sperava che anche le sue poesie potessero contribuire al bilancio familiare, tuttavia ne vennero effettivamente pubblicate solo una manciata. Ronald ed Edith, destinati a rimanere insieme per tutta la vita, divennero genitori di quattro figli: John Francis (1917-2003), futuro sacerdote, Michael Hilary (1920-1984), Christopher John (1924), curatore di molte delle opere postume del padre, e Priscilla Mary Ann (1929). Naturalmente tra loro non mancarono i litigi e le incomprensioni – Edith rimase sempre tiepida nei confronti del cattolicesimo e, più tardi, quando Tolkien divenne docente, subì la vita accademica del marito come una fortezza a lei irraggiungibile – ma tutto sommato si trattò di una relazione serena, senza grandi turbamenti.
A giugno Tolkien si trovò catapultato sul fronte della Somme, sotto il fuoco incessante delle mitragliatrici tedesche. L’attacco vero e proprio ebbe inizio solo qualche settimana dopo: contrariamente alle previsioni dei comandi, che avevano pronosticato una facile penetrazione nel profondo delle linee nemiche, l’offensiva si risolse in un’ecatombe, peraltro senza che il fronte subisse alcuna sostanziale modifica. Tolkien non dimenticò mai quello che definì «l’orrore animale» della guerra moderna.
A ottobre venne colpito da una seria forma di “febbre da trincea”, una malattia portata dai pidocchi che debilitava gravemente l’organismo. Dopo un ricovero all’ospedale da campo, visto che le sue condizioni non miglioravano, fu imbarcato per l’Inghilterra e trasportato in treno in una clinica a Birmingham.
Fu proprio durante i mesi di convalescenza, sballottato da un ricovero all’altro, che Tolkien mise finalmente mano a quel guazzabuglio di suggestioni che da diverso tempo abitava le sue fantasie. Prese un quaderno e incominciò a stendere i primi racconti del Silmarillon, un grande affresco che avrebbe fornito la base mitologica alle sue opere più famose ambientate nella Terra di Mezzo (il libro fu pubblicato solamente nel 1977, quattro anni dopo la scomparsa dell’inglese).
Dopo il congedo, alla fine del 1918, Ronald si stabilì con la famiglia a Oxford, dove aveva ricevuto l’incarico di lavorare all’English Dictionary; nel 1920 ottenne invece un posto al Dipartimento di Inglese dell’Università di Leeds.
Più o meno in questo periodo prese a scrivere diverse favole per i figli, e ogni anno, in occasione delle feste natalizie, raccontava loro un nuovo episodio delle mirabolanti avventure di Babbo Natale e dei suoi collaboratori. Queste storie finirono per essere raccolte e pubblicate postume col titolo Le lettere di Babbo Natale (1976).
Secondo Edoardo Rialti, autore di un pregevole libretto, La lunga sconfitta, la grande vittoria, è proprio «nel rapporto discreto, sottile, ma tenace tra l’apparente banalità della vita quotidiana e quanto di insolito vi facesse capolino [che] è forse possibile cogliere uno dei segreti più importanti di chi avrebbe conquistato i cuori dei lettori di tutto il mondo proprio con la storia dell’impensabile avventura di alcune persone piccole e semplici».
Nel 1925 fu offerta a Tolkien la cattedra di Lingua e letteratura anglosassone a Oxford, un’insperata opportunità per tornare all’amata Alma mater che, ovviamente, non si fece sfuggire.
Da quel momento non accadde nient’altro di rilevante nella vita di Ronald, pacifica e regolare, con la ovvia eccezione della pubblicazione dei suoi due grandi capolavori, Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Dal punto di vista accademico la sua fu una carriera brillante ma, come ricorda Carpenter, «in un campo professionale assai ristretto, che riveste ben poco interesse per i profani»: dopo vent’anni da docente di anglosassone passò alla cattedra di Lingua e letteratura inglese e, ad esclusione di una parentesi tra il post pensione e la morte della moglie, visse sempre ad Oxford.
Nell’ambiente universitario Tolkien non tardò a stringere amicizia con alcuni colleghi, costituendo poco alla volta un cenacolo di sodali che condividevano interessi e passioni culturali. Si chiamavano Inklings – “imbrattacarte” – un nomignolo ideato da C. S. Lewis, il futuro autore delle Cronache di Narnia. Oltre a Lewis, con cui Tolkien strinse una profonda e duratura amicizia, l’allegra combriccola annoverava, tra gli altri, il loro collega Hugo Dyson, il fratello di Lewis, Warren, il filosofo e linguista Owen Barfield e il poeta Charles Williams. I ritrovi erano gli appartamenti di Lewis al Magdalen College o il pub Eagle and Child, ribattezzato affettuosamente Bird and Baby.
Gli Inklings, tra sorsate di birra e interminabili discussioni letterarie, diedero il via a un vero e proprio laboratorio artistico che durò fino al 1954, informale, privo di regole, cariche, ordini del giorno o elezioni, in cui si era ammessi senza alcuna formalità. Tolkien, che spesso leggeva ad alta voce quanto stava scrivendo, ricevette ovazioni e critiche; determinante per il prosieguo delle sue sperimentazioni narrative fu soprattutto l’apprezzamento di Lewis, che lo incoraggiò più volte a non mollare. In quelle serate si poterono degustare ghiotte anticipazioni di libri che vennero pubblicati in seguito, da Il Signore degli Anelli fino all’opera più celebre di Lewis, Le lettere di Berlicche, dedicata proprio a Tolkien, l’uomo che lo aveva aiutato a superare atavici pregiudizi: «Al mio arrivo al mondo ero stato (implicitamente) avvertito di non fidarmi mai di un “papista”, e al mio arrivo all’English School (esplicitamente) di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l’ulto e l’altro».
Nel libro Catholic Literary Giants, sottolineando l’importante apporto offerto dagli Inklings alla cultura cristiana britannica, Joseph Pearce contrappone il circolo oxfordiano al gruppo laicista di Bloomsbury, quello di Virginia Woolf e di Lytton Strachey. In questo senso è interpretabile pure il famoso discorso pronunciato da Tolkien a proposito della verità del mito, lo stesso che produsse la conversione di Lewis: «I nostri miti possono essere male indirizzati, ma, anche se vacillano, fanno rotta verso il vero posto, mentre il “progresso” materialista porta solo a un abisso spalancato e alla Corona di ferro del potere del male».
Durante l’estate, per arrotondare le entrate, Tolkien era solito partecipare alle commissioni d’esame per gli studenti che facevano domanda di ammissione all’università. Nel 1928, mentre era intento a correggere con grande noia alcuni compiti, si imbatté in un foglio bianco. Lo fissò per qualche secondo e poi vi scrisse una frase apparentemente senza senso: «In un buco della terra viveva un Hobbit».
Da quella prima intuizione germogliò poco alla volta il romanzo Lo Hobbit, pubblicato nel 1937 per i tipi della Allen & Unwin. La storia raccontava di Bilbo Beggins – un buffo mezzuomo dai piedi pelosi – e del suo avventuroso viaggio per recuperare, insieme a un gruppo di Nani, il grande tesoro custodito del drago Smaug.
Dato il successo di pubblico e critica, la casa editrice commissionò a Tolkien un seguito, quello che anni dopo sarebbe apparso nelle librerie con il titolo Il Signore degli Anelli.
La gestazione dell’opera – che si prolungò ben oltre la Seconda guerra mondiale – fu tutt’altro che facile, caratterizzata da continue interruzioni e ripartenze, ripensamenti e revisioni. Del resto il professore, quando si intestardiva, era capace di passare ore e ore su una singola pagina, rimaneggiandone di continuo i contenuti. Non tralasciava alcun aspetto, e sognava un’edizione ricca di particolari, come se si fosse trattato davvero di un documento storico, zeppo di appendici e annotazioni.
Il Signore degli Anelli venne infine pubblicato tra il 1954 e il 1955, diviso per ragioni editoriali in tre volumi: “La Compagnia dell’Anello”, “Le due torri” e “Il ritorno del re”. Nuovamente racconto di viaggi, imprese e ritorni, fu accolto dal plauso generale, anche se non mancarono prese di distanza e attacchi feroci.
Poco alla volta il libro si trasformò in un fenomeno di culto in Inghilterra, in America e in tutto l’Occidente. Seguirono le nuove edizioni, i premi, le lauree honoris causa, le lettere degli ammiratori, i saggi e i documentari: grazie al suo capolavoro lo schivo professore di Oxford era ormai diventato una delle icone della narrativa del Novecento. Nel 1972, proprio per i suoi meriti letterari, ricevette dalla regina Elisabetta II l’onorificenza di Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico.
Nel giugno del 1959 Tolkien si ritirò dall’insegnamento e andò in pensione. Organizzò il garage di casa sua in modo che fungesse da studio e libreria, e lì seguitò a lavorare in un clima frugale alle storie che gli suggeriva una fantasia sempre fervida.
Se nel 1949 Il cacciatore di draghi aveva già trovato la via delle librerie, il 1962 fu l’anno di pubblicazione di un piccolo volume di poesie e ballate, Le avventure di Tom Bombadil, che recuperava il buffo e misterioso personaggio già apparso nella saga dell’Anello; nel 1964 vide invece la luce Albero e foglia, un libretto che conteneva il saggio Sulle fiabe – una difesa della letteratura fantastica dall’accusa di “escapismo” che le muovevano diversi critici – e il racconto Foglia, di Niggle, intima confessione, con rimandi autobiografici, di un artista troppo affezionato ai dettagli per completare il capolavoro di una vita. Un’altra storia, Il fabbro di Wootton Major, fu data alle stampe nel 1967. Oltre al Silmarillon, diversi altri testi vennero pubblicati sia prima che dopo la scomparsa dello scrittore inglese – compresa la monumentale The History of the Middle-Earth (1983-1996), un’opera in tredici volumi contenenti bozze e appunti – contribuendo a tenere alta l’attenzione della critica e a ravvivare di volta in volta il dibattito sul legendarium.
Edith, la devota moglie, morì il 29 settembre del 1971, all’età di ottantadue anni, in quella cittadina balneare di Bournemouth dove i Tolkien erano venuti a vivere dopo il 1968, quando la permanenza a Oxford era divenuta impossibile a causa dei troppi curiosi e dei giornalisti che ogni giorno assediavano la loro casa. Ronald, come ovvio, ne fu profondamente scosso e maturò la decisione di tornare ad Oxford. Qualche anno prima, nel 1963, era scomparso pure l’amico Lewis per il quale, al netto di alcune incomprensioni, aveva continuato a nutrire un profondo affetto.
Per Tolkien la morte arrivò il 2 settembre 1973, quando aveva ottantuno anni. Anche per lui era venuto il tempo di dire addio a questo mondo, ma nei suoi occhi non vi era alcuna traccia di disperazione: da buon “filosofo che ride” sapeva infatti che ciò che lo attendeva era un lieto ritorno a casa, quello di un esiliato che, dopo tanto tempo, poteva finalmente riabbracciare il proprio padre.
Fonte: L. FUMAGALLI, La società della Contea. Appunti sulla filosofia politica di J. R. R. Tolkien, NovaEuropa Edizioni, 2019.
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Fonte immagini: https://drsw10gc90t0z.cloudfront.net/AcuCustom/Sitename/DAM/392/Tolkien_The_Tolkien_Trust_2015_ONLY_TO_BE_USED_ONCE_ON_PIEC.jpg (immagine di copertina); tutte le altre fotografie sono tratte da H. CARPENTER, La vita di J.R.R. Tolkien, Ares, Milano, 1991.