Volentieri presentiamo ai lettori la nostra intervista esclusiva al Dott. Tassot sul libro Il Darwinismo: un mito tenace smentito dalla scienza.


RS: Buongiorno Dott. Tassot, è un piacere intervistarla per il lancio de “Il Darwinismo: un mito tenace smentito dalla scienza”. Può presentarsi al pubblico italofono ripercorrendo la sua formazione e i suoi studi?

DT: Durante gli anni del liceo partecipavo regolarmente a degli scavi paleontologici nei pressi di Reims. Questo ha suscitato un interesse personale per i fossili che, al momento opportuno, mi ha fatto scegliere l’École des Mines di Parigi (“grande scuola” nel sistema educativo superiore francese, grosso modo comparabile ai nostri politecnici, che forma le diverse specialità nell’ingegneria civile [n.d.t.]). Allo stesso tempo, per curiosità intellettuale, ho conseguito una laurea in filosofia e, successivamente, un dottorato alla Sorbona. Ma, come la maggior parte delle persone, credevo nella teoria dell’evoluzione. Trovavo esaltante questo vasto affresco che descriveva l’emergere della vita dall’ameba all’uomo. Lo trovavo bellissimo. Non mi ero ancora mai chiesto se fosse vero.

RS: Spesso si ritiene il darwinismo come un mero “prodotto della scienza”, quasi nato da un’intuizione in ambito biologico. Davvero è così, o esiste un cammino letterario ed ideologico che sta alle spalle della nota teoria evoluzionistica?

DT: Quando Lamarck e poi Darwin svilupparono la loro teoria, la genetica non esisteva. Non potevano quindi sapere di cosa stavano parlando e non possiamo biasimarli per essersi sbagliati. Il loro approccio era quello di fornire una giustificazione scientifica al mito del progresso in cui la maggior parte delle persone credeva fin dal XVIII secolo. Lo si può vedere chiaramente in “filosofi” come Diderot e Condorcet o nel nonno di Darwin, Erasmus Darwin. In sostanza, l’evoluzionismo è semplicemente la proiezione del mito del progresso sulla natura.

RS: Se dovesse dare tre motivi semplici per nutrire qualche dubbio sulla fede darwinista, quali esempi porterebbe?

DT: In primo luogo la considerazione che il tempo non è di per sé una causa attiva o anche solo un fattore di progresso. Perché una pietra diventi una statua, lo scultore deve tagliarla e darle la forma. Darwin ha notato e sottolineato delle somiglianze tra gli esseri viventi, per esempio le cinque falangi della mano e quelle della pinna pettorale del delfino. Da qui l’idea di un antenato comune. Ma perché la teoria sia vera, sono le differenze che devono essere spiegate adeguatamente.

In secondo luogo: i fossili. Per la maggior parte delle persone, essi rappresentano la “prova” dell’evoluzione, in quanto sono diversi da tutti gli animali viventi. Per Darwin, tuttavia, i fossili erano la principale obiezione alla sua teoria. Le specie fossili sono stabili come le specie viventi. Possono essere denominate e classificate e rimangono le stesse in ogni strato in cui vengono trovate. Secondo Darwin, le specie non sono entità reali: sono solo individui in transizione tra una forma ancestrale sconosciuta e una forma futura indeterminata. Quindi si sarebbero dovuti scoprire innumerevoli fossili intermedi. Il fatto è che non sono mai stati trovati: tutto ciò che sappiamo di questi “anelli mancanti” è che sono tuttora mancanti! Ciò che i reperti fossili ci mostrano è che molte specie che sono esistite in passato, sono ora estinte. Ma anche oggi le specie viventi si estinguono, e ciò non ha nulla a che fare con l’evoluzione. La stabilità delle specie è così ovvia che è diventata proverbiale. Per dirla in modo figurato, in Francia si dice “quando le galline avranno i denti”, in Spagna “quando alle rane spunteranno i capelli”, in Russia “quando il granchio fischierà” e in italiano, credo, “quando gli asini voleranno”.

Per finire, le mutazioni. All’inizio del XX secolo si pensava che queste avrebbero finalmente fornito il meccanismo alla base dell’evoluzione, perché possono essere trasmesse ai discendenti. Ma le mutazioni casuali sono regressive e non producono nuove informazioni genetiche funzionali che potrebbero portare a una nuova forma di vita. Il mutante è l’albino o il daltonico, non il superuomo. Inoltre, cerchiamo di proteggerci dagli ambienti mutageni, non li cerchiamo.

RS: Nella sua esperienza di conferenziere ha incontrato persone che hanno mostrato di capire i problemi dell’evoluzionismo darwinista? E, nello specifico, quale argomento li ha maggiormente colpiti?

DT: Spesso si tratta di un fatto isolato sul quale si è riflettuto e che ha condotto alla conclusione che l’evoluzionismo è impossibile. Per esempio, è successo che mi si dica: sono i genitori che insegnano ai bambini a parlare. I “bambini sevaggi”, quelli che per qualche motivo sono rimasti isolati dagli altri esseri umani durante i primi anni di vita, non potrebbero mai parlare. L’area cerebrale in cui si svolge l’attività linguistica deve essere attivata fin dalla più tenera età. L’uomo (il solo a disporre di un vero linguaggio) non può quindi discendere dalla scimmia (che non ha una laringe che le permetta di articolare).

Un altro argomento sorprendente è rappresentato dai tessuti molli dei dinosauri. In un gran numero di casi, le ossa dei dinosauri contengono tessuti organici che possono essere analizzati come se fossero vivi: collagene, vasi sanguigni, globuli rossi, bioapatite, ecc. Possono anche essere datati in migliaia di anni con il metodo del carbonio-14 e l’idea che questi materiali organici siano sopravvissuti per decine di milioni di anni non è plausibile. Ma questo tipo di fatti non fa notizia. Al contrario, molti “falsi” preistorici sono rimasti famosi: l’Uomo di Piltdown, l’Uomo del Nebraska, l’Uomo di Giava, ecc. Queste frodi o errori dimostrano che le questioni non scientifiche giocano un ruolo importante e sollevano molti dubbi su questa “preistoria” che è molto difficile da convalidare poiché le ossa non parlano e il margine lasciato all’interpretazione è enorme.

RS: Visto dall’esterno, il mondo scientifico sembra largamente aderire alle tesi evoluzionistiche: in base alla sua esperienza, quanta parte ha un comodo conformismo che tralascia l’approfondimento dei punti deboli della teoria? Quanto invece la convinzione effettiva della bontà della stessa? E ancora: quanti, pur consapevoli delle difficoltà e delle lacune, tacciono per evitare ostacoli alla carriera o altre ripercussioni?

DT: In generale, la conoscenza scientifica si basa sull’osservazione e sull’esperienza. Ma nessuno può ripetere tutti gli esperimenti passati per essere sicuro. La regola è quindi quella di fidarsi dei risultati ottenuti in altre discipline. Il darwinismo, invece, non è uno di quei risultati precisi e ben definiti che rappresentano i mattoni con cui si costruisce l’edificio della scienza. È una visione del mondo, una griglia di lettura. È quindi naturale interpretare le osservazioni alla sua luce, senza mettere in discussione la convinzione generale. I rari ricercatori che, spesso dopo anni di domande sofferte e ricerche personali, osano affermare pubblicamente che “il re è nudo”, che il darwinismo è un castello di carte per il quale non ci sono prove, vengono immediatamente emarginati, e persino licenziati. E poiché la stragrande maggioranza degli scienziati sono degli stipendiati, è quasi impossibile per loro portare avanti le proprie ricerche accettando l’ostracizzazione dal mondo accademico.

RS: Dentro e fuori il mondo scientifico, nota una presa di coscienza sul tema? Il darwinismo è una teoria che ancora “fa comodo” ai più?

DT: I fatti sono ostinati e la stabilità delle specie è confermata, in aperta contraddizione col darwinismo, dal fallimento di tutti gli esperimenti di mutazione condotti da Morgan sulla drosophila e da Lanski sull’E. coli. Malgrado ciò, il darwinismo è profondamente radicato nella maggior parte delle menti, e le sue conseguenze visibili sono sempre più evidenti e preoccupanti: tanto il liberismo economico e il marxismo vi hanno trovato la propria giustificazione intellettuale, ma le società che ne derivano sono fondamentalmente disumane. La “cultura della morte”, ad esempio, rifiutata da un numero crescente di persone che comprendono istintivamente che l’uomo non è un animale in lotta per la sopravvivenza, con l’eliminazione dei meno adatti che essa richiede, è un errore fatale per la nostra civiltà. Esiste una coerenza necessaria tra le verità di ogni tipo e la ricerca della verità è il cuore di ogni sforzo intellettuale. Molti sanno già che il darwinismo è tutt’altro che indiscutibile e questo è un segnale e una finestra aperta per tutte le menti curiose e alla ricerca della verità.

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