di Piergiorgio Seveso
Il decennio bergogliano si è impresso con la forza devastante di un nuovo Vajont sulle fragili casupole del cattolicesimo romano rimaste in piedi dopo il “gran Concilio”: la cosa era già apparsa evidente la sera di quell’algido 13 marzo 2013.
Come dissi quella sera ad un redattore al telefono: “Si tratta solo di vedere se sarà un nuovo Wojtyla pittoresco o un nuovo Roncalli”. Per sfortuna del Corpo mistico era chiaramente il secondo caso: si trattava di un nuovo traslocatore, di un nuovo “Nauta” in salsa piratesca e predonesca che avrebbe condotto la “chiesa ufficiale” su nuovi lidi, alla riva di nuovi continenti sconosciuti.
Evidentemente accanto a questo gran male oggettivo si è però associata una chiarezza benefica e solare, tale da togliere molte remore ai dubbiosi, agli incerti, agli inebetiti dalle malie ratzingeriane. Il mondo tradizionalista, lungi però dal trarne i tanti auspicati benefici, ha scontati tutti i difetti tipici di un esercito in ritirata e senza Duce (non parliamo dell’agitatore sociale di Predappio ma del Papa).
Li vogliamo elencare?
Attendismo entusiasta e vagamente millenarista (“Non importa, il futuro è nostro, la belva degli ultimi rantoli, il domani appartiene a noi, Viva la Tradizione”), attendismo diplomatico in attesa di tempi migliori o meno peggiori (sognando restaurazioni nascoste negli armadi della sagrestie di qualche cappella periferica sovravissuta a Traditionis custodes, tra odore di canfora e di albume d’uovo).
Appellomania, correzioni filiali, fraterne, amicali, parentali (inutili, inefficaci, svianti, distraenti, comode liste di proscrizione e di sbeffeggio nelle mani del Tiranno).
Argomento di discussione, vasti sospiri, ampie recriminazioni per conservatori annoiati dalla vita all’ora del thè delle cinque.
Furia iconoclasta e pornolalia antibergogliana: tutti abbiamo almeno un conoscente nel suburbio tradizionalista che ci ha gridato perentoriamente (magari tramite Web) che Bergoglio è l’Anticristo o mille altre ingiurie di ogni tipo. Se alcune affermazioni possono essere oggetto almeno di un dibattito (non concitato, non parossistico, non con la bava alla bocca), altre invece erano solo manifestazione del grande disagio di un minoranza rumorosa, verbosa e inconcludente, in ultima analisi messa all’angolo dalla Storia della rivoluzione. A questa escalation verbale, nemica della Carità, si aggiungeva quasi sempre un oblio dissennato del passato prossimo, nemico della Verità, che poneva i predecessori dell’argentino in una luce angelicante e nostalgica. Si tratta ovviamente di un falso dilemma in cui i due corni (rifiuto del bergoglismo e rifiuto del modernismo precedente), ben lungi dall’escludersi, si dovrebbero virtuosamente compenetrare ed amalgamare.
Attivismo sfrenato: “dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo fare qualcosa” per citare un vecchio sketch manzoniano del trio Solenghi-Marchesini-Lopez. Ben lungi dal criticare le molte buone (o discrete) cose messe in campo in questi anni da amici o associazioni amiche, abbiamo anche assistito a chiamate alle armi micropartitiche dagli esiti inevitabilmente irrisori, a collateralismi integristi a partiti platealmente liberali che forse vorrebbero cullare l’ego e le (grosse) ambizioni dei singoli ma si rivelano di esemplare comicità.
Se dal temporale passiamo allo “spirituale” una menzione d’onore va per i “conclavi” fatti in albergo per risolvere, democraticamente, il problema dell’autorità in seguito all’elezione di Jorge Mario. Come in una grande parodia, alla fine l’eletto non è stato un buffo “Pope” Micheal o un sinistro “Pietro III” ma lo stesso Bergoglio che avrebbe ritrovato legittimità da un “conclave” di privati fatto in una cabina telefonica. Persino per il tradizionalista medio l’evento superava il livello di cloroformizzante assuefazione che stiamo vivendo ed è stato quindi subito rimosso dalla memoria collettiva perché scomodo per tutti, repellente come un gatto morto visto per strada.
Il problema dell’Autorità rimane drammaticamente intatto e si spera che le legittime e approfondite dispute possano sopravvivere a tanto scempio. Per aggiungere una nota lieta, in tanta mestizia, o perlomeno efficace nell’ironia aggiungo un filmato, realizzato da giovani integristi americani per il decennale bergogliano, dedicato a Jorge Mario e predecessori modernisti sulle note della nota canzone di Steve Aoki e AJR “Pretender” (Impostore). Ciò che colpisce nel testo è che “Bergoglio cantante” dica a ciascuno di noi. “Sono un bravo impostore proprio come te” in una comune chiamata di correità modernistica. Voglia il Cielo che questo non sia mai il nostro destino. Sub tuum presidium confugimus, Sancta Dei Genitrix.
Sono un bravo impostore / Verrai a vedere il mio spettacolo, vero? / Ho un sacco di problemi / Bene, meno male che nessuno lo sa
Oh, sono insicuro, sono insicuro / Penso che mi piaccia quello che DOVREI essere / proprio per quello che DOVREI essere / Non mi occupo nemmeno di droghe / Lo faccio perché dici che è stupido (2 volte)
Sono un bravo impostore / Non sono davvero “cool” / Sono un bravo impostore / Perché sono proprio come Te / Io non appartengo a questo posto / Chiaramente come tutti voi / Ma sono un bravo impostore / Quindi sono proprio come…
Sono un bravo impostore (due volte) /
Sono un bravo impostore / Tutti i nostri movimenti sono sincronizzati / Non pensare che io sia intelligente / Ridiamo delle stesse cose /
Oh, sono insicuro, sono insicuro / Penso che mi piaccia quello che DOVREI essere / proprio per quello che DOVREI essere / Non mi occupo nemmeno di droghe / Lo faccio perché dici che è stupido (due volte)
Sono un bravo impostore / Non sono davvero “cool” / Sono un bravo impostore / Perché sono proprio come Te / Io non appartengo a questo posto /Chiaramente come tutti voi /ma sono un bravo impostore / Quindi sono proprio come…
Sono un bravo impostore (due volte) / Sono proprio come te, ti piaccio anche io? / Ora sono proprio come Te / Sono un bravo impostore
(Traduzione a cura di Piergiorgio Seveso)
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Foto (modificata): Quirinale.it, Attribution, via Wikimedia Commons