di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Antonia White e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secoloLink all’acquisto.

Per chi si fosse perso la prima parte: QUI

In generale – e questo vale per personaggi trattati tanto nei vari articoli quanto nei libri – il giudizio complessivo su figure di spicco della letteratura, ora eccentriche, ora controverse, deve ovviamente tenere come supremo criterio quello della Dottrina Cattolica: salvare il buono, rigettare il cattivo, usare prudenza per tutto [RS].

Dopo la conversione della famiglia, nel 1908, a nove anni, Antonia venne mandata a studiare alla scuola annessa al Convento del Sacro Cuore di Roehampton, poco lontano da casa. Le suore, il cui ordine era stato fondato da una santa francese, accoglievano studentesse da ogni parte d’Europa e molte erano le discendenti di illustri famiglie. Da recente convertita proveniente della classe media, in un simile ambiente Antonia non poteva che sentirsi un pesce fuor d’acqua. Anni dopo, in un contributo per il volume The Old School curato da Graham Greene, avrebbe scritto: «Non avevo nessuna delle buone maniere e della grazia cattolica. Sotto l’uniforme non portavo né scapolari né medaglie miracolose; non potevo vantare di essere stata devota alla Madonna […]; non avevo nemmeno un santo patrono»[1].

Nel suo primo e più famoso romanzo, Frost in May, che ripercorre proprio gli anni al Sacro Cuore, la White descrive come le ragazze fossero tenute attentamente sotto controllo e come ogni segnale di indipendenza di giudizio o di orgoglio fosse severamente punito. Non solo la corrispondenza era letta e, all’occorrenza, censurata, ma persino la Bibbia che il padre le regalò in un’occasione le venne sequestrata con la giustificazione che nell’Antico Testamento vi erano dei passaggi poco adatti a una minorenne. In generale, il sistema educativo delle suore aveva lo scopo di insegnare alle alunne che la volontà di Dio veniva prima della loro. Quando nel romanzo la giovane protagonista con cui la White si identificava, Nanda Grey, è rimproverata per l’amicizia troppo intima con la compagna Clara, giudicata sconveniente, Madre Radcliffe è perentoria: «E non sai che nessuna indole è buona in questo mondo a meno che quella volontà non sia stata completamente spezzata? Rotta e ricostruita a modo di Dio. Non credo che la tua volontà sia stata del tutto infranta, mia cara bambina, vero?»[2].

La giovane Antonia, in prima fila, sulla sinistra, al Convento del Sacro Cuore (1913)

Ciononostante la scuola le regalò anche momenti felici. Antonia scoprì una passione viscerale per la lettura e la scrittura – amava particolarmente le poesie di Francis Thompson, l’autore che per primo le mostrò una Chiesa aperta e inclusiva – e poco alla volta seppe fare davvero sua una fede che fino a quel momento aveva avuto per lei poco significato.

L’unica cosa che non la convinceva del tutto era l’idea che un’opera d’arte dovesse essere giudicata esclusivamente secondo il metro dell’edificazione spirituale. Letto Il ritratto di Dorian Gray di Wilde, decise quindi che era giunto il momento di mettersi alla prova e di tentare di scrivere un romanzo in cui, oltre al talento, avrebbe dimostrato la sua devozione (magari suscitando pure l’ammirazione del padre). La trama era semplice e parlava della conversione di un uomo e di una donna, che, dopo un’esistenza dissoluta, sarebbero diventati rispettivamente un gesuita e una suora carmelitana. Aveva appena concluso i primi tre capitoli, dedicati alla descrizione degli eccessi dei protagonisti, che il manoscritto venne trovato sotto il suo banco e sequestrato dalle suore. Giorni dopo fu convocata dalla Madre Superiora per quella che lei stessa definì «l’esperienza più traumatica della mia vita»[3]: senza possibilità di difendersi, venne accusata di oscenità e indecenza, un giudizio condiviso dal genitore, anch’egli presente.

La prima edizione di “Frost in May” (Desmond Harmsworth, 1933)

L’indomani, ormai quindicenne, dovette lasciare la scuola, ma solo dopo diverso tempo venne a sapere che, in verità, non era stata espulsa; semplicemente il padre aveva deciso che per lei era meglio cambiare aria e l’aveva iscritta alla St. Paul’s Girls’ School. Indipendentemente dai retroscena, per Antonia fu un duro colpo e da quel momento non fu più in grado di scrivere nulla di pura invenzione, dovendo ogni volta trarre la materia della sua letteratura dal proprio vissuto. A ciò si aggiunsero i lunghi periodi di blocco creativo e un’esasperato perfezionismo che la portava a riempiere di correzioni la medesima pagina fino a renderla quasi illeggibile. Come commenta profeticamente Nanda alla fine di Frost in May, «mai, mai le cose sarebbero state più le stesse»[4].

Che il romanzo non sia in alcun modo una critica alla Chiesa, quanto piuttosto all’autoritarismo e alla miopia di un’istituzione scolastica al limite del disumano, lo dimostra il fatto che l’incidente non affievolì la fede di Antonia che, anzi, sostenuta da un carattere sempre più ribelle, crebbe ulteriormente: «Divenni più cattolica del Papa; incidevo sul mio banco massime pie e mi addobbavo con scapolari. I miei scritti di storia dimostravano un pregiudizio cattolico che avrebbe sconcertato persino Belloc; inevitabilmente finì per scrivere la parola protestante con la “p” minuscola e parlavo sempre della “buona regina Maria” e della “sanguinaria Elisabetta”»[5].

Antonia a 17 anni

In retrospettiva, per lei questi furono forse gli anni più felici, descritti dettagliatamente nel suo secondo romanzo, The Lost Traveller, in cui la protagonista muta nome diventando Clara Batchelor (se Nanda era un tributo all’Henry James de L’età ingrata, Clara rimanda all’omonima eroina del L’egoista di George Meredith). I compagni di scuola la adoravano ed era piuttosto popolare. Inoltre, probabilmente come reazione all’austerità del Convento del Sacro Cuore, divenne ossessionata dai vestiti e dall’aspetto, spendendo senza alcuna attenzione. «Antonia era la prima ad ammetterlo, non era capace di risparmiare», ricorda la figlia Lyndall, «e fu indebitata per la maggior parte della sua vita»[6].

Accantonata l’ipotesi di frequentare l’università di Cambridge, nel 1916 la White lasciò la scuola e trovò impiego nel campo della pubblicità, forte di un innato talento nel coniare slogan. Tre anni dopo si iscrisse alla Academy of Dramatic Art di Glower Street, ma ben presto si convinse di non avere talento per la recitazione. Tuttavia riuscì a ottenere un ruolo minore in una piéce e per sei mesi viaggiò in lungo e in largo per l’Inghilterra. Da qui prende le mosse il suo terzo romanzo, The Sugar House, e l’esperienza della tournée, tra alloggi squallidi, piccole faide e amori, è raccontata anche in un articolo mai pubblicato, “The First Time I Went on Tour”, scritto intorno al 1934.

Il matrimonio con Reggie Green-Wikinson al Brompton Oratory (1921)

In questo periodo Antonia conobbe Reggie Green-Wilkinson, un reduce della guerra proveniente da una famiglia agiata. Per quanto il ragazzo non dimostrasse alcun particolare talento e avesse la cattiva abitudine di affogare i dispiaceri nell’alcol, riuscì ad attirare l’attenzione di un’Antonia che non vedeva l’ora di lasciare la casa paterna. I due si fidanzarono e il 28 aprile 1921 vennero dichiarati marito e moglie in una cerimonia che si svolse al Brompton Oratory. Come prevedibile, il matrimonio si rivelò un disastro: dal momento che non fu mai consumato si ricorse all’annullamento, ma la tensione accumulata causò ad Antonia un tracollo psicologico talmente grave che fu deciso il suo ricovero in manicomio.

L’episodio che convinse i medici che non vi erano alternative è narrato per esteso in Beyond the Glass, il quarto e ultimo romanzo della White, in cui Clara, esattamente come fece lei, presa da una strana euforia, in pieno inverno si butta nelle acque ghiacciate del Tamigi, venendo salvata solo all’ultimo…

La vita di Antonia White continua nella prossima parte (la terza delle cinque previste).


[1] A. WHITE, A Child of the Five Wounds, in As Once in May, a cura di S. CHITTY, Virago, Londra, 1983, pp. 151-152.

[2] A. WHITE, Frost in May, Virago, Londra, 1996, p. 145.

[3] Da un’intervista con Maggie Pringle cit. in J. DUNN, Antonia White: A Life, Virago, Londra, 2000, p. 47.

[4] WHITE, Frost in May, p. 217.

[5] WHITE, A Child of the Five Wounds, p. 162.

[6] L. P. HOPKINSON, Nothing to Forgive, Sceptre, Londra, 1990, p. 51.



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Tutte le immagini in bianco e nero sono tratte da J. DUNN, Antonia White: A Life (Virago, 2000). Il frontespizio di Frost in May è quello dell’edizione Desmond Harmsworth del 1933.