di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Antonia White e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secoloLink all’acquisto.

Qui la prima parte, la seconda parte e la terza parte dell’articolo.

In generale – e questo vale per personaggi trattati tanto nei vari articoli quanto nei libri – il giudizio complessivo su figure di spicco della letteratura, ora eccentriche, ora controverse, deve ovviamente tenere come supremo criterio quello della Dottrina Cattolica: salvare il buono, rigettare il cattivo, usare prudenza per tutto[RS].

Il periodo che seguì la pubblicazione di Frost in May fu segnato da nuove amicizie, come quelle con la ricca mecenate Peggy Guggenheim e con le autrici Emily Holmes Coleman e Djuna Barnes, che introdussero la White, abile conversatrice di idee progressiste, nel loro mondo decadente, fatto perlopiù di pettegolezzi e improbabili relazioni amorose.  Del gruppo faceva parte anche Phyllis Jones, un’amica della Coleman, la quale si sarebbe sempre dimostrata un prezioso supporto per Antonia nei suoi momenti più bui.

Nel frattempo la scrittrice, desiderosa di sfruttare quel minimo di notorietà ottenuta grazie al suo primo romanzo, prese a occuparsi di teatro e moda per alcune testate giornalistiche, scrivendo pure su commissione tre brevi pezzi per altrettanti volumi antologici: il racconto della sua breve parentesi d’attrice apparve in un libro intitolato The First Time I…, mentre a The Old School, per la curatela di Graham Greene, contribuì con una testimonianza sulla sua esperienza scolastica al convento; infine firmò un vivace ritratto di Brighton pubblicato in Beside the Seaside, un’opera dedicata alle località costiere più affascinanti d’Inghilterra.

Tom Hopkinson

I nuovi segni d’instabilità mentale che caratterizzarono quei mesi, aggravati dalla scoperta dell’infedeltà di Tom, non solo portarono la White ad affidarsi stabilmente a uno psicologo, il dottor Dennis Carroll, ma la spinsero pure a scrivere un racconto, “A Moment of Truth”, che narra con toni drammatici una crisi di coppia del tutto simile a quella che lei stava vivendo (a quanto pare in un’occasione tentò addirittura di lanciarsi da una finestra, salvata solamente dal tempestivo intervento del marito che la afferrò in extremis).

Gli unici che riuscivano ad alleviarne un poco l’infelicità erano i suoi adorati gatti, un siamese e un soriano, protagonisti di due libri per ragazzi che sarebbero stati pubblicati più avanti: Minka and Curdy (1957) – unico lavoro della White a essere stata tradotto in italiano col titolo Mila e Cuor di Leone: una storia di gatti – e Living with Minka and Curdy (1970).

Nel 1935 Antonia si decise a lasciare Tom, trasferendosi con le figlie in una nuova abitazione. Iniziò quindi una serie di brevi relazioni sentimentali – le più note sono quelle col giornalista Basil Nicholson e con i fratelli Nigel e Ian Henderson – che, però, insieme a un ennesimo aborto indotto, non fecero altro che acuire le sue insicurezze e il suo senso di smarrimento. Un simile stato d’animo venne espresso con toni di un’emotività violenta nella poesia “Epitaph”, apparsa nel 1938 sul periodico «Delta», e nel racconto “Surprise Visit”, scritto dopo aver rivisto la cella dell’ospedale psichiatrico in cui era stata rinchiusa poco più che ventenne.

Antonia nel 1937 ca.

Soltanto col giovane David Gascoyne riuscì a stabilire un profondo rapporto d’amicizia che durò fino alla fine dei suoi giorni, al contempo ottenendo l’ammirazione di altri poeti emergenti quali George Barker, Humphrey Jennings e Dylan Thomas.

Un segnale che qualcosa in lei stava in ogni caso mutando lo ebbe in occasione di una visita al Group Theatre, una compagnia teatrale sperimentale di ispirazione comunista. Durante una discussione animata in cui la Chiesa cattolica era accusata di ogni tipo di nefandezze, Antonia si ritrovò, con sua stessa meraviglia, a prenderne le difese: «Ho il vantaggio di aver letto il Manifesto del Comunismo mentre loro non hanno letto il Catechismo»[1].

Più proficua fu invece la collaborazione con il London Theatre Studio di Michel Saint-Denis, una scuola di recitazione per cui tenne alcune lezioni sul teatro greco. Come racconta la figlia Lyndall, la madre «era contenta quando qualcuno le diceva che gli studenti pensavano che le sue lezioni fossero brillanti, e lei stessa era sorpresa dal fatto che le piaceva tenerle, nonostante si sentisse nervosa e fumasse in continuazione»[2]. Del resto il percorso psicologico col dottor Carroll aveva contribuito a infonderle un po’di sicurezza in se stessa e uno dei frutti più rimarchevoli di questo periodo di relativa serenità rimane la pièce teatrale Three in a Room, messa in scena nel 1944 all’Oldham Repertory Theatre.

Antonia con le figlie Susan e Lyndall nel 1939

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nello stesso anno della morte della madre e dell’uscita dell’edizione Penguin di Frost in May, Antonia ottenne un impiego alla BBC, e poco prima del Natale del 1940 ritornò alla pratica di quella fede che aveva abbandonato definitivamente tredici anni prima. In verità già durante l’inverno del 1939 aveva avvertito l’impulso di entrare in una chiesa e di confessarsi, ma allora l’incontro con un sacerdote poco comprensivo l’aveva scoraggiata.

Si trattò dunque di una decisione improvvisa, inaspettata, le cui motivazioni vennero chiarite in seguito dalla stessa White in un volume pubblicato nel 1965, The Hound and the Falcon, che contiene una serie di missive a tema religioso scambiate tra il 1940 e il 1941 col giornalista sessantottenne Peter Thorp (presentato nel libro solamente col nome di battesimo). Thorp, ex seminarista, aveva lasciato la Chiesa molti anni prima per poi farvi ritorno di recente, anche se i dubbi non lo avevano ancora abbandonato del tutto. Da ammiratore di Frost in May colse allora l’occasione per confrontarsi direttamente con l’autrice e ne nacque un fitto scambio epistolare, non privo di venature sentimentali, che portò pure all’incontro, piuttosto deludente, tra i due.  

In The Hound and the Falcon, un titolo che richiama l’immagine di Dio e dell’anima nella poesia di Francis Thompson, la White, sebbene animata da un’autentica necessità d’ubbidienza, rivela un’adesione al cattolicesimo destinata a rimanere comunque problematica; non solo perché seguitava a non condividere alcuni aspetti della dottrina come, ad esempio, l’attitudine della Chiesa verso il sesso, ma anche perché, almeno intellettualmente, le sue simpatie erano per l’ala “modernista”, tanto che tra i suoi punti di riferimento vi era il gesuita eterodosso George Tyrrell: «Era l’unico che parla il mio linguaggio e l’hanno scomunicato»[3].

“The Hound and the Falcon” – Edizione Fontana Books (1969)

Tutto questo, però, non le impedì, durante i burrascosi anni del Concilio Vaticano II, di avanzare più di una critica alle novità introdotte: «Nella Messa ora non c’è più spazio per il silenzio. Sono rimasta colpita immensamente non solo dalla nostalgia, quando a settembre sono andata alla Messa Alta in latino, [ma] anche da quanto ha perso nella versione disadorna che abbiamo ora […] E anche la mirabilissima preoccupazione per le ingiustizie della società, e gli ardenti preti “rivoluzionari” sembrano porre troppa enfasi su quello che si potrebbe chiamare il lato “materiale” del cattolicesimo – o forse l’ “amore del prossimo” a scapito dell’amor di Dio»[4]

La vita di Antonia White continua nella quinta e ultima parte, prevista per settembre.


[1] A. WHITE, Diaries 1926-1957, a cura di S. CHITTY, Virago, Londra, 1992, p. 54. La pagina di diario è datata 18 agosto 1935.

[2] L. P. HOPKINSON, Nothing to Forgive, Sceptre, Londra, 1990, p. 176.

[3] Lettera di Antonia White a Peter Thorp del 9 aprile 1942 cit. in J. DUNNE, Antonia White. A Life, Virago, Londra, 2000, p. 259.  

[4] A. WHITE, Diaries 1958-1979, a cura di S. CHITTY, Virago, Londra, 1993, p. 221. La pagina di diario è datata 22 dicembre 1970.



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L’immagine di copertina e la fotografie della White con le figlie sono tratte da J. DUNN, Antonia White: A Life (Virago, 2000). Le fotografie di Tom Hopkinson e di Antonia White nel 1937 sono tratte invece da S. CHITTY, Now To My Mother (Weidenfeld and Nicolson, 1985).