di Luca Fumagalli

Seguendo le piste tracciate da Adam Schwartz nel saggio The Third Spring (2005), quest’anno lo speciale culturale di agosto è dedicato alla storia della conversione di quattro grandi intellettuali del cattolicesimo britannico del Novecento, ossia il giornalista e polemista G. K. Chesterton, il romanziere Graham Greene, lo storico Christopher Dawson e il poeta David Jones. Per quanto diversi tra loro per personalità e sfumature ideologiche, oltre a essere stati figure di spicco nei rispettivi campi, tutti e quattro vissero la fede a cui decisero di aderire con spirito di ribellione, considerandola l’unica alternativa valida a una modernità priva di valori e votata inevitabilmente alla rovina. 

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Jones e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secoloLink all’acquisto.

Stimato come artista visivo di talento ben prima di pubblicare i suoi primi versi negli anni Trenta, David Jones (1895-1974) riuscì a guadagnarsi l’ammirazione di importanti autori tra cui T. S. Eliot, W. B. Yeats, Evelyn Waugh, W. H. Auden, Siegfried Sassoon e Seamus Heaney. Addirittura, sul finire degli anni Ottanta, c’era chi lo definiva «il più grande poeta cattolico in lingua inglese di questo secolo».

Tuttavia negli ultimi decenni, principalmente a causa di una scrittura ostica, il cui senso pare sempre sfuggire, il suo nome è finito nell’oblio e pure in Italia si sono dovute aspettare le celebrazioni per il centenario della fine della Prima guerra mondiale per vedere finalmente tradotta una sua opera. 

È davvero un peccato, anche perché, al di là di una produzione di notevole qualità, la parabola biografica di Jones è altrettanto affascinante, allietata da importanti momenti luminosi come, su tutti, quello della conversione alla Chiesa di Roma.

La madre del futuro poeta, Alice Bradshaw, era stata cresciuta da “papista”, ma abiurò la fede quando fu il momento di sposare James Jones, un anglicano legato alla “Chiesa bassa”. Di conseguenza il figlio venne educato da protestante, anche se il piccolo David, precoce ammiratore dei rituali religiosi e dei simboli, accolse sin da subito gli insegnamenti paterni con una certa diffidenza.

Allo stesso tempo già a sei anni aveva chiaro che il suo futuro sarebbe stato nel mondo dell’arte. Nel 1909 decise così di immatricolarsi alla Camberwell School of Art dove crebbe il suo interesse per il legame esistente tra arte e sacramento, nonché per il medioevo e la liturgia.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale Jones si arruolò da soldato semplice nei Royal Welch Fusiliers per poi essere mandato in prima linea sul fronte francese. L’orrore di cui fu testimone lo segnò profondamente: «Ebbe un effetto permanente su di me e ha influenzato il mio lavoro in ogni modo possibile».

La guerra modificò anche la sua visione religiosa, facendogli maturare la convinzione di avere una vocazione precisa, ossia di dover creare qualcosa di bello a maggior gloria di Dio. Inoltre fu colpito dal coraggio dimostrato dai cappellani cattolici, disposti a rischiare la vita pur di amministrare l’estrema unzione ai moribondi (si legò in particolare a padre Daniel Hughes, conosciuto nell’ottobre del 1916, il quale, tra l’altro, gli prestò un libro devozionale). In ultimo, in un giorno imprecisato del 1916 o del 1917, assistette casualmente a una messa romana, un evento così sconvolgente che, se Jones entrò in guerra da anglicano apatico, si può affermare con sicurezza che tornò a casa ben instradato sulla via per Roma.

Ciononostante, prima della conversione fu necessario attendere ancora una manciata di anni, sia per lo scetticismo che il ragazzo nutriva nei confronti di certi aspetti della teologia cattolica, sia per la paura di rovinare irrimediabilmente i rapporti con la famiglia.

Una volta smobilitato, nel 1919 Jones entrò alla Westminster School of Art. Le sue simpatie erano per Blake, El Greco e altri artisti visionari, ma fu il post-impressionismo teorizzato dal critico Roger Fry che gli offrì l’aggancio con la dottrina cattolica della transubstanziazione: «“Post-impressionismo” […] significa che un lavoro non è un’ “impressione” della “natura” ma una “cosa” fatta, il signum di una realtà di qualche tipo. […] In questo senso niente potrebbe essere più “post-impressionista” di quello che la Chiesa dice della Messa, dove “segno” e “cosa significata” sono la stessa cosa».

Poco alla volta arrivò pure a definire la celebrazione eucaristica – che rifiutava di considerare, alla maniera protestante, un semplice servizio commemorativo – un’opera d’arte esemplare: «La Messa, comprendendo atti fisici manuali, parole pronunciate e un complesso di forme interconnesse era […] il prototipo e il supremo modello, parlando per analogia, di tutte le arti dell’uomo».

A questo punto ad aiutarlo a compiere gli ultimi passi verso la conversione intervennero due nuovi amici. Il primo era padre John O’Connor, sodale di G. K. Chesterton e traduttore del saggio di Maritain Arte e scolastica, libro che influenzò profondamente Jones quando questi lo lesse dopo essersi fatto cattolico. Il secondo era invece il controverso artista Eric Gill che gli insegnò la fondamentale distinzione tra gratuità e utilità, quest’ultima intesa quale cifra di un mondo moderno allo sfascio. Difatti secondo Gill, l’uomo tecnologico, cercando l’utile ad ogni costo, non è in grado di concepire l’atto gratuito e disinteressato (questo è il motivo per cui la modernità disumana e disumanizzante venne adottata da Jones nella sua produzione poetica quale metafora dello stato comatoso della cultura occidentale). Al concetto di gratuità si lega poi quello di sacramento, così come la convinzione che l’artista debba essere un ribelle, membro attivo di una Chiesa militante la quale, a differenza di quella anglicana, non si fa remore a sfidare a viso aperto il corrotto spirito del tempo, forte di una guida autorevole.

Ormai deciso, Jones venne finalmente battezzato da padre O’Connor il 7 settembre 1927 e come nome di cresima scelse Michael, quello dell’arcangelo capo delle milizie celesti: «La prima di tutte le guerre iniziò in Cielo […] e non è ancora finita».

Nel medesimo anno prese alloggio a Ditchling. Il periodo trascorso presso questa e altre comunità di artisti fondate da Gill gli lasciò un amore profondo per la teologia di San Tommaso d’Aquino, fatta sia di corpo che di spirito, un efficace antidoto contro la sessualità esasperata o le astrazioni ideologiche di una società priva di bussola, che non ha riguardo nemmeno per i limiti e il particolare, dove ogni cosa è titanismo (tragico) e standardizzazione. Per di più San Tommaso è abile nello svelare le gravi mancanze dell’islam, del buddismo e delle altre religioni, agli occhi di Jones troppo “disincarnate”.

Quando quest’ultimo iniziò a dedicarsi alla poesia, per la materia scelse di attingere a piene mani dalla storia, della quale era un grande appassionato. Al centro di essa vi è naturalmente il sacrificio redentivo di Cristo – a cui allude spesso nelle sue liriche – con la croce che si fa «asse attorno al quale si muovono tutte le cose» e che investe il passato pagano di nuovi e più profondi significati (molto interessante, ad esempio, la corrispondenza introdotta da Jones in un suo componimento tra la croce, albero della vita, e lo Yggdrasil, l’albero cosmico della mitologia norrena). Il poeta rifiutava quindi l’idea che la storia fosse un costante progresso, non apprezzando nemmeno il tentativo del gesuita Teilhard de Chardin di accordare la teologia cattolica a una simile visione.

Nel poema Tra parentesi (1937), il suo primo successo, Jones descrive il dramma di un gruppo di soldati al fronte, durante la Prima guerra mondiale, istituendo un legame esplicito con la Passione di Cristo. I richiami ai rituali e ai simboli cristiani rendono i suoi versi meno superficiali rispetto a quelli di Wilfred Owen e altri war poets, i quali si accontentano di un facile parallelismo tra le sofferenze del fante e quelle di Gesù, un parallelismo oltretutto svilito da un vago scetticismo. All’opposto in Tra parentesi il sacrificio dei soldati acquista un senso proprio in virtù di quello avvenuto sul Calvario, ripresentato ogni volta nella Messa.

Proprio la liturgia eucaristica rappresenta il cuore di The Anathemata (1952), l’altro grande poema di Jones, determinandone pure la struttura. Dalla lettura emerge chiaramente l’attaccamento dell’autore alla Chiesa cattolica e a quella tradizione occidentale da lei custodita e tramandata nei secoli.

Se l’apertura dei lavori del Concilio Vaticano II venne accolta con gioia da Jones, il quale sperava in un incremento delle relazioni tra cattolici e non cattolici, il suo entusiasmo ebbe vita breve, tanto che col passare dei mesi fu colto dal terribile sospetto che la Chiesa stesse cercando in qualche modo di scendere a compromessi con la mentalità mondana. Nel 1971 fu poi tra i firmatari del cosiddetto “Indulto di Agatha Christie” in difesa della Messa in latino.

Al netto di un disappunto crescente, negli ultimi anni di vita Jones rimase comunque «leale al vessillo», seguitando a vestire volentieri i panni del poeta modernista anti-moderno, del guastatore in nome della fede. Del resto, diceva lui stesso, «le cause perse sono quasi sempre quelle giuste».



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