Il 24 agosto 1943, battezzata in articulo mortis dall’amica Simone Deitz, muore a Ashoford, nel Kent, la pensatrice francese Simone Weil. Anima straordinariamente effervescente di tensioni contrapposte, al contempo mossa dalla volontà di entrare nella Chiesa Cattolica e rimanere al di là della soglia con le sue proprie idee, nel 1942 scrisse la “Lettera a un religioso“, 35 domande alla cui risposta condizionava il suo ingresso nella Chiesa Cattolica. A questo testo breve, ma ricco di sollecitazioni, rispose nel 1970 padre Michel Guérard des Lauriers o.p. con uno scritto, rigoroso e dolce al tempo stesso. Nell’ottantesimo anniversario della morte della Weil ne offriamo al Lettore un assaggio, con la speranza che possa scorgere nelle righe che seguono ammaestramenti per una riflessione su se stesso, sul mistero della chiamata alla fede e anche sulla attuale realtà ecclesiale.

La «Lettera ad un religioso» di Simone Weil contiene trentacinque domande rimaste senza risposta da ormai quasi trent’anni. Quella lettera costituisce, in un certo senso, un testamento spirituale. Simone Weil morì il 24 agosto 1943. La «Lettera» fu composta all’inizio del novembre 1942. L’alta qualità di quel breve scritto, il meritato favore con cui fu accolto, la pressante richiesta di solleciti amici ci hanno indotti a rispondere o, almeno, a tentare di farlo. Simone Weil credeva, ed avremo modo di ripeterlo, al simbolismo dei numeri. La scelta del numero 35, la metà del prodotto di 10 per 7, manifesta forse da parte dell’autrice il desiderio di tendere ad una serie perfetta di domande, pur riconoscendo di dover restare a mezza strada? Comunque sia, quei paragrafi numerati dall’uno al trentacinque, assai ineguali come lunghezza ma coerenti nel contenuto, notevoli sia per l’erudizione che per l’acume, procedono ad una radicale rimessa in questione non soltanto della Chiesa ma anche di certi principi che sono essenziali al cristianesimo …

Simone Weil non interroga «per giuoco» ma perché spinta dal desiderio di entrare nella Chiesa. Ella rigetta sulla Chiesa la responsabilità di una «vocazione cristiana» fuori della Chiesa. È dunque proprio alla Chiesa che ella chiede di decidere l’alternativa sì o no. Ma Simone Weil esclude sin dal principio, per la Chiesa come per se stessa, qualsiasi compromesso, ogni intesa che non rispetti la pienezza delle rispettive convinzioni. Ella sente d’istinto che la Verità esclude ogni concessione perché essa è l’unico fondamento dell’unità o anche, per usare un’espressione della stessa Simone Weil, perché l’unione «non è l’articolo autentico ma una fabbricazione destinata agli snobs»

La «Lettera» costituisce l’espressione ultima di una bruciante attesa. Simone Weil è stata portata, grazie ad una serie di scelte tra cui l’oblio di sé, ad un grado sublime. Tutto ciò è al di sotto di lei, perché ella non è che attesa; in compenso questo, in modo latente, è una misura dell’attesa. Questo è il suo dramma e Dio ha voluto essere il solo a doverne rispondere. La nostra risposta alla lettera può essere soltanto un’umile manuductio alla misteriosa risposta di Dio

Simone Weil, così sensibile al dolore altrui, è colpita profondamente dal segno della Croce. Sentendo enormemente la compassione, ella non può ingannarsi sulle qualità dell’Amore che vuole la Croce, non può non credere. Simone Weil crede con tutto il suo desiderio infinito, con tutto il suo essere straziato, crede in virtù della grazia che la guida. E tuttavia, non crede ancora divinamente, non possiede ancora in sé quella fede che permette di abbandonarsi all’Amore perché viene coscientemente accolta quando viene comunicata dall’Amore. Simone Weil, che ha tanto desiderato, ha compreso che bisogna acconsentire a ricevere? Noi crediamo di no. Il fatto è che, in effetti, la vera fede non è resa «più facile» grazie ad un segno, o più difficile a causa di un altro giacché questa fede è un dono gratuito indipendente dal segno e che non fa parzialità tra i segni, non ne rifiuta alcuno e non ne chiede alcuno.

«La sola Croce mi basta». I mistici hanno detto: «Voglio solo essere il compagno dell’agonia». Ma nessun mistico ha aggiunto: «La fede mi sarebbe più facile senza la resurrezione». Il fatto è che la stessa afferma¬ zione ha, in realtà, una duplice e diversa importanza nei confronti di due prospettive differenti. La Croce contiene sostanzialmente l’Amore. Per chi ha la fede, la sola Croce basta; e la Croce non ha nulla da escludere perché tutto il resto non ha importanza. Per chi non ha la fede, la sola Croce può bastare come segno; ma poiché il segno della Croce ed il segno della resurrezione si rivolgono a delle disposizioni dell’uomo originariamente contrarie, il buon uso del segno della Croce è «più facile» se il segno della resurrezione non esercita la sua sollecitazione. Chi ha raggiunto la meta, non considera più la diversità dei mezzi di locomozione ma chi percorre la strada preferisce, se cammina a piedi, che non vi siano automobili e se invece è un automobilista, che non vi siano pedoni. Simone Weil ha conosciuto ed ha vissuto autenticamente l’Amore della Croce ma, ci sembra, aggrappandosi quasi disperatamente al segno, perché non le sfuggissero né la speranza né la sostanza …

Simone Weil non può non credere, credere all’Amore della Croce. Ma ella è dotata, per natura e per grazia, di sensibilità sufficiente per sentire che il segno non è realtà; per eminente e giusta che sia, la sua funzione è soltanto quella di dare un fondamento all’attesa della fede. La più grande prova dell’Amore non è la sostanza dell’Amore. Simone Weil non può andare oltre il segno; Dio solo concede di superarlo ed ella lo sa. Ella aderisce al segno che provvisoriamente è tutto per lei, senza potervi trovare la pace completa. Dramma dell’attesa che dura sulla terra, perché l’attesa è continua- mente rinviata dal segno al mistero.

Almeno il segno, per Simone Weil, esisté sino alla fine. Ella morì volendo essere segno ella stessa, comunicando con tutti coloro che soffrivano. Il 24 agosto 1943, Simone Weil comprese che il segno della Croce non inganna. Quali precisazioni non avrebbe aggiunto ai suoi quesiti se avesse potuto osservare nella Chiesa ciò di cui noi ora siamo testimoni: la ricerca del meglio soppiantare lo zelo per la penitenza, un neotrionfalismo invadere la cristianità sotto forma di un pascalismo in cui non è certo solo questione di resurrezione, la messa diventare un banchetto più che un sacrificio, i cristiani, e soprattutto i loro pastori, togliere l’emblema della Croce da tutti i luoghi da cui, da secoli, ricordava l’Amore! Cosa avrebbe pensato Simone Weil, lei per la quale l’unico segno era quello della Croce? Avrebbe probabilmente pensato che, in realtà, «la Chiesa non ha perfettamente adempiuto la sua missione di conservatrice della dottrina». E la sua vocazione sarebbe stata rafforzata.

Non esiste altra apertura al mondo dei due bracci della Croce; se la Croce sparisce, non resterebbe che diventare noi stessi un «segno della Croce» vivente, un segno della Croce che vivrebbe di desiderio e di attesa. A questo genere di quesiti Dio solo può rispondere. Questa verità, che aveva così profondamente colto, Simone Weil l’ha realizzata con il proprio essere concludendo la sua vita. Le righe, tanto commoventi, che nella «Lettera» ha dedicato al mistero della Croce sono, lo speriamo vivamente, diventate un canto quando Cristo «si è riconosciuto in esse» ed ha liberato Simone Weil dalla duplice costrizione del segno e della serie di quesiti.

Il desiderio dell’Amore all’ombra della Croce ha rivestito per Simone Weil un aspetto unicamente personale. Il dono di sé agli altri, agli allievi privilegiati, agli operai sfortunati ed a tanti altri che noi ignoriamo, ha avuto, nella vita di Simone Weil, un ruolo la cui grandissima importanza non intendiamo certo minimizzare. Temperamento, educazione, influenze diverse sono stati ugualmente determinanti. Ma il nostro intento è di rispondere alla «Lettera». Noi consideriamo quindi il personaggio di Simone Weil così come si manifesta nella «Lettera». Quello che importa è il punto terminale, non la genesi, se si vuole rispondere obiettivamente su quesiti che si pose un’ultima volta Simone Weil facendo una profonda riflessione su tutta se stessa. Non insistiamo, dunque, sulle difficoltà che suscitò in lei l’intuizione dell’amore cristiano. Formuleremo, piuttosto, per maggior chiarezza, la risposta che suggeriamo.

L’unità tra l’Amore e la Croce è, tra tutte le verità professate dal cristianesimo, quella che gli è sempre stata propriamente specifica. Di questa verità Simone Weil ebbe un’intuizione che si venne continuamente approfondendo, intensificando e purificando. Intuizione cristiana? Indubbiamente ed eminentemente quanto al contenuto espresso e comunicato. Ma se teniamo conto del soggetto, se si considera il rapporto di Simone Weil con il contenuto obiettivo, sembra che questo sia stato circoscritto, esattamente e bene, tanto sentimentalmente quanto mentalmente piuttosto che coscientemente recepito e positivamente vissuto; vogliamo con ciò dire che Simone Weil non sembra averlo coscientemente ricevuto da Cristo né positivamente vissuto in Cristo. La maggiore intuizione di Simone Weil è, dunque, perfettamente cristiana nel suo oggetto, ma è ancora soltanto precristiana nel suo esercizio, e questo è compatibile con la ricezione del battesimo e con l’appartenenza alla Chiesa? La domanda ora è inutile per Simone Weil poiché Dio stesso vi ha risposto, in modo diverso, ma secondo verità

La seconda, tra le maggiori intuizioni di Simone Weil, concerne il rapporto tra l’uomo e Dio … «L’idea di una ricerca dell’uomo da parte di Dio è di uno splendore e di una bellezza insondabili. Vi è un decadimento, una sminuizione quando questa idea è sostituita da quella di una ricerca di Dio da parte dell’uomo» … Come non riconoscere il Vangelo in queste parole? «È Dio che ci ha amati per primo». «Sono stato Io a scegliervi, non voi a scegliere Me». La primitività di Dio, di tutto ciò che procede da Lui: questa è la verità essenziale. Se, come in effetti accade, supponiamo che l’iniziativa venga da Dio, che Dio per primo cerchi l’uomo, ne consegue che la ricerca di Dio da parte dell’uomo riceve da Dio stesso conferma ed impulso. Se, al contrario, supponiamo all’«inizio» la ricerca di Dio da parte dell’uomo, non si potrà assolutamente trarre la conseguenza che esista una ricerca dell’uomo ad opera di Dio; e, abbandonata a se stessa, cioè all’uomo, la ricerca di Dio da parte dell’uomo viene ad essere «degradata», decade dal livello cui avrebbe dovuto essere e sarebbe rimasta se fosse stata «innestata» nella ricerca dell’uomo ad opera di Dio. Simone Weil ha percepito questa evidenza incomparabilmente meglio dei troppi cristiani attualmente obnubilati da un umanesimo che degenera a poco a poco nell’ateismo, giacché non nega Dio ma pone il punto di partenza nell’uomo, afferma la priorità della ricerca di Dio da parte dell’uomo, ricerca che, lasciata a se stessa, è incapace di giungere sino al Dio vivente. Eppure è scritto: «Nessuno viene a me se mio Padre non lo attira». I cristiani che leggeranno, o rileggeranno, la «Lettera», vi riconosceranno, traendone una certa utilità almeno per quanto riguarda questo punto, l’insegnamento del loro maestro

Simone Weil lo aveva compreso perfettamente, il prestigio della Chiesa e la sua imprescrittibile grandezza consistono nell’essere l’umile serva della Verità divinamente rivelata, nell’indicare Colui che è il suo Sposo, come fece san Giovanni tirandosi umilmente in disparte. «La Chiesa è perfettamente pura soltanto sotto un rapporto; cioè solo in quanto conservatrice dei sacra¬ menti. Ciò che è perfetto non è la Chiesa ma il corpo ed il sangue di Cristo sull’altare» … Simone Weil non credeva di essere «profeta» ma si dimostrò assai intelligente a proposito delle cose di Chiesa, quando le considerava con obiettività …

Sarebbe stato meglio fare osservare a Simone Weil che aveva il torto di dogmatizzare su di esse senza conoscerle a sufficienza. Ella ha giudicato, pur essendo ancora fuori della fede, cose che si possono comprendere solo nella luce della fede ricevuta dal battesimo nella Chiesa. Questa sarebbe stata la risposta alla «Lettera», e sarebbe stata, nello stesso tempo, più pertinente obiettivamente e più utile personalmente a Simone Weil …

È l’«obbedienza della fede» e non la «sospensione del giudizio» che segna l’umiltà dello spirito. Simone Weil in realtà non l’ha capito. Ella, a buon diritto, temeva qualsiasi violenza fatta all’intelligenza. E, in compenso, benché abbia autenticamente creduto, a sprazzi e del tutto gratuitamente, Simone Weil non ebbe, nello spirito, il nutrimento permanente della grazia della fede. Di modo che il timore di subire una sopraffazione fu per lei solo il principio della Saggezza. Ella non può comprendere che la sottomissione ad un insegnamento cessa di essere una costrizione quando diventa la conseguenza, nell’ordine razionale, di un’acquiescenza gratuitamente resa connaturale. Simone Weil, con la sua acuta sensibilità, ha presentito questa conversione dell’intelligenza che è in realtà concomitante al dono della fede? Siamo propensi a pensare di sì. E ne spieghiamo il perché.

«I cristiani non hanno mai detto, che io sappia, perché la castità (e particolarmente la verginità) ha un valore soprannaturale. È una lacuna grave che allontana da Cristo molte anime». Simone Weil è severa nei confronti di una tradizione che mostra di ignorare. Non ha dunque letto né sant’Ambrogio né sant’Agostino? In compenso si sarebbe scandalizzata a causa dei troppi ministri di Cristo i quali oggi rinnegano il « valore spirituale » che ella, a giusta ragione, rivendica.

La verginità ha un valore spirituale perché per la creatura significa realizzare, con tutto il proprio essere e nei riguardi del Creatore, la totale relazionalità che è propria dello Spirito. Lo spirito, quando possiede la conoscenza, non cessa di essere lo spirito e nello stesso tempo diviene la stessa che conosce; vale a dire che lo spirito esiste relativamente a ciò che conosce. La verginità è questo ma in tutto l’essere, ed al massimo grado possibile, in quanto è realizzata nei confronti con il Creatore. La verginità comporterebbe una rinuncia se non assicurasse invece una completezza, completezza nell’ordine dell’essere, che è quello al quale appartiene il rapporto tra il Creatore e la creatura.

Simone Weil mette in atto questa specie di «rinuncia » per esprimere il mistero della Santa Trinità. «Allora in un certo senso è vero che bisogna concepire Dio impersonale; cioè nel senso che egli è il modello divino di una persona che, in grazia della rinuncia supera se stessa».’

Idea, questa, ripresa nella «Lettera» (25, 4-9). Sorvoliamo sull’improprietà dei termini e soffermiamoci sull’intuizione. Simone Weil lascia capire il valore che attribuisce a questa intuizione dall’utilizzazione che ne fa. Tuttavia questa intenzione scaturisce sempre dalla creatura. «L’imitazione della bellezza del mondo, la risposta all’assenza di finalità, di intenzione, di discriminazione, vuol dire assenza di intuizione in noi, vuol dire rinuncia alla nostra volontà. Essere perfettamente obbedienti vuol dire essere perfetti come è perfetto il nostro Padre celeste ». « Una creatura ragionevole diventa perfetta per quel tanto che le appartiene l’immagine perfetta dell’Onnipotente se essa è assolutamente obbediente». Osiamo pensare che questa intuizione sia stata uno sprazzo di vita cristiana, una comunione con Dio, basata sull’«obbedienza alla morte della Croce».

Se si fosse potuto dire a Simone Weil che «l’obbedienza della fede » è, in sostanza, verginità di spirito, ella avrebbe potuto trovare quell’obbedienza, di cui parla tanto bene, nella sottomissione dell’intelligenza, che teme tanto. Ed avrebbe compreso. Non voler ricevere nulla, dimenticare che esistiamo solo in quanto riceviamo, è il peccato di Satana. È, per sempre, «il peccato»: nessuno ne è esente. Simone Weil era forse prigioniera dell’artiglio di un sottile orgoglio? Non avrebbe potuto essere condotta alla fede dall’umiltà ed all’umiltà dal «valore spirituale della verginità»? Noi pensiamo di sì.

Dio ha reso vani quei quesiti, almeno per Simone Weil. Egli ha risposto alla «Lettera» come Lui solo poteva fare.


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