Il 18 agosto 1503 moriva a Roma uno tra i più famosi successori di san Pietro: papa Alessandro VI.
Magnifico, controverso, calunniato così come la sua vita, anche la sua morte non passò senza suscitare mormorazioni e pettegolezzi, a tutt’oggi vivi e vegeti nel popolazzo come nelle cerchie “colte” (anche cattoliche).
Morì avvelenato per sbaglio, vittima di uno dei tanti crimini suoi e di suoi figlio Cesare? Vediamo di vederci chiaro, ricorrendo alle serie fonti storiografiche e a un giudizio “imparziale” come quello di Voltaire.

1. Testimonianza di Giovanni Burcardo, cerimoniere di papa Alessandro
(da Andrea Leonetti, Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo, Volume III, Bologna, 1880)

Venerdì, 18 agosto 1503, tra le ore 12 e 13 (tra le otto cioè e le nove del mattino) si è confessato a Mons. Pietro, vescovo di Culm, il quale disse la messa alla sua presenza, e dopo essersi lui comunicato ministrò il Sacramento Eucaristico al Papa, ch’era seduto sul suo letto, e dopo ciò seguitò la messa. Erano presenti cinque Cardinali, quello cioè d’Oristano, quel di Cosenza, Monreale, Casanova ed il Costantinopolitano; a’ quali il Papa disse che si sentiva male. All’ora del Vespro, fattagli dal medesimo Vescovo di Culm l’Estrema Unzione, spirò in presenza del Datario e del Vescovo.

2. Giudizio di Ludwing von Pastor, illustre storico della Chiesa e fortemente critico dei papi “rinascimentali”.
(Storia dei Papi, Vol. III, Roma, 1932, pp. 571-577)

L’11 agosto si celebrò l’anniversario dell’elezione del papa. Alessandro intervenne alla funzione religiosa nella cappella: agli ambasciatori fece specie la sua interna inquietudine; gli mancava, scrive Antonio Giustinian, quella giocondità che sempre mostrava in simili circostanze … La mattina del 12 agosto, un sabato, il papa si sentì indisposto; nel pomeriggio subentrarono vomiti e febbre, che durarono per tutta la notte. Nel medesimo tempo ammalò Cesare in quella che si disponeva a marciare coll’esercito. La cagione – scrive l’inviato di Venezia il 13 agosto – sembra sia questa, che Alessandro e Cesare otto giorni fa [dunque il cinque o il sei agosto] pranzarono in una villa del cardinale Adriano da Corneto e rimasero là fino a notte. Tutti quelli che vi furono caddero infermi, e per il primo il cardinale Adriano, il quale fin dal venerdì ebbe un violento accesso di febbre, che si ripeté nei due giorni seguenti. Si sa che l’agosto è il mese più pericoloso per Roma e che col soffermarsi all’aria libera, specie in sull’annottare, si corre serio pericolo. La forma maligna della febbre intermittente, che colpisce non di rado dopo una simile imprudenza, vien detta Malaria perniciosa; in poche ore la temperatura può ascendere fino al 45° grado, e una tale infezione può guastare anche la più forte costituzione. Il Vaticano giace in una postura, che nella calda stagione viene spesso visitata dalla malaria. Un ambasciatore la infatti sapere il 14 agosto, che non si poteva meravigliarsi della malattia di Alessandro e di Cesare, poiché in seguito all’aria cattiva v’erano stati nel palazzo pontificio moltissimi casi di malattia. I medici il 13 agosto cercarono di venire in aiuto del papa con abbondanti salassi, un mezzo allora assai in uso. Per tutto quel giorno Alessandro VI si sentì sollevato e giocò alle carte. Se non che dopo una notte passata discretamente, il giorno 14 sopravvenne un altro accesso di febbre, come quello del 12, del che i familiari furono molto impensieriti. Sebbene il cavar sangue ad un uomo di settantatré anni fosse cosa già di per sé non senza pericolo, pure si proseguì in questa operazione, essendo Alessandro VI molto sanguigno.1 II giorno 15 l’infermo si sentì alquanto migliorato e la febbre non venne, ma il giorno 16 essa comparve di nuovo. Anche lo stato di Cesare peggiorava a vista d’occhio, gli accessi di febbre si succedevano senza interruzione. La preoccupazione per Cesare e i pensieri politici recarono grave pregiudizio allo stato di salute del pontefice. I medici dichiararono il suo stato oltremodo pericoloso, nondimeno si tenne la cosa più celata che fosse possibile, tanto che Beltrando Costabili, ambasciatore di Ferrara, non ne poté sapere che poco. Secondo la sua relazione del 17 agosto Alessandro VI stette bene e tranquillo dal mattino alla sera, tanto che l’uomo di fiducia del Costabili sperava che gli accessi di febbre attesi per la dimane venissero a mancare sarebbero leggeri. La malattia del papa viene qui espressamente designata col noto nome idi terzana: molti temevano non si convertisse in quartana. La notte dal 17 al 18 agosto fu cattiva, la febbre tornò con violenza ancor maggiore e si dovette abbandonare ogni speranza. Alessandro V si confessò dal vescovo di Carinola Pietro Gamboa, che celebrò la Messa nella stanza dell’infermo: egli porse al papa la santa comunione e gli diede l’olio santo. In palazzo regnava il massimo disordine, molti mettevano già al sicuro le loro robe. Cesare Borgia il 18 agosto migliorò assai: il suo giovanile vigore superò la malattia, ma per il settantatreenne Alessandro VI era giunta l’ultima ora. In quel medesimo giorno verso le 6 di sera sopravvennero violente ansime e deliquio; egli rinvenne ancora una volta per dar subito l’ultimo respiro verso l’ora di vespro. Data l’infermità contemporanea del papa e di Cesare e la rapida corruzione del cadavere, che del resto era spiegabile per il gran caldo, si parlò subito di avvelenamento. Ma l’inviato mantovano fin dal 19 d’agosto scrive, che di ciò non era nemmeno a parlarsi. Con lui vanno pienamente d’accordo anche altri contemporanei conosciuti come gente assai bene informata; né l’ambasciatore veneziano Antonio Giustinian, né Giovanni Burcardo parlano di veleno. Questi erano presenti in Roma alla morte di Alessandro; il che non è del Guicciardini, del Bembo, del Giovio, del Sanuto e di Pietro Martire. Le relazioni di quest’ultimi, che parlano di un avvelenamento, son inoltre tra di loro variamente contradittorie e debbonsi rimandare indubbiamente nel regno delle favole. L’ultima malattia di Alessandro VI fu con somma probabilità la pericolosa febbre romana, che scosse gravemente il corpo non più giovane e disposto all’apoplessia. L’immediata causa della morte fu, secondo il parere d’uno dei medici l’apoplessia. In considerazione della pausa di sei o sette giorni tra il banchetto presso il cardinale Castellesi e la manifestazione della malattia, nella quale pausa si poterono notare soltanto generali sintomi prodromi di malumore e inquietudine psichica, come pure secondo il corso dell’infermità fra periodici accessi di febbre, un avvelenamento è almeno molto inverosimile. Contro l’ammissione d’un avvelenamento parlano anche la relativamente piccola violenza dei fenomeni occorsi, il relativo benessere fra i singoli attacchi come pure i sintomi della malattia, che però son descritti solo incompletamente. Fra i casi, del tutto sicuramente stabiliti, d’avvelenamento dell’età d’allora come del presente, nessuno si conosce che ¡somigli al quadro della malattia in tutti i sintomi accertati, che presentò Alessandro VI.

3. Giudizio di Voltaire.
(dalla Dissertazione sulla morte di Enrico IV)

Il Cardinal Bembo, Paolo Giovio, Tommasi, e per ultimo Guicciardini sembrano credere che il Papa Alessandro VI sia morto di veleno, ma non lo affermano positivamente. Tutti i nemici della Santa Sede hanno fatto buon viso a quell’ orribile aneddoto; quanto a me, io non ne credo niente, e la mia gran ragione si è, ch’esso non è verisimile. È evidente che l’avvelenamento di una dozzina di Cardinali a cena avrebbe reso il padre ed il figlio esecrabili a segno, che nulla avrebbe potuto salvarli dal furore del popolo Romano e di tutta Italia. Un tale delitto non avrebbe potuto rimanere nascosto, e se non fosse stato punito dalla Italia congiurata, esso era dirittamente contrario all’utile di Cesare Borgia. Il Papa era sull’orlo della tomba; Borgia colle sue brighe poteva far eleggere una delle sue creature, ora era forse un mezzo di guadagnarsi i Cardinali, avvelenarne una dozzina? Io oso dire a Guicciardini: Voi ingannate l’Europa, e la vostra passione ha ingannato voi voi eravate nemico del Papa, e avete prestata troppa fede all’odio vostro. Egli aveva a dir vero esercitate perfide e crudeli vendette contro nemici perfidi e crudeli al pari di lui; da ciò voi traete argomento a conchiudere che un Papa di settantaquattro anni non è morto naturalmente; e pretendete sopra relazioni incerte che un vecchio principe, che aveva i cofani pieni più di un milione di ducati d’oro, volesse avvelenare alcuni Cardinali per impadronirsi delle loro masserizie! Erano dunque tanto importanti queste masserizie, le quali per lo più solevano essere portate via da’ camerieri prima che i Papi potessero porvi sopra la mano? Come potete mai credere che un Papa prudente abbia voluto per un sì tenue guadagno avventurare un atto sì infame, un atto che domandava complici, e che presto o tardi sarebbe stato scoperto? Non debbo io credere piuttosto al giornale della malattia del Papa, che ad una voce popolare? Questo giornale lo fa morire di una febbre terzana doppia, e non vi ha alcuna traccia di prova in favore di quest’ accusa intentata alla sua memoria. Suo figlio Borgia cadde malato nel tempo della sua morte, ed ecco il solo fondamento della storia del veleno.


Seguite Radio Spada su:


fonte immagine wikipedia.org