Da un vecchio numero (n. 3 – anno I – 1° luglio 1896) di Bessarione, rivista di studi orientali volta alla facilitazione dell’Unione delle Chiese, ossia il ritorno dei dissidenti alla comunione col Romano Pontefice, riprendiamo alcuni stralci di un interessante articolo intitolato “L’unità della Chiesa nell’antichissima tradizione persiana”.

Il domma dell’unità della Chiesa, personificata in Pietro e nei suoi Successori, come ogni altro domma della Chiesa verace, ha la sua traccia luminosa in ogni secolo ed in ogni popolo della Cristianità. Quando Leone XIII nella sua Enciclica del 29 giugno [Satis cognitum, ndRS] dichiarava esser quella la fede tradizionale dell’ Oriente e dell’Occidente, proclamava una verità cui la storia conferma con una serie sempre più copiosa di prove irrefragabili. Sempre più copiosa abbiam detto. Imperocché i moderni studii archeologici e paleografici, e le maravigliose scoperte che ne seguirono e che tuttora ne seguono, vengono arricchendo ogni dì più la Chiesa cattolica di preziosi documenti i quali sono altrettante prove e conferme delle verità di principio o di fatto dalla Chiesa professate e difese. Ammirabili invero le vie della Provvidenza! È l’Oriente che da ormai parecchi lustri viene schiudendo i suoi tesori che l’ala del tempo copri, non distrusse: dalle sponde dell’ Egeo alle rive del Tigri ed alle cateratte del Nilo è tutta una portentosa risurrezione delle aride ossa che Ezechiello già vide disseminate pe’ deserti d’Oriente, e che tornate oggi alla vita, sorgono, esercito novello, alla difesa della Sposa di Cristo. Guardate, ad esempio, la Mesopotamia, la fatidica pianura ove sorsero Ninive e Babilonia, ove regnarono Sennacherib e Nabucco, e Dario e Serse ed Alessandro, donde mossero eserciti che parean popoli, contro gli Sciti della leggendaria Tomiri, contro l’Egitto dei decaduti Faraoni, contro la Grecia invitta di Milziade e di Temistocle, contro l’India misteriosa dei ginnosofisti, contro l’Impero di Roma e di Costantinopoli. Mentre la Mesopotamia dei re assiri e babilonesi con i suoi cuneiformi ed i suoi bassorilievi, viene svolgendo un magnifico commento geografico ed etnografico alle istorie narrate nei libri sacri dell’antico Patto, difendendo così la Chiesa dal criticismo razionalistico che tenta demolire l’autorità anche storica della Bibbia; d’altro lato, la Mesopotamia dei re pàrti, la Persia di Sapore II, contemporaneo di Costantino, ha visto tornare alla luce della cristiana civiltà gli scritti de’ suoi Padri a conferma solenne della tradizione ecclesiastica contro coloro che in Oriente ed in Occidente contrastano a quella, e vogliono scissa la mistica veste inconsutile del Redentore. E giacché la novella Enciclica dell’indefesso Pontefice ne porge il destro, tratteremo qui in base agli accennati documenti qual fosse l’antichissima tradizione della cristianità persiana sulla unità della Chiesa.

Il IV secolo fu veramente il secolo d’oro della Patristica. Non solo le Chiese di lingua latina e greca, ma anche quelle di lingua siriaca, furono illustrate da scrittori immortali. Per quest’ultima il principe, come è noto, fu S. Efrem. Mentre questi era ancor giovinetto, un altro padre di lingua siriaca trovavasi all’apogeo della sua ben meritata celebrità: egli era Giacomo Afraat, vescovo, detto il Sapiente persiano … fu un prelato e un dottore della Chiesa persiana, della quale sono insigni documenti il Trattato e la Lettera sinodale redatti dal pio e dotto vescovo di S. Matteo. Al trattato fu posto, non dall’ autore, il nome di Dimostrazioni; Afraat chiamò le parti di che quello è composto, Lettere, Sermoni ecc. …

Il domma dell’unità della Chiesa è solennemente ed insistente. mente proclamato negli scritti del Sapiente. Egli ci mostra la Chiesa una del Dio uno; i figli di lei sparsi per tutta la terra, formano tante chiese, ma queste non sono che parte della Chiesa, frazioni che formano l’unità. L’indirizzo della lettera sinodale lo dichiara con visibile insistenza. I vescovi, i preti, i diaconi, i fedeli di una parte e quelli dell’ altra cioè i mittenti e i direttarii della lettera sono tutti «figli della Chiesa» come sono tutti il popolo di Dio». E fra questi figli della Chiesa ed in questo popolo di Dio deve regnare l’unità dell’unum ovile: l’obbligo sagrosanto dei pastori, i vescovi, si è di tenere unito questo gregge del Pastore divino … È dunque stabilito essere ufficio principalissimo dei capi delle chiese di mantenere l’unità della Chiesa, dell’ unico gregge dell’ unico Pastore – di quella Chiesa di cui Leone XIII ha testé dichiarato essere «ex voluntate Auctoris sui unicam in omnibus terris, in perpetuitate temporum». E vi è un passo nella citata lettera sinodale, in cui bellamente si allude all’unica ed una Chiesa di Dio in opposizione alla babelica pluralità delle sètte. Ivi si dice che non possono convenire fra loro il bene e il male, la luce e le tenebre, la Chiesa del Santo con le duttrine del Maligno.

Ma come si attua e s’impersona questa unità della Chiesa? «… liquet Dei voluntate iussuque Ecclesiam in beato Petro velut aedes in fundamento consistere …. Petrum velut lapidem statuit, quo fulta esse Ecclesia deberet». Così c’insegna l’Enciclica Satis cognitum. L’istesso veniva dichiarato ed insegnato da Afraat. É con un vero entusiasmo ch’egli parla del primo Vicario di Gesù Cristo. Pietro è la «pietra stabile» (I. XI 12, 17), colui che il Salvatore «pose a fondamento e lo chiamò pietra, (per la) edificazione della Chiesa» (VII, 15), quegli a cui Cristo commise di pascere il suo gregge (X. 4) e che Cristo «costituì suo testimonio fedele tra le genti». (XI. 12). Coloro i quali sostengono che quando il Redentore chiamò Simone pietra fondamentale della Chiesa, e pastore delle sue pecore, parlava a tutto il collegio apostolico in persona di Pietro primus inter pares, non potranno davvero contare il Sapiente di Persi tra i loro seguaci. Afraat dichiara che la suprema dignità fu conferita personalmente a Pietro, per i suoi meriti personali, cioè la sua gran fede e la grande penitenza che segui la breve debolezza.

«Simone, detto Pietro, per la sua fede venne chiamato pietra stabile» (I, 17).
«A Simone principe dei seguaci (Apostoli) dopo aver negato il divin Maestro col dire: giammai mi vide il Messia, ed avere spergiurato: io non conosco l’uomo, sopravvenne il pentimento, ed egli sparse gran copia di lagrime; ed il Signore lo accolse, lo pose per fondamento e lo chiamò pietra, (per la) edificazione della Chiesa» (VII, 15).

È dunque Pietro il fondamento della Chiesa, l’unità della quale si basa sulla persona di lui; e Pietro con la sua persona posta a fondamento della Chiesa doveva, secondo il volere di Cristo, essere il testimonio fedele dell’unità di lei di fronte al mondo. Difatti, Afraat facendo un parallelo tra Gesù (Giosuè) duce di Israele e Gesù Cristo di cui quello era una figura, dice testualmente così: «Gesù figlio di Nun eresse delle pietre a testimonianza di Israele; Gesù nostro Salvatore chiamò Simone pietra stabile e lo costituì testimonio fedele tra le genti» (XI, 12). È certo che la «testimonianza fedele» non doveva esser solo quella del semplice apostolato, giacché allora l’autore avrebbe dovuto nominare tutti gli apostoli, confronto tanto più naturale in quanto ché i dodici Apostoli rammentavano i «duodecim durissimos lapides» (Ios., IV, 3) posti da Giosuè. Se dunque Afraat parla esclusivamente di Simon Cefas non solo per paragonare la pietra alle pietre, ma testimonianza a testimonianza, bisogna inferire che nella mente di Afraat, Pietro avea una speciale testimonianza da rendere dinanzi all’ orbe intiero: quella dell’ unità della Chiesa, dell’«unum ovile et unus Pastor» egli che di tal Pastore era il vicario. E perciò la persona di Pietro era testimonianza fedele dell’ Unità della Chiesa perchè chi vedeva l’unico fondamento, vedeva in ciò stesso la unità dell’ edificio.

Riassumiamo. La Chiesa è una, qualunque sia il numero delle chiese ossia delle varie comunità locali (XIV, 1); i pastori di queste debbono tutelare l’unità dell’ Ovile cioè della Chiesa (XIV, 38). Tale unità della vera Chiesa è uno dei contrassegni che la distinguono dalle sètte eretiche e scismatiche (XIV, 30). L’unità della Chiesa si fonda e s’ impersona in Pietro; giacché è direttamente a lui, per i suoi meriti personali (I, 17 VII, 15), che Gesù conferì il titolo e l’ufficio di pietra stabile, fondamento dell’edificio della Chiesa (I,17 – VII,15 – XI,12), pastore dell’«unum ovile» (X, 4), e, per ciò stesso testimonio fedele della unità della Chiesa dinanzi al mondo intiero (XI, 12).

Adunque l’antichissima Tradizione persiana, con la penna di Afraat, ha tracciato a caratteri indelebili la professione di fede circa l’unità della Chiesa fondata su Pietro. Quanto alla trasmissione del potere supremo da Pietro ai suoi romani successori, non abbiamo parola negli scritti del Sapiente persiano, per la semplice ragione che di parlarne non ne ha avuto occasione propizia. Ma posta la dottrina come l’abbiam vista porre da Afraat, scende di per sé la conclusione; giacché se Pietro, come pietra fondamentale, è personalmente il Vicario di Cristo che gli ha commesso il governo del mistico gregge, viene per naturale conseguenza che alla persona una persona dovesse succedere; altrimenti bisognava cambiare la natura e l’ordine del fondamento e della costruzione. Ora, è ovvio che se la Chiesa dee esser retta monarchicamente da un successore di Pietro, questi debba essere il di lui erede del romano pontificato. L’antichissima Tradizione persiana è una risposta perentoria anche ai cavilli di quegl’ipercritici i quali nella professione di fede unitaria e romana degli antichi Padri greci e latini vogliono vedere, più che un domma religioso, una deduzione ed applicazione religiosa di un fatto politico e sociale elevato a principio: cioè la unità dell’ Impero romano e la supremazia della Roma dei Cesari, insomma l’idea ed il fatto dell’orbis romanus, passati da Augusto a Pietro, e dal Senato al Concilio. Questo cavillo, di per sé cotanto futile, cade anche in via di fatto dinanzi alla solenne testimonianza della Chiesa persiana. La Persia infatti non solo era fuori dell’orbis romanus, ma ne era la tradizionale nemica. Roma e Costantinopoli piansero ripetutamente sulle crudeli ferite ricevuto dalle saette dei «centauri» pàrti: e i due imperi e le due civiltà non si detter mai tregua, sempre che il poterono. Se dunque anche i sudditi di Sapore II professavano l’ unità della Chiesa fondata su Pietro, come i sudditi di Costantino, è forza concludere che il domma il quale sin d’allora era una tradizione indiscutibile anche per la chiesa di Persia, veniva direttamente dagli Apostoli, come ad essi era venuto direttamente dal divin Pastore dell’unum Ovile.


Leggi anche:
🔴 Il primato di San Pietro in un passo di Sant’Ambrogio
🔴 La fede e il primato di San Pietro in un sermone di San Leone Magno
🔴 Il Primato Romano e la storia dimenticata del vicariato apostolico di Tessalonica
🔴 San Giulio I. Il primato romano contro gli Ariani
🔴 Aureliano e il Primato Petrino.
🔴 La liturgia greca di papa san Martino I e la fede degli Orientali nel Primato Romano
🔴 La Lettera di Papa san Clemente ai Corinzi: un testo meraviglioso e una prova del primato romano
🔴 Il primato di Pietro in un discorso del cardinale Pitra
🔴 S. Celestino I e il Primato Romano al Concilio di Efeso
🔴 Sant’Atanasio d’Alessandria e il Primato Romano
🔴 [ELLADE CATTOLICA] Il Primato del Papa in San Teodoro Studita


Seguite Radio Spada:


fonte immagine commons.wikimedia.org