«Mi chiamo e sono il padre Pier Gaetano Feletti dell’Ordine dei Domenicani, del fu Filippo, d’anni 62, nato a Comacchio .. non ebbi mai a che fare prima d’ora colla Giustizia, ne venni mai prima d’ora arrestato o processato».
Così si presentava un vecchio domenicano al tribunale sardo (appena insediato) di Bologna nel 1860. Era stato arrestato nella notte fra il 2 e il 3 gennaio con l’accusa di “attentato alla pubblica tranquillità per la presa [da lui] ordinata del fanciullo Edgardo Mortara”. Quel vecchio domenicano era infatti l’Inquisitore di Bologna, l’ultimo della gloriosa serie, cui la Suprema Inquisizione Romana affidò il compito di prendere in consegna il bimbo ebreo. Non ci interessa in queste poche righe tornare sul famigerato “caso Mortara”, peraltro già trattato in un’apposita diretta: unico scopo del presente articolo sarà principalmente riportare alcune dichiarazioni del religioso, che ne testimoniano la grande forza d’animo.
«Questo mio arresto lo riconosco proveniente da un’autorità incompetente, come sacerdote regolare, e come apertamente incaricato dal Sommo Pontefice all’Inquisizione di Bologna».
«lo non potrò negare cose di fatto se mi saranno rese ostensibili, ma nulla dirò del resto, perché sono vincolato da un giuramento sacrosanto di non manifestare le cose che appartengono al tribunale della fede cattolica. Per ciò che riguarda le cose da me eseguite come Inquisitore del Santo Ufficio di Bologna sono obbligato a darne conto unicamente alla superiore sacra Congregazione di Roma, il cui prefetto è il Sommo Pontefice Papa Pio IX. A niun altro io sono responsabile delle cose d’ufficio».
«lo mi offro a soffrire quelle pene, che potessero essere inflitte a qualunque altra persona involuta in questa causa, non escluso né anche l’ebreo Momolo Mortara, il quale violò le leggi emanate dalla Chiesa, di non poter tenere al suo servizio alcuna persona cristiana per evitare appunto qualunque inconveniente. Perciò, dissi, io mi offro a soffrire quelle pene che potessero essergli infitte per questa trasgressione, e mi anima a questa offerta, che io faccio di me stesso, l’indulgenza usata dalla Chiesa in questa causa di non molestare alcuno che vi abbia avuto parte. I giudizii della qual Chiesa non vanno certamente soggetti a niun altra autorità a Lei inferiore, poiché la dottrina cattolica m’insegna che la fede di Pietro non va sottoposta al giudizio di veruno».
Il padre Feletti rimase in carcere dal 2 di gennaio al 16 di aprile 1860. Il processo si concluse con l’assoluzione dell’imputato in quanto la “ablazione” era stata “un fatto di Principe” ossia un atto di un governo legittimo riconosciuto dalle potenze internazionali.
A seguito della vicenda giudiziaria, il domenicano si trasferì a Roma. Qui la prima cosa che fece fu visitare il piccolo Edgardo Mortara, con cui rimase sempre in rapporti di forte amicizia. Nell’Urbe ricoprì gli incarichi di Priore della Minerva e di Cappellano delle Domenicane dei Santi Domenico e Sisto.
La morte lo colse nella Città Eterna il 4 giugno 1881.
Seguite Radio Spada su:
- Telegram: https://t.me/Radiospada;
- Gloria.tv: https://gloria.tv/Radio%20Spada;
- Instagram: https://instagram.com/radiospada;
- Twitter: https://twitter.com/RadioSpada;
- YouTube: https://youtube.com/user/radiospada;
- Facebook: https://facebook.com/radiospadasocial;
- VK: https://vk.com/radiospada.