di Piergiorgio Seveso, già presidente SQE di Radio Spada

Dopo l’ultimo concistoro bergogliano, con l’ennesima infornata di “porpore” della Rivoluzione (di cui il famoso Víctor Manuel Fernández, detto Tucho è solo una guarnizione di frutta candita su ricca torta a strati), il “tradizionalismo conservatore” nostrano è entrato nella consueta grande agitazione.

Per la prima volta, dopo anni e anni di torpore al cloroformio (che abbiamo cercato di interrompere inviando giudiziose lettere come la “Lettera ai conservatori perplessi”, ben prima che Amoris Laetitia fosse) anche in questi ovattati ambienti è balenata una parola fino a questo momento accantonata, è apparsa come la Morte rossa nel famoso racconto di Edgar Allan Poe, durante il consueto e rutilante baccagliare di cappe magne, vesti paonazze e turchesi, convegni con cardinali nonagenari. La parola è IRREVERSIBILITA’: il nuovo stadio in cui Bergoglio ha condotto la ormai sessantennale rivoluzione conciliare sta diventando, è diventato (almeno umanamente parlando) IRREVERSIBILE. Potete nascondervi in qualche castello, trovare riparo in qualche cappella ricoperta di stucchi, trovare asilo in qualche chiesuola di montagna o in qualche sagrestia di città, in qualche diocesi periferica di tradizionalismo esistenziale ma la’ fuori (sottolineo LA’ FUORI) si fa strage di anime, si dilania quel che resta del Corpo Mistico.

Presa consapevolezza della cosa e paventando fughe verso quel tradizionalismo “estremo” (contro il quale per decenni si sono aperte le cateratte e le marcite del sussiego, del disprezzo e del sarcasmo) che invece mostra magis et magis in die di aver avuto più lungimiranza di Siri, Ottaviani, Oddi, Palazzini, Ciappi e Stickler messi insieme, il mondo “tradizionalista conservatore” ha lanciato un nuovo mantra: “Fermi tutti, per carità, non muoviamoci troppo!”. Orbene a nessuno sfugge che questo genere di appelli mostri già da principio una certa debolezza dell’analisi: il nemico è già nella Rocca, l’incendio è ognidove.

Scrivevo anni fa su Radio Spada in un pezzo: … Penosa poi la sorte di chi sta “fermo”, aspettando aiuto e attendendo conferme che le “gerarchie” sono ormai inabili a dare perché o sparite nel gorgo del maremoto (“il capitano”) o perché, prive di lume sovrannaturale e di coraggio ecclesiale che proviene dalla grazia di stato, non riescono a capire cosa sia la cosa giusta da fare. E’ il destino di chi si attacca ai galloni dorati di una divisa, sia essa di qualche “cardinale” dalle ricche cappe o di qualche “monsignore” dalle mitre gemmate: una sorte illusoria e tragica, perché quei “superiori” non hanno né lume, né autorità per porre in salvo chi loro si affida ma attardano sino a far perdere l’appuntamento con la Storia e condannano ad una progressiva morte di inedia ecclesiale (anche perché pizzi e aurifregi non nutrono, né saziano). Una morte per inedia costellata da continue fughe dalla realtà, in un mondo fatato e incantato dove il virus della rivoluzione conciliare o è confinato in determinati luoghi o “non ci può raggiungere” in virtù di autoreferenziali e vani convincimenti. “Solo chi si “sposta”, chi giocoforza è costretto a spezzare i legami, chi rinunzia alla tranquillità della propria vita, agli agi del “cattolicamente corretto”, solo chi si ribella ad un destino di morte ecclesiale, fatto di sottili ma inesorabili apostasie, ha la certezza di essere “al posto giusto” in questi frangenti tragici per la (rovesciata ma non distrutta) nave di Pietro. E’ una scelta che molti tra noi hanno fatto tanti o pochi anni fa e ha due caratteristiche che la qualificano appieno: è assoluta e irrevocabile. Anche questa scelta, ben lungi dall’essere però conclusiva o pacificante, si rivela, come sempre per l’homo viator ma ancor più oggi, irta di pericoli e difficoltà, socialmente inaccettabile, naturalmente “modesta”, perennemente in battaglia e con gli occhi fissi su quell’abisso oscuro di una crisi ecclesiale che pochi vedono o ancor meno hanno il coraggio di guardare (e non si tratta certamente di un bello spettacolo).

Piuttosto quindi che stare fermi, l’incoraggiamento è quello di spostarsi nell’integralità del cattolicesimo romano (e quindi senza prostituzioni foziane, antiprimatiste o antinfallibiliste) verso piccole fortezze, si spera, più protette e sicure. Buon viaggio e… non voltatevi indietro.

I nuovi circoncellioni

In tempi di grandi confusione, degli ego straparlanti ed enfiati come palloni aerostatici, di plebi telematiche che si muovono come sciami di falene alla ricerca di una nuova insegna luminosa, di una nuova sensazione, di una nuova suggestione di “appartenenza” cattolica, è facile che nel magmatico calderone del “tradizionalismo” si formino dei grumi, delle aggregazioni sconnesse che così come nascono, così altrettanto facilmente si dissolvono.

Senza attribuire tutti i torti a questa nostra disgraziata epoca, anche nella vita del Medioevo era tutto un pullulare di piccole e grandi eresie ed eterodossie, tra devianza dottrinale e ribellismo sociale, tra allucinazioni di massa ed eversione anticristiana. Allora spesso bastavano dei tratti di corda ben dati, qualche nerbata o alla peggio il buono zelo di qualche nobile locale (come Simon de Montfort che ricordavamo pochi giorni fa su Radio Spada) per riportare tutti alla realtà e all’Ordine sociale. Oggi invece in tempi di atomistica dissoluzione, di liberalismo omicida intronizzato sugli altari della politica, di soggettivismo sfrenato che si culla di identità che non esistono e che, se esistono, sono delitti, i tratti di corda non si possono più dare e quindi la chimerica fantasia corre sfrenata in praterie del Nulla pressochè sconfinate.

Se la Religione da “oppio dei popoli”, come dicevano i suoi nemici, è diventata meno pericolosamente Hobby dei popoli, è assolutamente e marchianamente evidente che ognuno segua il suo hobby preferito. Tra i fatti di costume (fossimo laici diremmo di sociologia religiosa) più interessanti degli ultimi tempi (di cui ci siamo occupati tante volte su RS) ci sono i nuovi circoncellioni del benevacantismo, oscena parodia del ben più serio (e drammatico) sedevacantismo. Come i loro predecessori dell’epoca di Sant’Agostino ma con la più “innocua” virtualità di mezzi, si aggirano per il web, chiedendo perentoriamente professioni di fede nell’invalidità del conclave del 2013 e nella nullità delle “costrette” dimissioni del gran Sofo bavarese cui gridano, sgranati gli occhi, “Laus Deo”.

Molti volenterosi apologeti (anche assai lontani dalle nostre posizioni) si sono premurati di “confutare” queste eccentricità. Mancando però il braccio secolare, ad esempio, dei conti di Tolosa, la fatica si rivela quella di un lavoro buono ma rimasto a metà: infatti quando un’”idea meravigliosa” e fascinatrice (per citare un vero maestro come Cesare Ragazzi) prende possesso della mente di taluni, attorno ad essa si costruisce un castello di teorie e congetture che miracolosamente vanno tutte ad incunearsi attorno a questo bozzolo ideologico centrale. Controargomentazioni, dimostrazioni, insomma gli stramaledettissimi fatti con le loro evidenze morali si impigliano come povere vittime sacrificali nel reticolo, nella grande ragnatela ideologica: lo sforzo risulta meritorio, ma chi si ostina a credere che 2 + 2 faccia 7 continuerà a urlarlo, sbattendo la testa contro il muro. Solo un colpo di spada (virtuale, o anche reale, come suggerivo anni fa nella prefazione di “Deporre il Papa?” dell’amico Don Curzio Nitoglia) potrebbe scogliere ANCHE i legacci di questa matassa o, forse più modestamente, potrebbe farlo l’incessante fluire delle mode nella grande risacca “cattolico tradizionalista”.

Questione di tempo, che – notoriamente – è galantuomo.


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Immagine: L’armata Brancaleone, Public domain, attraverso Wikimedia Commons: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:BRANCALEONE33.jpg?uselang=it