Volentieri offriamo ai nostri lettori un estratto dal bellissimo Ritorno alle origini. Vol. I – Principii e tracollo del darwinismo, questa volta dedicato a illustrare sinteticamente gli errori del materialismo cieco che si rifà a Epicuro e a Lucrezio, e del naturalismo cartesiano: errori vecchi e già molte volte confutati, non sempre evidenziati quando si studiano per la prima volta questi autori a scuola.
Molti padri della Chiesa, tra cui sant’Ippolito, Dionisio d’Alessandria, san Girolamo, sant’Agostino e Lattanzio, scrissero contro il materialismo. Capivano chiaramente che la filosofia materialista incorporava processi pseudo-evolutivi con lo scopo specifico di negare il Creatore. Nella sua opera De opificio Dei, o La formazione dell’uomo, Lattanzio difende la creazione, riassumendo le speculazioni e i motivi ricorrenti del materialismo di Epicuro e Lucrezio come segue:
«Sono solito stupirmi dell’insensatezza dei filosofi che seguono Epicuro, i quali incolpano le opere della natura del fatto di poter mostrare che il mondo non è predisposto e governato da alcuna provvidenza. Costoro attribuiscono l’origine di tutte le cose a corpi invisibili e solidi, dall’incontro fortuito dei quali dicono che tutte le cose sono e furono prodotte» .
Inoltre:
«Non posso qui esimermi dal mostrare ancora la follia di Epicuro. Giacché tutti i vaniloqui di Lucrezio appartengono a lui che, per poter mostrare che gli animali non sono prodotti da alcun meccanismo concepito dalla mente divina, ma – com’è uso dire, dal caso – disse che al principio del mondo furono prodotti innumerevoli altri animali di forma e grandezza mirabile; ma che essi non furono capaci di permanere, in quanto vennero loro meno o il potere di procurarsi del cibo, o il modo di unirsi e generare. È evidente che, al fine di far posto ai suoi atomi svolazzanti nello sconfinato vuoto dello spazio, egli voleva escludere la provvidenza divina» .
[…]
Nell’opera Le monde – Il mondo Cartesio applicò il razionalismo direttamente alle origini, descrivendo un mondo immaginario che – dopo il primo istante della sua formazione – sarebbe andato soggetto unicamente a processi naturali e, argomentò, sarebbe apparso identico al mondo vero. Spiegò: «Particelle di materia continuano a muoversi senza sosta in accordo con le leggi ordinarie della natura. Giacché Dio ha stabilito tali leggi in sì meravigliosa guisa che quand’anche supponessimo che Egli non crea più nulla oltre a quanto dissi e se anche non impone alcun ordine, le leggi della natura sono sufficienti a far sì che le parti di questo caos si districhino e si dispongano in tale buon ordine da assumere la forma del più perfetto dei mondi»[1].
Cartesio chiarì quindi che il razionalismo implica necessariamente il naturalismo ed esclude il soprannaturale: «La natura da sola è capace di sbrogliare la confusione del caos. Con natura non intendo qui una qualche divinità o un’altra sorta di potere immaginario. Piuttosto, uso il termine a significare la materia stessa. Le regole in virtù delle quali tali cambiamenti hanno corso io le chiamo: le leggi di natura»[2].
Cartesio pose anche la regola seguente: Dio non compirà mai alcun miracolo nel nuovo mondo[3].
Commenta Hugh Owen: «Qui si vede la netta cesura rispetto allo schema creazione-provvidenza. Al suo posto si è costruito un mondo in cui – dopo il primo istante della creazione – i processi naturali rendono conto di tutto. Grazie a Cartesio, la filosofia e le scienze naturali non sono più ancelle ma vengono impiegate per spargere dubbi sui resoconti scritturali delle origini. La scienza naturale finisce per giocare lo stesso ruolo che ha nel materialismo epicureo, benché paludato in un linguaggio più scientifico».
Questa visione meccanicistica del mondo si applicava anche all’uomo, che Cartesio considerava una macchina fatta di terra. Benché ammettesse che l’uomo era creato e che Dio unisce a tale macchina un’anima razionale, riteneva che «l’anima non può produrre alcun movimento nel corpo a meno che tutti gli organi corporei richiesti… siano ben disposti. E quando il corpo ha tutti gli organi disposti a tale movimento, non necessita dell’anima per produrlo»[4].
Nel 1633, Cartesio aveva ormai terminato la stesura del Mondo. Tuttavia, prima che potesse pubblicarlo, la questione Galileo raggiunse il suo climax e Cartesio decise di soprassedere. Si dedicò invece ad un altro progetto, in cui avrebbe applicato gli stessi concetti razionalistici, ma con un linguaggio che pensava sarebbe risultato più accettabile per le autorità ecclesiastiche. Quest’opera divenne il suo famoso Discorso sul metodo, pubblicato nel 1637.
[1] Stephen Gaukroger, Translator and Editor, René Descartes: The World and Other Writings, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, p. 23.
[2] Ivi, p. 24-25.
[3] Ivi, p. 32.
[4] René Descartes, Le Monde, in The Great Books of the Western World series, Vol. 31, Robert Maynard Hutchins, Editor in Chief, Chicago: Encyclopedia Britannica, Inc., 1988, p. 171.
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