Il 15 giugno 1870, a nome della Deputazione della Fede, mons. Bartolomeo D’Avanzo, rispondeva alla tesi del vescovo Henri Maret, gallicano e liberale, che sosteneva essere falsa la dottrina (che è dogma cattolico!) secondo cui “al solo Pietro” fu dato il pieno potere della chiavi.

“Poiché la Chiesa deve essere edificata su Pietro, la pietra fondamentale, ne consegue che la relazione fra Pietro e gli Apostoli corrisponda a quella fra il fondamento e l’edificio. È il fondamento a sostenere l’edificio, non a essere da quello sostenuto; è il fondamento a reggere l’edificio, non a essere retto da questo. In una sola parola l’edificio dipende assolutamente dal fondamento, non viceversa. Pertanto la relazione degli Apostoli con Pietro è per sé stessa relazione di assoluta dipendenza. Certamente Pietro intese di possedere le chiavi per sciogliere per il bene della Chiesa dalla promessa di Cristo, ma essendo impossibile che personalmente e immediatamente esercitasse in tutto il mondo la potestà delle chiavi, comprese, sempre per l’istituzione del Cristo, che dovesse utilizzare di quella potestà per mezzo dei suoi confratelli Apostoli, come portinai del regno dei cieli a sé subordinati. Gli apostoli pertanto sciolgono, ma in virtù di quelle chiavi date a Pietro … Dunque rispondo che gli Apostoli sono fondamento, ma con una distinzione: sono fondamento nella fede e nella predicazione, lo concedo; nego che lo siano quanto al governo della Chiesa”

L’idea rigettata nel Vaticano I sarà ripresa dal Vaticano II in ordine alla falsa e pericolosa dottrina della “collegialità” (madre della “sinodalità”), come fece notare monsignor Dino Staffa nelle sue adnotationes scriptae de Ecclesia (AS III, I, 778-781): “La dottrina che ci è proposta è più facilmente conciliabile con l’opinione di Enrico Maret che con la dottrina del Concilio Vaticano primo”.


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