Dal volume “Lutero e l’Italia. Conferenze del Cardinale Gaetano Alimonda, Arcivescovo di Torino” (Torino, Tipografia Salesiana, 1888) traiamo il brano che segue.
Ora io contemplo l’Addolorata.
Come la purità e la bellezza era quasi il letto, su cui dovea poggiare l’incarnazione del Verbo per indicarci che nulla di brutto e di contaminato vi aveva in tal opera, dalla quale l’azione dell’uomo tornava esclusa; così il dolore riusciva necessario qual mezzo di adempimento al sacrosanto mistero. L’Incarnazione è moderata dalla legge del patimento. Cristo quindi, il Verbo di Dio fatto carne, patisce orrendamente per espiare i peccati dell’uomo, onde si gravò nel cospetto del Padre: quindi la sua vita un olocausto continuo, olocausto penosissimo da Betlemme al Golgota, la cui . consumazione sta su la croce.
Certamente al rimemorare la passione e la morte dell’incarnato Verbo ogni anima bennata s’impietosisce e sente commiserazione al Paziente; ma questo è forse bastevole per efficacemente amar l’Uomo Dio e legare il proprio cuore al cuore di lui? Ciò non basta, o signori. Egli fa mestieri di maggior cosa; ci vuole quell’operoso addoloramento, di che ci sta innanzi a modello la celeste Madre.
Federico Guglielmo Faber scrive: Come la bibbia è una rivelazione parlata o verbale, così Maria è in qualche modo una rivelazione simbolica: Dio si serve di questa Donna per render chiare varie cose, che altrimenti sarebbero rimaste nell’oscurità. E posto tal principio, il Faber soggiunge: Dio vestì di patimenti Maria, come per fare in virtù di lei una rivelazione compiuta del grande mistero del patire: fece in lei risplendere questa feconda dottrina che, trattandosi delle cose divine, il patire è la vera conseguenza dell’amore. Maria non aveva commesso peccato, per cui dovesse soffrire; non era soggetta ai castighi conseguenti al fallo di Eva; non era stata compresa nella legge del peccato … Ella fu puramente immersa in un mare di amore ineffabile. E il Faber continua ancora: I dolori di Maria turano per sempre la bocca ai lamenti; essi con dolce violenza e con irresistibile forza di persuasione impongono silenzio a tutti i tormentati figli del celeste comun Padre. I Santi non possono più dubitare che la grande somiglianza con Gesù Cristo consista nel patire. E noi nella nostra estrema abbiezione, noi, la cui pazienza è un tessuto sì sottile, che era già quasi logoro anche quando era ancor nuovo, noi impariamo da Maria non solo a tacere afflitti, ma anche a soffrire con dolcezza (F. G. FABER, Il Piede della Croce).
Se non che, miei signori, con questo soffrir per amore, con questo soffrire veemente, mentre in sé non ne tiene il bisogno, Maria in sostanza che cosa fa? di che ultimamente ci manda istrutti?
C’insegna che all’anima fa uopo di congiungersi ai dolori dell’Uomo Dio; c’insegna che come Cristo non operò senza dolore la redenzione umana, così a noi della redenzione di Cristo non è possibile di godere, senza sperimentarla dolorosa dal canto nostro. Ammirate rivelazione di sapienza!
Gesù Cristo sul Calvario è l’uomo dei dolori, come lo chiama Isaia; è saturato di affanni e di obbrobri ; ma i dolori suoi, sostenuti per l’umanità peccatrice, è conveniente di bene interpretarli, d’intenderli e trarli alla debita applicazione: ci vuole dunque alcuno che ce gli spieghi, che non lasci passarli a conto nostro infruttiferi; e il maestro da ciò è l’addolorata Madre. Maria, accanto del Crocifisso, è una vera bibbia simbolica.
Io vedo per le strade di Gerusalemme una donna affannata, lacrimosa, a somma desolazione in preda. Le turme del popolaccio sono già trapassate via, inoltrandosi al monte, gridando: Al Calvario, al Calvario; e la persona del condannato è trapassata anch’essa tra quella furia. È trapassata; ma le righe del sangue che egli sparge dalle rotte membra, rimangono. E come no, se ne è intrisa ogni cosa, il fango della via, i calzari della gente, i gradini delle porte e fin le zampe del cavallo del Centurione! La trambasciata Donna è costretta a camminar su quel sangue; il che le val calpestare il suo medesimo cuore. Essa, più che calpestarlo, l’adora. E quando, non potendo più reggere, alza lo sguardo e mira tra le moltitudini in lontananza, scorge alla coda di quelle l’ombra del Sanguinoso.
O Donna, perché ti prendi questo tormento?
Ed essa risponde: Avevo un figlio, era l’Unigenito di Dio, venuto a salvare il genere umano. Gli empi lo abbrancarono, volendo la morte per sé, non la vita. Osservatelo là. Perchè mi prendo questo tormento? Oh che dici! La madre può forse star separata dai dolori del figlio? E tutti dobbiam essere compartecipi dell’altrui martoro nella comunione dei Santi.
È salita sul monte la Donna, si è posta a’ piedi del condannato, che è impeso alla croce. Il sole si oscura, la terra trema, le tombe della montagna si aprono; ed ella sta: il Crocifisso per lungo tratto si rimane muto, ed ella si rimane mutola alla sua volta: ma nella mutolezza del Figlio si operano cose altissime, e cose pur grandi si operano nella taciturnità della Madre. Il Figliuolo finalmente parla, dice che tutto è consumato; e la Madre afferma in sé stessa il testamento del Figlio.
O Donna, che cosa fai?
Ed ella risponde: Gesù Cristo nel suo profondo silenzio ragiona col Padre: io pure, tacendo, ragiono con Dio. Gesù Cristo, il mio Figliuolo, col silenzio e con le parole annunzia la consumazione del sacrifizio; ed io faccio altrettanto seguendo il sacrifizio del mio Gesù, cooperando con le mie pene al riscatto dell’uomo.
O Donna, non basta egli al salvamento dell’uomo il sacrifizio di Cristo? E tu d’altra parte non tieni in te peccato, tu sei innocente: perchè affogarti di tua volontà nel dolore?
Ed ella risponde: Gesù, il mio figliuolo Gesù, non è forse innocentissimo dal suo canto? Eppur vedi quanto patisce! Ma patisce, perchè si è messo a soddisfare a’ tuoi debiti. E sì che basta da sè a recare soddisfazione al Padre: pur fa mestieri che l’uomo concorra ad accettare il tormento della sua passione: ebbene, a supplire al concorso delle creature umane che stanno svagate, indegne e manchevoli, mi pongo io: io mi congiungo al mio Figliuolo a cooperatrice dell’umana salvezza.
Nota biografica sull’Autore: Gaetano Alimonda (Genova, 23 ottobre 1818 – 30 maggio 1891), sacerdote nel 1843, Rettore del Seminario, Prevosto del Capitolo e Parroco della Metropolitana, Prelato Domestico di Sua Santità, nel 1877 fu preconizzato da Pio IX Vescovo di Albenga. Leone XIII, ammirandone quella efficacia e dottrina oratoria che ne fece uno dei più importanti polemisti cattolici del suo tempo, nel 1879 lo creò Cardinale e nel 1883 lo promosse Arcivescovo metropolita di Torino.
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fonte immagine beweb.chiesacattolica.it