Nota di RS: riprende con oggi e con un nuovo nome una rubrica storica e la collaborazione di un grande amico di RS con il nostro blog. Ne sono ovviamente onorato e auguro a quest’appuntamento di crescere e fiorire sulle nostre pagine virtuali. Sono certo che, data l’acribia e la DEDIZIONE del suo curatore, essa manterrà una moderata continuità, malgrado questi tempi bellici e infelici, frantumati e irregolari. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE della Fondazione Pascendi ETS)
di Cardinale Albus
A metà del Duecento l’Europa cristiana era lacerata dal brulicare di sette catare e dall’arroganza di Federico II – palese anticristo –, si temeva per giunta l’arrivo sempre più imminente delle orde mongoliche, così simili a quelle popolazioni conosciute nelle Sacre Scritture con i nomi di Gog e Magog (Apoc 20, 8). La Provvidenza, mai abbandonando i suoi figli nelle tempeste del secolo, mandò a difesa della Cristianità i grandi Ordini di san Francesco e di san Domenico, preconizzati nelle visioni di eremiti e profeti del calibro di Gioacchino da Fiore. Ma c’è di più. Scrutando negli antichi manoscritti e nelle fonti superstiti dell’epoca, fanno capolino tra i sostenitori dell’onore del papato e della Chiesa romana due figure assai singolari: la Sibilla Eritrea e Merlino. Segnatamente, tra i membri di vertice della curia di Gregorio IX (1227-1239), il tetragono pontefice che inflisse due scomuniche a Federico II, iniziarono a circolare arcani scritti, le cui tracce si erano perse nell’oblio dei secoli.
Il primo di questi è il cosiddetto Basilografo, chiamato così perché custodito nel tesoro imperiale di Bisanzio: il testo non è altro che il resoconto di quanto rivelato ai Greci prima della Guerra di Troia da parte della Sibilla Eritrea di Babilonia, già elogiata da Sant’Agostino come profetessa del Cristo (De civitate Dei XVIII, 23). Il testo, diviso in tre libri, narra le vicende relative alla fondazione di Roma in accordo con l’Eneide virgiliana e l’assunzione da parte dei pontefici dell’eredità imperiale (Non in bello gladiove orbem Eneadenque subiciet, sed in hamo Piscantis), la conseguente decadenza e mollezza di Bisanzio (Virescet Danaum mollicies), per poi giungere ai tempi dello scontro con lo Svevo, dove attraverso rimandi numerici e allusioni zoomorfe se ne descrive la sconfitta.
Se la verginità e la purezza della sibilla favorirono la rivelazione soprannaturale circa l’avvento del Cristo e il trionfo della sua Sposa, i doni preternaturali dovuti al concepimento per mezzo di un demone e al successivo battesimo consentirono al bretone Merlino non solo di contribuire ad innalzare ai fasti regi il condottiero cattolico Artù, ma anche di conoscere ogni cosa e di prevedere il futuro, tramandando, in questo caso, laconiche rivelazioni sulle persecuzioni inflitte da Federico II, indicato con l’eloquente epiteto Leo rugiens (I Pt 5, 8), tradizionalmente attribuito a Satana.
L’autorità profetica e di Merlino e della Sibilla godettero di grandissima fama nel Medioevo cristiano: se per il primo è nota la presenza in tantissime opere letterarie latine e volgari, per la seconda basti ricordare il riferimento presente nella sequenza della messa romana per i defunti Dies irae, dies illa / Solvet seculum in favilla / Teste David cum Sibylla, composta peraltro proprio all’inizio del Duecento. Tale fama consentì verosimilmente alla Sibilla Eritrea di essere ritratta da Michelangelo assieme ad altre quattro omologhe e ai sette profeti dell’Antico Testamento nella volta della cappella sistina commissionata da papa Giulio II (1503-1513).
L’interesse per i testi profetici conobbe un’ultima amplificazione durante i tetri decenni del cosiddetto Risorgimento italiano, allorché nel 1854 monsignor Domenico Cerri, clericale intransigente, pubblicò in Torino – sotto anonimato – una vasta raccolta di testi profetici e rivelazioni aventi a che fare con la fine dei tempi e il papato romano. Si trattava di un’impresa editoriale nel pieno spirito apologetico d’inizio Ottocento, che molto suggeva dalla Weltanschauung esposta nel Du pape di Joseph de Maistre, in ogni caso ben lungi dal rigore razionale della Neoscolastica. Di fatto l’opera del Cerri conobbe un successo strepitoso tanto da essere riproposta, ampliata e commentata, in ben cinque edizioni; inoltre, con ogni probabilità, fu letta pure da san Giovanni Bosco, il quale non solo era contiguo all’ambiente torinese dell’intransigentismo cattolico cui faceva parte il Cerri, ma – come noto – fu destinatario di rivelazioni e sogni profetici sul destino dell’Italia e del Papato.
L’affascinante vicenda della Sibilla Eritrea e di Merlino conferma un una volta di più la sublimità e l’eccellenza della Sede apostolica, il cui fondamento divino travalica ogni quadro spazio temporale, come testimoniano le solenni voci profetiche sin dall’antichità più remota.
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