Un amico sacerdote ci ha inviato una preziosa meditazione dei misteri gaudiosi del Rosario che volentieri condividiamo con voi lettori, cogliendo l’occasione per ribadire l’importanza irrinunciabile della devozione mariana per il cattolico. Le Edizioni Radio Spada per facilitare e arricchire questo cammino verso la Madre di Dio, e quindi verso Dio stesso, hanno pubblicato diversi volumi, tra cui l’utilissimo Libro d’Oro di Maria Santissima – Il trattato della vera devozione alla Santa VergineLe Glorie di Maria, una Nota su Maria Corredentrice e le principali devozioni mariane per salvare noi stessi e il nostro prossimo.


I misteri dolorosi. Che il Verbo di Dio stesso si sia incarnato per redimere gli uomini è già meraviglioso, ma che abbia accettato di morire per loro su una croce in una sofferenza indicibile, questo è il grande mistero, mistero della fede, mistero dell’amore. È oggetto di contemplazione durante il tempo della Passione, ma è bene meditarlo durante la recita del rosario.
Infatti, per rendere il dovuto omaggio a Dio, per resistere alle tentazioni, per rimanere fedeli a Nostro Signore in questo tempo doloroso in cui la Chiesa sta attraversando la sua passione, è indispensabile guardare regolarmente con fede, fiducia e amore Nostro Signore, ed è salutare seguirlo passo dopo passo dal Getsemani al Golgota.

Primo mistero doloroso: L’agonia di Nostro Signore

Essendo caduto in agonia, Gesù pregò più profondamente. E il suo sudore divenne come gocce di sangue che scorrevano a terra. 22, 43 – 44). Nella contemplazione del mistero dell’agonia, la cronologia dei Vangeli servirà da filo conduttore.

IL GIARDINO DEL GETSEMANI

Alla vigilia della sua Passione, dopo la fine del discorso dopo l’Ultima Cena, Nostro Signore si recò al Getsemani. Al segnale dato, gli Apostoli si alzarono immediatamente per seguirlo. Essendo il Cenacolo situato a sud di Gerusalemme, vicino ai bastioni, Nostro Signore lascia la città passando vicino alla fontana di Siloe, poi
risale lungo il torrente Cedron. È buio, ma c’è la luna piena di questa Pasqua. San Luca precisa che Nostro Signore andava in questo luogo (Lc 22,39). Così, nel tempo della prova, non cambia le sue abitudini, rimane fedele alle sue preghiere.
“Gesù venne con loro in un giardino chiamato Getsemani” (Mt 26,36). Questo posto è un giardino. È in un “giardino di delizie” (Gen 2,8) che Adamo con la sua disobbedienza ha condannato il genere umano alla morte eterna, è in un giardino, il giardino dell’agonia, che Nostro Signore, il nuovo Adamo, offrendosi volontariamente ai colpi dei suoi nemici per riparare il disordine del peccato, acconsente a redimere gli uomini al prezzo dell’umiliazione, della sofferenza e della morte.
Getsemani significa “frantoio”. L’olio è usato come materiale per molti sacramenti. È usato per il battesimo, la cresima, il sacramento dell’Ordine e l’estrema unzione. Inoltre, ci sono molti ulivi in questo giardino. L’ulivo è il simbolo della pace. Così il luogo stesso dell’agonia indica già i frutti che ne scaturiranno, cioè la nostra salvezza attraverso i sacramenti e la pace ristabilita tra le nostre anime e Dio.
Vedendo il sangue versato da Gesù nel Getsemani, possano i seminaristi ravvivare in loro il desiderio di dare un giorno i sacramenti, e così applicare i meriti della Passione ai fedeli che saranno loro affidati! Possano i sacerdoti, i religiosi e le religiose ravvivare il loro dono totale a Dio e anche i laici diano a Dio il posto che merita nella loro vita!

IL NOSTRO PADRE NOSTRO MISTO AD ANGOSCIA E TRISTEZZA

«Sedetevi qui mentre io vado a pregare» (Mt 26,36). Dopo aver lasciato otto apostoli all’ingresso del Getsemani, Nostro Signore portò con sé gli altri tre, cioè Pietro, Giacomo e Giovanni. Questi tre discepoli furono testimoni della Trasfigurazione di Gesù e della risurrezione della figlia di Giairo. Così, grazie alle grazie eccezionali che hanno ricevuto, sono più capaci di sopportare il triste spettacolo della sua agonia. Ma ben presto, lascia questi stessi apostoli per isolarsi, per meditare.
“Quando arrivò lì, disse loro: ‘Pregate per non soccombere alla tentazione’. Poi si allontanò da loro alla distanza di un tiro di pietra e, inginocchiatosi, pregò» (Lc 22,40-41). Nostro Signore chiede ai suoi Apostoli di non lasciarsi tentare e Lui stesso dà loro l’esempio.
“Fu allora che cominciò ad essere preso dalla paura e dall’angoscia” (Mc 14,33), “cominciò ad essere addolorato e afflitto. Ed egli dice: “L’anima mia è triste fino alla morte”» (Mt 26,37-38). Nostro Signore ha voluto, per guarire gli uomini, prendere su di sé tutte le loro ferite, tutte le loro infermità. Egli ha conosciuto tutte le loro miserie, tranne il peccato. Così lascia che l’angoscia, la paura e la tristezza si impadroniscano del suo cuore, fino a soffrire presto i tormenti di una dolorosa agonia. La sua tristezza deriva dalla paura della morte, dall’umiliazione estrema e dalla terribile sofferenza che sta per sopportare e che conosce nella sua divina prescienza. Procede anche dalle sofferenze degli uomini che vede in anticipo e con i quali simpatizza. Ma scaturisce soprattutto dalla conoscenza di tutti i loro peccati, di cui vede il disordine e la malizia e persino le drammatiche conseguenze della morte eterna. La tristezza di Nostro Signore è tale che sarebbe morto senza un’azione della sua potenza divina. Quando dice che la sua “anima è triste fino alla morte”, questa non è un’esagerazione oratoria, ma pura verità.
«Resta qui e veglia con me» (Mt 26,38). Dopo aver dato agli Apostoli la raccomandazione di pregare, Nostro Signore dà loro la raccomandazione di vegliare con lui. Si sente solo. L’afflitto ha bisogno di qualcuno con lui. Nostro Signore vuole aiuto, vuole essere aiutato dagli uomini. Così, al momento di portare la croce, vorrà essere sostenuto da Simone di Cirene.
«Poi cade a faccia in giù» (Mc 14,35). Non è un segno di adorazione, ma piuttosto un segno di angoscia, di scoraggiamento.
«Padre mio, se è possibile, questo calice si allontani da me» (Mt 26,39). «Padre mio, tutto è possibile per voi, portate via da me questo calice» (Mc 14,36). Nella sua angoscia, Nostro Signore trae forza dalla preghiera. Se fa questa preghiera, è senza dubbio perché vede la quantità di sofferenza che dovrà soffrire, ma è soprattutto perché sa che questo calice, che gli viene dalla mano degli ebrei, sarà per loro un’occasione di rovina. Così questa supplica gli è dettata meno dalla paura della sofferenza, quanto dalla vista del castigo che questa sofferenza deve portare al suo paese. Più in generale, come dice sant’Ilario, questo calice che egli rifiuta, per essere non solo suo ma nostro, è a noi che avrebbe voluto risparmiare queste sofferenze.
Ma avvenga non come voglio io, ma come volete voi” (Mc 14,36; Mt 26,39). Qualunque sia la ripugnanza della sua natura innocente per la sofferenza e la morte, Nostro Signore ricordando, dice Beda il Venerabile, la missione che è venuto a compiere sulla terra, sottomette immediatamente pienamente la sua volontà umana alla sua volontà divina.

L’AGONIA DI GESÙ

«Caduto in agonia, pregò con più forza» (Lc 22,43). La parola agonia, derivata dal greco, significa lotta e, nel linguaggio quotidiano, si riferisce a quel momento doloroso che spesso precede la morte e durante il quale l’uomo lotta per trattenere la vita che gli sfugge. Questo non è ciò che Nostro Signore sente nell’Orto degli Ulivi. Nostro Signore, padrone di vita, non conosce in questo momento la sensazione di vedere la sua anima in procinto di fuggire dal suo corpo. Ha il pieno controllo del momento della sua morte. È morto quando ha voluto, secondo quanto egli stesso ha detto: “Nessuno mi toglie la vita, ma io la do” Gv 10,18).
Né questa agonia, come si può essere portati a credere, è la lotta della sua natura umana contro la sofferenza e la morte che essa non vuole accettare. Come è stato detto, la naturale ripugnanza che Nostro Signore prova di fronte alla sofferenza e alla morte gli fa esprimere il desiderio di vederle risparmiate al suo Corpo Mistico come al suo corpo naturale, ma questo desiderio, completamente soggetto al beneplacito di Dio, non è mai stato una volontà fissa e autonoma.

NOSTRO SIGNORE, IL NUOVO GIACOBBE

Per capire meglio qual è l’agonia di Nostro Signore, è necessario conoscere un episodio dell’Antico Testamento che ne era la figura. Questa è la lotta che Giacobbe sostenne contro un angelo nelle pianure di Betel, da cui uscì vittorioso. Leggiamo nella Genesi (Gen 32) che al suo ritorno dalla Mesopotamia, Giacobbe temeva per sé e per la sua famiglia l’antico odio del fratello Esaù, che avanzava con notevole forza. Dopo aver attraversato il torrente di Jaboc con i suoi undici figli, separò il gruppo in due, poi si isolò per raccomandare i suoi a Dio in fervente preghiera. Ma presto gli apparve un angelo con il quale ingaggiò una misteriosa lotta. L’oggetto di questa lotta non era una benedizione personale, poiché Dio lo aveva già benedetto, ma era una benedizione che riguardava la sua gente. Da questa lotta, uscì ferito, ma comunque vittorioso come dimostra il nome che ricevette in quel momento, cioè quello di Israele, che significa “forte contro Dio”. Ne uscì vittorioso, cioè il buon Dio accettò di benedire la sua discendenza (Gen 32,29).
Questo episodio è una figura nella lotta in cui Nostro Signore è impegnato nel Giardino del Getsemani. Gesù Cristo è il vero Giacobbe che soppianterà Esaù, cioè il diavolo, che egli esproprierà del suo diritto di primogenitura nel suo dominio sulla razza umana. Inseguito dal demonio e dai suoi scagnozzi, cioè di fronte alle persecuzioni del Sinedrio, ha appena attraversato il torrente del Kidron con i suoi figli, cioè i suoi Apostoli, ridotti a undici a causa della defezione di Giuda. Li separò in due gruppi, lasciandone otto all’ingresso del giardino e entrando con gli altri tre. Si è isolato da loro per pregare, per raccomandare a Dio la sua cara famiglia, cioè la Chiesa e tutti i suoi membri. Ed ora inizia una lotta, dalla quale uscirà sia ferito che vittorioso, vittorioso dalle sue ferite redimendo il mondo con la sua sofferenza e morte.
Come definire questa lotta? È un tipo di lotta che tocca la parte più intima di Nostro Signore, come l’agonia per noi consiste in questa lotta tra anima e corpo. Per Nostro Signore, è una lotta tra la giustizia divina, che esige riparazione, e se stesso, che implora misericordia per noi. Nostro Signore, portando su di Sé il peso dei nostri peccati, chiede per noi la misericordia di cui avevamo bisogno per riconquistare l’amicizia di Dio. La lotta è così terribile che Nostro Signore viene a sudare sangue. «Il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra» (Lc 22,44). L’agonia è dunque un vero e proprio olocausto, poiché, se la sofferenza di Nostro Signore è soprattutto interiore, si riflette sul suo corpo al punto che è sfuggito come gocce di sangue. Finalmente, dopo una terribile lotta, Nostro Signore viene ascoltato. Lo dimostra in particolare l’eroico coraggio dimostrato fin dal momento del suo arresto. Egli stesso va dai suoi carnefici dopo aver detto ai suoi Apostoli: “Alzatevi, andate; ecco, chi mi tradisce è vicino» (Mt 26,46). E manterrà quella stessa forza eroica in mezzo alle peggiori sofferenze fino al suo ultimo respiro. La sua potenza si manifesterà soprattutto nella risurrezione, che è la manifestazione più eclatante del suo trionfo sulle potenze del male e della morte. Ma anche dopo la Resurrezione, Nostro Signore ha voluto tenere con sé le stimmate della sua Passione. Così, come Giacobbe ricevette nella lotta contro l’angelo una ferita di cui tenne sempre traccia, così Nostro Signore comprò la sua vittoria solo al prezzo di un sudore di sangue e di ferite la cui stessa risurrezione non fece sparire.

“VEGLIATE E PREGATE”

Attraverso le sue sofferenze, Nostro Signore ha santificato le nostre sofferenze. Inoltre, se ha chiesto al Padre di togliere il calice, è per mostrarci che ci è permesso pregare Dio di togliere la croce che ci sembra troppo pesante. Ma cerchiamo di aggiungere le ultime parole di questa preghiera: «Non come voglio io, ma come volete voi» (Mc 14,36). Dio sa meglio di noi ciò che ci conviene. Per quanto pesanti siano le nostre croci, sappiamo che non sono sproporzionate rispetto alla nostra forza. Ma, per portarli generosamente, dobbiamo, come Nostro Signore, trarre grazie dalla preghiera. Ripetendo tre volte la stessa preghiera, ci insegna con quale perseverante fiducia dobbiamo pregare e come non dobbiamo stancarci di usare spesso le stesse formule.
La vigilanza e la preghiera sono i due grandi rimedi che Nostro Signore ci ha dato nell’Orto degli Ulivi per vincere il peccato e meritare la grazia della fedeltà. Convinciamocene in un momento in cui la Chiesa stessa attraversa la sua dolorosa passione. In questo modo consoleremo Nostro Signore e coopereremo al rinnovamento della Chiesa.


Secondo mistero doloroso: La Fustigazione

Allora Pilato comandò di prendere Gesù e flagellarlo. (Gv 19, l)

DI CAPITOLAZIONE IN CAPITOLAZIONE

Le circostanze storiche della fustigazione sono molto istruttive. Pilato riconosce tre volte l’innocenza di Nostro Signore. Ma è debole; E’ un politico nel senso peggiorativo del termine. Vorrebbe liberare Gesù, e allo stesso tempo vuole soddisfare le autorità ebraiche. Per raggiungere i suoi obiettivi, gioca diverse carte.
In un primo momento, volendo sbarazzarsi del processo, cerca di abbandonare il procedimento a Erode, ma il suo tentativo fallisce. Erode, vedendo l’innocenza di Gesù, glielo rimanda.
L’idea di un nuovo espediente germoglia quindi nella sua mente. Quell’anno, nelle carceri della città, c’era un criminale condannato per essere un ladro, un sedizioso e un assassino allo stesso tempo. Il nome di quest’uomo è Barabba, che in ebraico significa “figlio del padre”.
Figlio del Padre, non è questo il nome stesso di Gesù? È vero. Ma è anche il nostro nome perché siamo “figli del padre” che fu Adamo, colui che ci condusse in questa terra di esilio. Barabba rappresenta quindi la razza umana. Pilato decide di mettere in parallelo Gesù e Barabba, e di proporre alla folla la liberazione di uno dei due, convinto che ciò richiederà la liberazione di Nostro Signore. Un altro fallimento! Barabba è libero. Tuttavia, il piano di Dio si sta realizzando. Se l’innocente fosse stato lasciato libero, il peccatore sarebbe rimasto in catene. Crocifiggendo il Figlio del Padre che è Dio, il figlio del Padre che è uomo potrà essere perdonato e salvato. Così, per un miracolo della saggezza divina, l’odio serve l’amore, l’inferno adempie i propositi di Dio.
Intanto cresce il tormento di Pilato. Egli riconosce chiaramente l’innocenza di Gesù. Tuttavia, preso nella spirale delle concessioni con le autorità ebraiche, trovò un’ultima via di fuga per evitare che Nostro Signore fosse condannato a morte. Decide di farlo frutigare in modo che gli ebrei, vedendolo macchiato di sangue, abbiano pietà di lui e finalmente lo lascino andare in pace.

UN TORMENTO SPAVENTOSO

Tutti gli evangelisti sono discreti su questo episodio. Si accontentano di una piccola nota. Non descrivono la scena. Nel momento in cui scrivono il loro vangelo, tutti conoscono questa forma di punizione. D’altra parte, evocano la derisione.
La fustigazione è una punizione ufficiale. Era data a una persona rea confessa, come punizione o come preparazione alla crocifissione. Secondo gli scrittori latini, questa tortura era così atroce che era riservata agli schiavi e a coloro che non godevano della cittadinanza romana; Alcuni morivano a causa di essa. Secondo la legge ebraica, non si dovrebbero superare i quaranta colpi (Deuteronomio 25:3). I farisei, per essere sicuri di non superare i quaranta, si limitavano a trentanove (2 Cor 11,24). Tra i romani, era il magistrato che fissava il numero.
Nostro Signore riceve la flagellazione dai Romani. Si svolge in pubblico, nella piazza di cui il palazzo del governatore forma uno dei lati. Nostro Signore vi è condotto mite, sereno, modesto, muto, nella disposizione descritta dal Salmista: «Sono pronto a ricevere la frusta» (Sal 37,18). Viene spogliato dei suoi vestiti e legato per i polsi a una colonna, uno o due anelli, in modo che non possa muoversi. Ha un dorso curvo che presenta quindi una superficie adatta a ricevere colpi. Lo strumento di tortura è il flagrum. Si tratta di un piccolo manico con due o tre lunghi cinturini in pelle armati alla loro estremità con sfere di piombo. I carnefici, gente del piano più basso e come la feccia dell’esercito, non ci vanno con la mano leggera, eccitati come sono dagli ebrei. Colpiscono sulla schiena e lungo tutto il corpo. Nostro Signore, durante il tormento, rabbrividì sotto i colpi. La sua carne vola a brandelli, il suo sangue scorre. Non dice una parola, non fa nemmeno sentire un rimprovero, ma i suoi sospiri e gemiti non cessano un attimo, come il belare delle pecore che vengono macellate. Sulla Sindone di Torino, i segni mostrano che Nostro Signore non aveva più la pelle. Vale a dire la crudeltà del tormento sopportato.
Il profeta aveva annunciato in un salmo quanto sarebbe stato torturato Nostro Signore: “I peccatori mi hanno colpito sulla schiena come il fabbro sull’incudine; tutti l’hanno arato come l’aratore che apre e stende il suo solco» (Sal 128,3). Così Gesù fu colpito come frustando una bestia. Egli ha espiato le colpe dell’impurità con cui l’uomo si devasta a livello animale e talvolta anche al di sotto, cioè di un essere senza ragione, di un essere schiavo delle sue passioni.
La Chiesa, che conosce la debolezza umana, presenta alla meditazione dei fedeli tutto ciò che Nostro Signore ha sofferto durante la sua Passione e canta il Venerdì Santo gli improperi, lamentando che Nostro Signore si rivolge agli uomini per farli pensare: “Popolo mio, che cosa ti ho fatto e in che cosa ti ho rattristato perché tu mi fustigassi?”
La contemplazione della flagellazione di Gesù è certamente uno dei modi più efficaci per bandire dal nostro cuore ogni forma di impurità e promuovere la pratica della bella virtù. Nello stesso tempo in cui espiò tutti i peccati di cupidigia, desideri malvagi e atti di impurità, Nostro Signore meritava agli uomini la grazia di praticare la castità.

GESÙ VINCE IL MALE

Nel simpatizzare con il dolore lancinante provato dal divino Maestro in questa crudele punizione, è utile anche considerarne i frutti. Un episodio dell’Antico Testamento rivela i meravigliosi frutti della fustigazione. Mentre gli Ebrei si lamentavano della sete, Mosè al comando di Dio colpì il suo bastone due volte su una roccia. E da questo blocco di pietra sgorgava acqua che dissetava tutto il popolo (Es 17,6). Ma san Paolo racconta questo episodio affermando che «la roccia era Cristo» (1 Cor 10,4).
Quindi questa caratteristica storica ha un significato simbolico. La pietra colpita con bastoni raffigurava Nostro Signore picchiato nella fustigazione. L’acqua che sgorgava dalla roccia simboleggiava la grazia che impartisce ai peccatori pentiti.
In questa luce, è possibile scoprire l’anima di Gesù durante la flagellazione. Mentre veniva torturato fisicamente, dentro di sé teneva gli occhi della sua anima rivolti a suo Padre. Il suo sguardo chiaro, gentile, tenero, filiale, ardente ha portato a Dio un culto, un amore insospettato e una piena adesione alla sua volontà. Con il suo tormento liberamente acconsentito, con il suo amore per Dio e per le anime, Nostro Signore ha abbondantemente compensato tutte le forme di empietà e di odio che costituiscono il peccato del genere umano. Questo è molto consolante. Non c’è peccato che Nostro Signore non abbia espiato durante la Sua Passione. Non c’è colpa che Nostro Signore non possa perdonare. Alla fine della sua agonia, quando il Signore ha appena visto tutti i nostri peccati svolgersi, uno per uno, va dai suoi Apostoli e dice loro: «Lo spirito è ardente, ma la carne è debole» (Mt 26,41). La carne è debole. Questa è un’osservazione dolorosa che ci invita ad essere vigili. In caso di caduta, ricorriamo alla preghiera e al sacramento della penitenza, e sappiamo sostenere l’azione della grazia con i nostri sforzi.

LA MADRE DEL TORTURATO

Molto probabilmente, la Beata Vergine ha assistito alla fustigazione, poiché la tortura ha avuto luogo in pubblico. Possiamo pensare a lei senza bisogno di tacere più che di parlare? Che abisso di preghiera, quello da cui la Madonna guarda suo Figlio flagellato! Lo vedeva con gli occhi del corpo, ma sapeva andare oltre questo spettacolo ignobile per arrivare all’interno del mistero. Senza risparmiarsi nulla di ciò che era umano, si fermò al divino del mistero. “Sentiva tutto ciò che suo Figlio soffriva, ed era veramente flagellata nella sua anima; ma la sua compassione per Gesù superava di gran lunga la sua passione personale, e la sua religione verso di lui superava di gran lunga la sua compassione per lui. Non c’è angelo in Cielo capace di misurare la profondità della sua adorazione per questo Figlio del suo cuore che ci salva con tali mezzi e la redime per primo. Lo Spirito Santo ha sollevato e ampliato tutti i suoi poteri per questo. »

UN GESTO ENIGMATICO


Due immagini riassumono le apparizioni di Lourdes. La prima fu Bernadette che si coprì il viso di fango il 25 febbraio 1858; la seconda è la bella Signora che rivela il suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”.
Con il suo gesto insolito, Santa Bernadette racconta a modo suo la Passione di Nostro Signore e annuncia come lei stessa dovrà prendervi parte. La Beata Vergine gli disse durante l’apparizione del 18 febbraio: “Non ti prometto di essere felice in questo mondo, ma nell’altro”. Santa Bernadette sfigurata dal fango è un’immagine vivente di Nostro Signore sfigurato nella sua Passione. In questo modo essa mostra che dovrà partecipare alle sofferenze di Nostro Signore portando su di sé, dopo di Lui, il peso dei peccati degli uomini.
Quanto alla Madonna, si chiama Immacolata Concezione. Vergine nel corpo e nel cuore, vergine nell’intelligenza, vergine in tutta l’anima, Maria è veramente l’Immacolata, è l’ideale della purezza, della purezza incarnata, realizzata e come tale è il rimedio al fango del peccato. È la protettrice, la custode delle virtù e soprattutto della purezza. Il 27 luglio 1930 il cardinale Verdier disse ai pellegrini di Lourdes: “Alle passioni umane che tutte le generazioni hanno conosciuto, il mondo di oggi aggiunge la provocazione. Letteratura, stampa, cinema, danza, teatro, moda, tutte queste parole evocano tanti ricordi impuri e tanti inviti al male. Sembra che un’immensa corrente di impurità stia passando sopra il mondo moderno aggravata da nuove invenzioni. Ah! Questa corrente non porta con sé la felicità […] Comprendete ora tutta la bellezza e la beneficenza celeste del gesto della Beata Vergine, quando qui innalzò lo stendardo della purezza […] Perché queste belle parole: “Io sono l’Immacolata Concezione”, possono essere tradotte: Io sono la purezza. »

VIZIO IMPURO

Uno dei maggiori ostacoli all’equilibrio umano, alla fondazione di belle famiglie cattoliche e allo sbocciare delle vocazioni è il vizio dell’impurità. Più il mondo si deteriora, più il mondo vive nel peccato, più è necessario proteggersi. Le difficoltà che gli adolescenti hanno sempre sperimentato nel campo della purezza sono ora decuplicate dai nuovi strumenti digitali. La dipendenza da internet, dal cellulare, la vista di film contenenti passaggi contrari alla bella virtù producono, ahimè! disastri e purtroppo giovani provenienti da famiglie profondamente cattoliche sono in parte colpiti. È quindi un dovere primario per i genitori prevenire le cadute adottando misure appropriate. Che non mettano gli strumenti della perversione nelle mani dei loro figli e sappiano controllare inaspettatamente e frequentemente la cronologia e le ore di accensione del computer e dello smartphone.

GUERRA SPIRITUALE


L’impudicizia, quella degli abiti, degli atteggiamenti, degli sguardi, delle parole, dell’incitamento al male, della connivenza con il peccato, delle trappole tese alla debolezza, della complicità con il demonio causano tanto disordine! La sensualità che si insinua nell’anima in mille modi diversi stacca l’uomo da Dio. Quanto alla mollezza, diminuisce lo zelo, pone fine agli impulsi generosi, rende le braccia incapaci di portare un’arma e usarla nell’ora della battaglia, rovina i personaggi e prepara le cadute più disastrose.
Per evitare di commettere atti malvagi, dobbiamo evitare a tutti i costi i cattivi desideri. Ma i desideri provengono dai pensieri, e i pensieri provengono dall’immaginazione e dai sensi, compresi la vista e l’udito. È quindi specialmente in questi ultimi ambiti che la guerra spirituale deve essere esercitata se vogliamo rimanere padroni di noi stessi e avere una vita gradita a Dio.

BEATI I PURI DI CUORE

Il riconoscimento della nostra debolezza non deve, tuttavia, portare a chiuderci in noi stessi. Deve essere unito con la fiducia in Dio. Nel regno della purezza, come in tutta la vita spirituale, il problema non dovrebbe essere risolto dal basso, ma dall’alto. “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33). Dobbiamo dare a Dio il primo posto nella nostra vita e adempiere bene al nostro dovere di stato. Lasciamoci attrarre da Nostro Signore che ci dice: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Più amiamo Nostro Signore, più avremo una coscienza delicata che ci permetterà di discernere ciò che Gli piace e ciò che Gli dispiace.
Andiamo a Gesù attraverso Maria, restiamo risolutamente attorno allo stendardo dell’Immacolata. La Madonna ci accolga sotto il suo manto verginale. Possano le nostre parole, le nostre opere, le nostre vite, ora penetrate ed elevate dalla purezza, essere degne di nostra Madre.

Terzo mistero doloroso: L’incoronazione di spine


I soldati, dopo aver intrecciato una corona di spine, la misero sul capo [di Gesù] e lo rivestirono di un mantello di porpora. Allora andarono da lui e dissero: Salve, re dei Giudei; (Gv 19,2-3)

ECCE HOMO

Dopo l’orribile tormento della fustigazione, i soldati romani, volendo deridere la regalità di Nostro Signore, gli tessono una corona o, meglio, un elmo di spine che gli conficcano selvaggiamente nel cranio. Gesù appare poi davanti alla folla, il capo coronato di spine, vestito di una clamide rossa, una canna in mano come uno scettro. E Pilato grida: Ecce Homo, «ecco l’uomo» (Gv 19,5).
Così è la profezia di Isaia: “Chi è colui che viene dall’Idumea [dal paese dei peccatori], le cui vesti sono tinte come si tinge a Bosra? – Io sono la bocca della giustizia e il grande combattente della salvezza. Ma perché la tua veste è rossa come i vestiti di chi calpesta l’uva nella pressa? Ho camminato sulla stampa e l’ho camminato da solo. Il sangue dei miei nemici è sgorgato sul mio vestito e da lì viene che è tutto sporco. Il giorno della vendetta divina è sorto nel mio cuore e questo è l’anno in cui devo compiere l’opera della mia redenzione» (Is 63,1-4).
Questa descrizione del profeta suggerisce che l’incoronazione di spine non solo causò a Nostro Signore dolori intollerabili e terribili infiammazioni, ma fece sgorgare sangue sulla Sua veste.
La Passione di Gesù è un vero olocausto. Pertanto, l’intera vittima deve essere immolata. Non c’è una parte del suo corpo che non conosca la sofferenza, da qui la profezia di Isaia: «Dalla pianta dei piedi fino alla sommità del capo non c’è nulla di sano in lui» (Is 1,6). Ecco perché, dopo che il corpo è stato martoriato, la testa di Nostro Signore deve ancora avere il suo tormento.

PECCATI ESPIATI DURANTE L’INCORONAZIONE DI SPINE


Un sacrificio per il peccato deve corrispondere al peccato per cui ha espiato. Soffrendo nella sua testa, Gesù ripara sia i peccati della testa che i peccati delle teste, cioè dei capi.
Di quanti peccati non è strumento il nostro capo ? La testa è la sede di tutti i nostri sensi, il luogo in cui si formano i nostri pensieri. Così, coronando le spine, Nostro Signore espia i peccati commessi dai sensi, ma soprattutto i peccati di orgoglio. Egli ripara tutti gli errori commessi per amor proprio, amore auto-deregolato.
Alcuni uomini sono il capo delle loro famiglie, delle loro imprese, della loro nazione, della loro comunità, altri hanno responsabilità di dirigenza nella Chiesa. Ma quanti di loro sono ancora fedeli alla loro missione?… Tutti questi esempi scandalosi, questi insegnamenti pieni di menzogne, questi istigamenti corruttori, questi abusi di potere, queste leggi immorali contro natura, empi, sacrileghi, queste persecuzioni nascoste o violente, questa guerra fatta a coloro che vogliono essere fedeli alla fede di tutti i tempi e a coloro che vogliono preservare la purezza del loro battesimo … Tutti questi peccati si sciolgono come un mare in tempesta sulla testa di Nostro Signore, e l’incoronazione di spine è solo la forma esteriore di questa aggressione invisibile. Questi peccati si accumulano sul capo regale e sacerdotale di Nostro Signore, questo capo che è il tempio dello Spirito Santo e che Dio Padre contempla con compiacimento. Questo capo, sede della sapienza eterna, della verità e della scienza, porta con il peso dei peccati degli uomini quello delle maledizioni che essi attirano. Infatti le spine sono il segno della maledizione divina secondo la parola di Dio stesso ad Adamo dopo il suo peccato: “La terra sarà maledetta a causa di ciò che hai fatto; Ed è a forza di lavoro che otterrai abbastanza per nutrirti per tutta la vita. Produrrà per voi spine e rovi» (Gen 3,17-18).

L’ATTITUDINE DI NOSTRO SIGNORE


Lungi dall’odiare i suoi carnefici, Nostro Signore si annienta davanti al volto di Dio e chiede perdono per tutti gli uomini. Distrugge l’orgoglio umano con la sua umiltà, la sua penitenza, la sua pazienza. Con questa tortura infame e dolorosa, Egli realizza la salvezza degli uomini. Dio era apparso a Mosè nell’Antico Testamento in mezzo a un roveto ardente e aveva detto: «Io sono colui che sono: va’ e libera il mio popolo» (Es 3,2-22). In questo tormento dell’incoronazione di spine, un vero e proprio roveto ardente, poiché Nostro Signore ha il capo in fiamme, Dio è ancora presente e ci salva. Nostro Signore trae il bene dal male. Così, nel piano di Dio, le spine che all’inizio erano una punizione sono oggi un mezzo per acquisire la corona promessa al vincitore. Per essere incoronati in Cielo, per ricevere la palma della vittoria, bisogna prima accettare le spine della vita.
Per dominare il nostro orgoglio ferito, dovremmo ricordare questa coronazione di spine, ricordare con quale fortezza Nostro Signore ha accettato senza lamentarsi questo crudele tormento. Attraverso la sua sofferenza, Nostro Signore ci ha guadagnato la grazia di superare tutto ciò che ci sminuisce ai nostri occhi, tutto ciò che ci sminuisce, tutto ciò che ci umilia. Perciò, simpatizzando per le sofferenze patite dal divino Maestro a causa delle spine conficcate nel suo capo, chiediamogli di condividere la sua umiltà.

NOSTRO SIGNORE RE


In questo mistero, senza rendersene conto, i carnefici contribuiscono a manifestare la regalità di Nostro Signore. Gesù l’aveva già manifestata la Domenica delle Palme. Lo dichiarò anche a Pilato: «Tu dici la verità, io sono re» (Gv 18,37). Ora anche i soldati lo stanno significando. Proprio ora sarà il governatore romano a proclamarlo forte e chiaro: «Ecco il tuo re» (Gv 19,24). E di fronte alla resistenza della folla, aggiunse: “Crocifiggerò il tuo re?” Il 19, 15). Poi inciderà sulla lapide il testo della sentenza e il delitto che l’ha causata: “Gesù, Nazareno, re dei Giudei” Alle 19,19). Lo scrisse tre volte: in ebraico, greco e latino.
Nostro Signore è re per la sua natura divina e per la sua unione ipostatica, cioè in virtù dell’unione in lui delle due nature umana e divina. Ma, ciò che è per natura, ha voluto vincere con le sue sofferenze, con la sua dolorosa Passione, da qui l’acclamazione del libro dell’Apocalisse: «È degno, l’Agnello immolato, di ricevere potenza, divinità, sapienza, forza, onore, gloria e benedizione» (Ap 5,12). È quest’ultima forma di regalità che viene solennemente dichiarata durante la Passione.
Nostro Signore è veramente re e, in definitiva, è l’unico vero Re. I re della terra hanno solo la dignità di prendere in prestito. La loro autorità è delegata da Dio. Gesù disse a Pilato: «Non avresti potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto» (Gv 19,11). Nostro Signore, d’altra parte, ha un’autorità reale. La sua dignità, non l’ha ricevuta. Lo possiede in se stesso. E vuole esercitare questo potere non solo sugli individui, ma anche sulle famiglie e sulle società.
Ma se Gesù è veramente Re come uomo, in quanto ci ha guadagnato la grazia di passare dal regno delle tenebre al suo regno, la sua regalità ha caratteristiche proprie che lo distinguono dalle altre regalità umane. Ci sono re che hanno acquisito questo titolo dal loro genio, scrittori, poeti per esempio; Ci sono re per nascita e altri che lo sono diventati con la loro conquista. A questi re furono offerte corone d’alloro o d’oro, ma Nostro Signore non le voleva. Preferiva la corona di spine come marchio, come emblema della sua regalità. La grandezza della regalità di Nostro Signore non consiste nello sfarzo esteriore. Consiste nell’essere, più che nell’avere. Nostro Signore porta in sé la sua dignità, la sua grandezza, la sua maestà. Non ha bisogno di abiti da parata, palazzi, ricchezze, esercito per manifestarlo. Il suo “regno non è di questo mondo” (Gv 18,36).
“La Sua corona interiore è Dio [Il Suo trono è la Sua filiazione eterna; […] la sua porpora è la luce che irradia da tutto il suo corpo; il suo scettro è il suo sguardo; Il suo consiglio è la sua testa; il suo esercito è il suo braccio; La sua fortuna, quella che possiede, offre, promette e condivide, è di nuovo lui, solo lui, ma tutto lui. »
Per condurci ad acquisire questo tesoro, a ricevere la nostra sottomissione e il nostro omaggio, inizia immergendosi in un mistero che è una follia per la ragione e uno scandalo per i sensi. Si avvolge in una debolezza che gli dà l’apparenza di impotente o vinto. Si lascia insultare, farsi beffeggiare, mostrandosi a noi coronato di spine.
Eppure, questo re disprezzato, odiato e sanguinario regnerà come nessun dittatore ha governato la terra. Egli regnerà non solo sugli uomini, ma sulle loro intelligenze, sulle loro volontà, sulle loro anime, sui loro cuori. Guardiamo al numero delle anime che, per venti secoli, hanno lasciato tutto per seguirlo, anime di ogni provenienza, di tutte le condizioni…

PARTECIPAZIONE ALLA REGALITÀ DI NOSTRO SIGNORE

Tutti coloro che accettano di sottomettersi a Nostro Signore lasciano la schiavitù del peccato e acquisiscono la vera libertà dei figli di Dio.
Non c’è libertà assoluta sulla terra. O l’uomo si lascia guidare dalle sue passioni sregolate, dagli slogan del mondo, dalle ispirazioni del diavolo, e ne diventa schiavo, oppure si sottomette a Dio. Tuttavia, in entrambi i casi, è necessariamente un essere dipendente. Gli rimane solo la scelta della parte. Non appena sceglie Dio, acquista la vera libertà. Sapendo di essere figlio di Dio, che certezza essere accolto, ascoltato, risposto! Che fiducia, che semplicità nel rapporto con Dio! Più l’uomo si avvicina a Nostro Signore, più cresce la sua libertà, e la garanzia di questo progresso è che obbedisce meglio.
Senza cessare di essere l’unico Re, Nostro Signore innalza a sé coloro che lo servono ed estende loro il suo potere, li incorona re.
Avendo la stessa origine e natura della regalità di Nostro Signore, la regalità dei figli di Dio ha le stesse caratteristiche. Anche lei non è di questo mondo. Come quella di Nostro Signore, genera spesso disprezzo, derisione, persino povertà e sofferenza da parte del mondo.
La partecipazione alla regalità di Nostro Signore presuppone prima di tutto di regnare su se stessi, di avere sempre padronanza di sé. Si tratta di regolare i tuoi pensieri, desideri, sentimenti, istinti, bisogni. Così viviamo l’assioma popolare di san Leone: “Servire Dio è regnare”. Diventando padrone di se stesso, l’uomo può allora guidare gli altri e aiutarli ad acquisire la stessa grandezza, la stessa dignità, la stessa nobiltà. Così, lasciandosi incoronare di spine, Gesù non solo ha espiato i nostri peccati, ma non solo ci ha guadagnato lo status di figli di Dio, ma ci ha anche guadagnato il titolo di re, secondo quanto è scritto nell’Apocalisse: “Voi che, immolandosi, ci avete redenti con il vostro sangue, ci avete fatti re, e noi regneremo sulla terra” (Ap 1,6).

LE GRAZIE DA CHIEDERE

Venga il regno di Nostro Signore, perché sia da qui sulla terra un re conosciuto, acclamato, amato fino all’adorazione e servito per amore, e che dia a tutti i fedeli un cuore di re, retto e generoso, grande e largo, mite e forte, valoroso in battaglia, umile nella vittoria. Possiamo, meditando su questo mistero, attingere grazie a tutti coloro che hanno autorità qui sulla terra, specialmente capi di Stato, padri e sacerdoti. Per restaurare il cristianesimo e restituire il vero splendore della Chiesa, il ruolo dei capi di Stato, dei padri e dei sacerdoti è essenziale.
La Madonna, Regina del Clero, assista i seminaristi durante la loro ascesa all’altare. Possa la prospettiva di predicare un giorno la regalità sociale di Nostro Signore ed estendere questa regalità attraverso il Santo Sacrificio della Messa aiutarli a superare le loro prove durante la loro formazione.
I sacerdoti, ad imitazione di Nostro Signore, guidino le anime con gli stessi sentimenti di Nostro Signore affinché, guidati da essi, avanzino, al ritmo della Provvidenza, al passo del Cielo.

Quarto mistero doloroso: Il trasporto della croce

Essi presero Gesù e, dopo averlo disprezzato, gli tolsero la porpora e lo coprirono con le sue vesti, e lo portarono via per crocifiggerlo. (Mc 15,20)

L’UOMO DEL DOLORE


La croce è lì, pronta, e sembra, dalla Sindone di Torino, che sia posta sulla spalla sinistra. Pesa quasi cinquanta chili. Per quale miracolo Gesù può rimanere in piedi, stremato dalla notte dell’agonia? È un miracolo di energia, un miracolo d’amore!
Quando Nostro Signore è accusato della sua croce, ha già sopportato la tristezza mortale dell’agonia, il tradimento di uno dei suoi discepoli, l’abbandono di altri. Ha subito schiaffi, sputi, fustigazione e l’incoronazione di spine. Molto indebolito, acconsente tuttavia a portarla, la sua croce pesante, per impegnare gli uomini a seguirlo su questa strada che è così ripugnante per la loro natura decaduta.
Egli è veramente «l’uomo dei dolori» (Is 53,3), come lo chiamano i profeti. In mezzo a tutte le sue sofferenze, fisiche e morali, rimane in silenzio. Non è un silenzio altezzoso, orgoglioso, sprezzante. È il silenzio di un’anima raccolta, un’anima che possiede se stessa perfettamente e si sottomette umilmente alla volontà di Dio.
Inoltre, Nostro Signore durante la sua Passione rappresenta l’uomo peccatore. Ma il peccatore non ha nulla da rispondere davanti a Dio. Questo è un altro motivo per cui rimane in silenzio.
Il percorso del Calvario è formato da vicoli invasi dai passanti. La processione dei condannati deve aprire un passaggio nella folla indaffarata, indifferente o ostile. Anche il mondo di oggi sembra insensibile o ostile ai problemi causati nella storia dal passaggio di Dio in questo mondo.
Inizia la camminata, a piedi nudi per le strade con terreno accidentato e cosparso di ciottoli… Ci sono solo seicento metri da percorrere, ma il terreno è molto accidentato, anche all’interno dei bastioni. Gesù, dolorosamente, mette un piede davanti all’altro… Gli gira la testa, crolla sulle ginocchia… I soldati lo stanno brutalizzando? Probabilmente, non vedono l’ora di finirla… Povero Gesù!
Sfinito dal tormento, Nostro Signore cadrà all’inizio, a metà e alla fine del viaggio. Colui che non cadde mai nel peccato soccombette sotto il peso dei nostri peccati, più doloroso per il suo cuore di quanto fosse doloroso per lui la croce. Le sue cadute fisiche pagano per i nostri fallimenti morali. “Veramente sopportava il nostro languore e si prendeva cura dei nostri dolori. [. . . ] Egli è stato ferito per le nostre iniquità, è stato spezzato per i nostri crimini; La punizione che ci dà la pace è caduta su di lui, e siamo stati guariti dai suoi lividi. (Is 53:4-5) Non teme tanto i difetti della debolezza, quanto la tiepidezza. Il giusto, infatti, quando cade riconosce la sua miseria, e la sua umiliazione lo rende più vigile e grato a Dio.
Con quale coraggio Gesù si alza e riprende il suo cammino! Questa è la volontà del Padre. Che esempio per noi!

L’INCONTRO CON LA BEATA VERGINE

Il Vangelo è discreto sulla Beata Vergine. La nostra pietà deve comprendere la sua riservatezza, interpretare i suoi silenzi e talvolta intuirne la presenza.
La Madonna è svanita durante la vita pubblica di Nostro Signore. Appare a malapena dopo il miracolo di Cana, compiuto su sua richiesta. Non è menzionata nell’udienza di Gesù o tra le sante donne che lo assistono. Ma nell’ora dolorosa, quando suo Figlio, imprigionato dai suoi nemici, è appena stato condannato a morte, esce dall’oscurità e affronta l’umiliazione e l’oltraggio.
Mia madre… Mio figlio… Le parole probabilmente non sono state pronunciate… Possono essere letti sulle labbra e negli occhi. Finalmente Gesù incontra uno sguardo di pietà! Egli trova in essa sia una dolce consolazione che un nuovo dolore, perché intuisce ciò che soffre il tenero cuore di sua Madre…
Come l’eroica madre dei Maccabei, la Madonna incoraggia il Signore a subire una morte crudele in filiale omaggio a Dio (2 Mc 7,2223 e 27-29). Lo incoraggia ad offrire a Dio Padre questo sacrificio i cui frutti gli sono stati applicati in anticipo, permettendogli di essere immacolato fin dal suo concepimento.

SIMONE DI CIRENE E SANTA VERONICA
Sempre questa trave sulla spalla, che la ferisce con la sua ruvidità e che sembra volerlo penetrare con la forza… Povera spalla, è coperta di ferite che si riaprono, si approfondiscono e si allargano ad ogni passo.
Nonostante tutto il suo coraggio, il condannato riuscirà ad arrivare sul luogo dell’esecuzione? I soldati si chiedono. Fortunatamente, arriva un uomo di ritorno dai campi, Simone di Cirene. Il suo lavoro quotidiano era la sua croce, ma non lo sapeva. Non sapeva a quali altezze di sofferenza e di gloria lo portassero ad accettare generosamente la fatica e il lavoro. Camminava verso Nostro Signore senza averlo ancora incontrato. E ora conduce inaspettatamente alla vera Via Crucis.
Il contatto avviene in modo spiacevole, sotto forma di requisizione e incombenza. Ma molto rapidamente, capisce che la croce di Nostro Signore non si aggiunge alla sua come peso aggiuntivo, ma la sostituisce. Invece di portare il peso di una prova puramente umana, viene lanciato nella grande impresa della redenzione attraverso la sua cooperazione alla salvezza del mondo. La sua carità avrà la sua ricompensa. I suoi due figli, Alessandro e Rufo, ricevettero la grazia del battesimo. La croce ha sempre due facce, una dolorosa e una gloriosa.
Il volto santo di Gesù. In che stato è! Lo sputo, il sangue, la polvere della strada la rendono irriconoscibile. Gli occhi di Gesù, gli occhi belli, gli occhi buoni sono mezzi accecati da tutte le sporcizie… Una donna con un grande cuore si sente dispiaciuta!
Sfidando ogni rispetto umano, Santa Veronica avanza tra la folla di soldati ed ebrei verso Nostro Signore e le applica un panno bianco sul viso per asciugarla. Sensibile a tale devozione, Gesù la ricompensa, lasciando impressi sul velo i suoi lineamenti divini…
Attualmente, è la Sposa mistica di Nostro Signore, è la Santa Chiesa che è sfigurata. Ancora oggi, Nostro Signore sta cercando Veronica per salvare l’onore della sua Sposa, quando viene attaccata. In questa battaglia continua tra la santa chiesa e gli scagnozzi di Satana, abbiamo il coraggio di difendere gli interessi di Dio e della Sua Chiesa quando è in gioco il Suo onore?
L’esempio di Santa Veronica mostra che non basta portare la croce di Nostro Signore come Simone di Cirene. È necessario penetrare più profondamente nella sua passione attraverso la consacrazione totale della sua vita a Dio.

LE NUOVE CADUTE DI NOSTRO SIGNORE

Il corteo, un attimo fermo, riprende la sua marcia sotto le grida dei soldati. Dopo la porta di Gerusalemme, Gesù cade di nuovo, e questa volta per tutta la sua lunghezza…
Ecco la tappa obbligata, in mezzo alla strada, quella che non aveva previsto gli organizzatori della processione, ma imposta dal limite delle forze umane. Sollevato dalla sua croce da Simone di Cirene, Nostro Signore non crolla più questa volta sotto l’orribile fardello, ma perché la sua forza lo tradisce.
Anche la vita riserva sorprese. Raramente va secondo i nostri piani. I propositi di Dio non sono nostri. Dio ci ha detto molte volte nella Sacra Scrittura: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, e le mie vie non sono le vostre vie”. (Is 55,8) Come dice il proverbio, “Nella vita, l’uomo propone, ma Dio dispone”.
La conseguenza è che è necessaria una grande flessibilità per abbracciare i movimenti della grazia. Che possiamo essere docili quando Dio ci conduce per strade inaspettate! Manteniamo allora un atteggiamento di apertura, disponibilità, adesione all’azione della grazia, senza rigidità, senza tensioni.
Tutto dolorante, soffrendo atrocemente in tutto il corpo, Nostro Signore sarà in grado di alzarsi? Sì, perché deve morire sulla croce, come lui stesso ha deciso e annunciato. Inoltre, in uno sforzo eroico, Gesù si alza dolorosamente. Che magnifico coraggio!
Vedendo “l’uomo dei dolori”, le donne cominciano a piangere, a lamentarsi, a battersi il petto in segno di afflizione.
Probabilmente è legittimo piangere sulle sofferenze di Gesù. Come, quando hai un piccolo cuore, non commuoverti di fronte a uno spettacolo così struggente? Ma Nostro Signore devia le lacrime versate su di lui, per restituirle a Gerusalemme e ai suoi abitanti. Vuole mostrare alle donne di Gerusalemme che un semplice sentimento superficiale non è sufficiente per soddisfarlo. Ci chiede di piangere soprattutto su quale sia stata la causa della sua sofferenza, cioè sui nostri peccati. Non che sia necessario versare lacrime. Tutto ciò va bene, ma non dipende sempre da noi. Ciò che è necessario è odiare davvero i nostri errori, essere determinati a fare tutto il possibile per non commetterli di nuovo e unirsi a una vera generosità nell’amore.
Finalmente arriviamo al Golgota, o Calvario. Esausto, sopraffatto dalla tristezza, dalla stanchezza e dal dolore, Gesù crolla pesantemente a terra, come per riposare un po’, mentre intorno a lui si preparano alla morte. Tuttavia, le sue ferite non lo lasciano riposare e continua a soffrire in silenzio, con una generosità innegabile. Soffre e prega. In questo momento prega per i peccatori, prega per noi, ci chiede e merita la grazia della perseveranza.

IL RIMEDIO ALLO SCORAGGIAMENTO

Una delle grandi trappole della vita è lo scoraggiamento, scoraggiamento che a volte porta alla disperazione. Il Venerdì Santo, Giuda è un triste esempio. Credendo il suo peccato imperdonabile, non può più sopportare se stesso fino al punto di impiccarsi.
Per evitare di entrare in questa spirale infernale, il rimedio è la fiducia, l’antidoto è la speranza. Non separiamo mai la nostra miseria dalla misericordia di Dio e, per questo, meditiamo sui bellissimi esempi che la Chiesa presenta ogni anno durante la Quaresima. Sia verso l’adultera, la Samaritana o Santa Maria Maddalena, sia verso il figliol prodigo, il buon ladrone o San Pietro, Nostro Signore manifesta lo stesso atteggiamento di apertura ad accogliere il cuore pentito.
Perciò, quali che siano le nostre debolezze, quali che siano le nostre cadute, qualunque siano le nostre miserie, non crediamo i nostri peccati più grandi della misericordia divina. Crediamo nel valore dei meriti di Nostro Signore, crediamo nel valore del sangue divino per assorbire la sporcizia delle nostre anime e di quelle del mondo intero. Come annunciò il profeta Isaia: “Se i vostri peccati sono come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve, e se saranno rossi come il vermiglio, diventeranno bianchi come la lana” (Is l, 18). Sappiate, dunque, ricorrere frequentemente al sacramento della penitenza per rialzarci coraggiosamente dopo le nostre cadute.
I seminaristi si preparano ad essere strumenti della misericordia divina attraverso la preghiera e i sacramenti che presto dispenseranno alle anime loro affidate. Possano essi essere fedeli alla grazia in tutto il loro seminario, in modo che possano un giorno applicare i meriti di Nostro Signore a quante più anime possibile!

Quinto Mistero doloroso: la crocifissione e la morte di Nostro Signore sulla Croce

Nessuno può avere un amore più grande che dare la vita per i propri amici. (Gv 15,13)

NOSTRO SIGNORE SULLA CROCE

Mentre il Calvario si avvicina, ciò che colpisce immediatamente è l’ostilità di coloro che sono vicini alla croce. Che si tratti di passanti (Mt 27,39-40), di sacerdoti, scribi, anziani (Mt 27,41-43), soldati o addirittura ladri, tutti bestemmiano e deridono Nostro Signore, secondo gli evangelisti sinottici. Lungi dal provare pietà o compassione, è piuttosto la rabbia e l’odio che si abbandonano testimoni della dolorosa morte di Nostro Signore.
Di fronte a questo torrente di odio, come reagisce il divino Crocifisso? Quando volgiamo lo sguardo a Lui, siamo prima afflitti dalle Sue ferite che si estendono su tutto il Suo corpo. Come predisse il profeta Isaia: “Dalla pianta dei piedi alla sommità della testa, non c’è nulla di sano in lui. È solo ferita, lividi e una ferita infiammata che non è stata fasciata, alla quale non è stato applicato alcun rimedio e che non è stata ammorbidita con olio” (Is 1,6).
Data la sua terribile sofferenza e l’odio diabolico di coloro che gli sono vicini, maledirà questi ingrati e stolti?

IL PERDONO AI CARNEFICI E L’APERTURA DEL CIELO AL BUON LADRONE


La prima parola che esce dalla bocca di Nostro Signore sulla croce è una parola di misericordia. San Luca lo riferisce così: «Gesù disse: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”» (Lc 23,34).
Queste parole, udite da tutti, colpirono uno dei ladri. Mentre l’altra bestemmia, toccata dalla grazia, confessa sia la sua colpa che l’innocenza di Gesù: “‘Di nuovo per noi è giustizia, perché riceviamo ciò che le nostre opere hanno meritato; Ma questo non ha fatto nulla di male”. E disse a Gesù: “Signore, ricordati di me quando sarai venuto nel tuo regno”» (Lc 23,40-42).
Di fronte a una tale ammissione del suo peccato e a un così bel atto di fede, Nostro Signore gira leggermente il capo verso di lui, riprende fiato per pronunciare di nuovo una parola di misericordia. “Gesù gli disse: “In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso”» (Lc 23,43).
Le prime due parole di Nostro Signore sulla croce rivelano le disposizioni interiori della sua anima. Dimentica le sue sofferenze e pensa solo al peccato per difendere il peccatore. Sembra sordo agli insulti, ma è attento alla preghiera di un brigante. Il ladro è il primo beneficiario della sua misericordia, il centurione lo seguirà poco dopo. Poche settimane dopo, non appena lo Spirito Santo scenderà sugli Apostoli, i battesimi avranno luogo a migliaia (Atti 2:41). La croce di Gesù è redentrice. Le sue sofferenze sono fonti di salvezza. Il ladro non solo è perdonato, ma beatificato!

“DONNA, QUESTO È TUO FIGLIO”

San Matteo e San Marco parlavano solo di coloro che insultano Nostro Signore per mostrare l’abbandono universale di cui ha sofferto. San Giovanni menziona gli amici di Cristo. “Vicino alla croce di Gesù c’erano sua Madre e la sorella di sua Madre, Maria, moglie di Cleofa, e Maria Maddalena” (Gv 19,25). La Beata Vergine è forte qui. Lei è in piedi. È una presenza risoluta, ferma, solida. La Beata Vergine comunica perfettamente con le disposizioni interiori dell’anima di Gesù. È alla sua intercessione che il ladro deve la sua conversione e San Giovanni la sua perseveranza.
Vedendo una tale comunione di pensiero, di sentimento e di amore, Nostro Signore le disse: “Donna, ecco tuo figlio”, che significa: “Donna che soffre con me, sii feconda anche con me; Sii la madre di coloro che genero con il mio sangue e con le mie piaghe. Questo è il significato più profondo della terza parola. “Avendo dunque visto sua Madre, e con lei il discepolo che amava, Gesù disse a sua Madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua Madre”. E da quell’ora il discepolo la portò a casa» (Gv 19,26-27).
Ogni sofferenza unita a quella di Cristo è feconda, è fonte di vita. Attraverso la sua sofferenza unita a quella del Figlio, la Vergine Santissima merita di diventare la madre di san Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio”, e diventa anche nostra madre. Infatti, San Giovanni ai piedi della croce rappresenta soprattutto i sacerdoti, ma anche tutti i membri della Chiesa. Questa è l’interpretazione dei Padri della Chiesa e della Tradizione.
Al momento, questa parola non fa che aumentare la sofferenza della Beata Vergine. Ah! Qui, ha detto, è l’ultimo saluto; Figlio mio, quale figlio mi dai al tuo posto? Che cosa! un uomo mortale per un Dio-Uomo! Ah! Scambio crudele e fatale! Triste e sfortunata consolazione! Così, nelle parole di Bossuet, “questa parola uccide la Madonna e questa parola la rende feconda. La Beata Vergine diventa allora la corredentrice del genere umano.
Ci impegniamo a realizzare la volontà dei nostri cari. Ora, per la Beata Vergine, questa parola è il testamento di Gesù. Si preoccuperà di accogliere quest’ultima richiesta rivolta a lei per mostrarle una nuova prova d’amore.
Quanto a noi, ringraziamo il Signore per averci dato Maria come madre e non dimentichiamo le sofferenze con cui siamo diventati suoi figli.

“MIO DIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?”

“Dall’ora sesta all’ora nona ci furono tenebre su tutta la terra” (Mt 27,45). Il sole si nasconde. Nostro Signore, Luce del mondo, è messo a morte. La natura partecipa a suo modo al lutto per la morte del suo Creatore, oscurità che simboleggia la morte.
“Le prime tre parole sembrano essere seguite da un lungo intervallo di silenzio. All’ora nona, Gesù sente arrivare la morte. Alza di nuovo la voce. Parlerà in modo più frettoloso. Questo è il tempo delle sue ultime quattro parole. » “Verso la nona ora, Gesù gridò a gran voce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ (Mt 27,46). Durante le prime tre parole, Nostro Signore sembrava dimenticare le sue torture e preoccuparsi solo di chiedere perdono per coloro che lo brutalizzavano, promettendo il Paradiso al buon ladrone e dando sua Madre a San Giovanni. Le due parole che seguono, pur esprimendo allo stesso tempo l’intensità del dolore, sono pur sempre parole di misericordia.
Dicendo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Nostro Signore cita il primo versetto del Salmo 21. Ora, questo salmo ben noto agli ebrei descrive dettagliatamente tutte le sofferenze del Messia atteso. Che si tratti di crocifissione con mani e piedi inchiodati, condivisione dei vestiti, sete ardente, bestemmie di testimoni, abbandono del Padre celeste, tutto è menzionato molto chiaramente. Così, pronunciando questa parola, Nostro Signore sembra dire: “Mi stai prendendo in giro, mi stai prendendo in giro, stai bestemmiando e pensi di reclamare vittoria in questo momento. Leggi il Salmo 21 e vedrai che tutto ciò che sta accadendo lì ora è descritto perfettamente. Convertitevi dunque affinché il mio sangue vi redima e vi salvi. »
In effetti, tutta l’ultima parte del Salmo descrive i frutti meravigliosi della Passione di Gesù: la nascita della Chiesa, la Santa Eucaristia, il nutrimento delle anime e l’estensione della salvezza a tutto il genere umano. Pertanto, questa quarta parola è sia una domanda posta al Cielo dai Giusti sia una risposta data dai Giusti a quelli del Suo popolo che Lo perseguitano. “Bisogna dire di Gesù che è sopraffatto dall’eccesso del suo dolore e dalla desolazione della sua anima, poiché grida a gran voce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ E bisogna dire di Gesù che domina, anche come uomo, il suo dolore e la desolazione della sua anima, poiché, per gridare a Dio, legge nel passato e coglie le parole di un salmo messianico 83. Questa parola è da un lato il gemito di una sensibilità sopraffatta dal dolore. D’altra parte, è l’ultimo e solenne avvertimento di una volontà che, dominando il dolore e ansiosa di salvare le anime dalla perdizione, misericordiosamente le rimanda al giudizio della profezia. Non è quindi solo una lamentela, ma un grido di speranza.

LE ULTIME PAROLE
Dopo di ciò, Gesù, sapendo che tutto era stato consumato, perché la Scrittura potesse compiersi, disse: “Ho sete!” (Gv 19,28). Come la parola precedente, questa quinta parola è insieme un’indicazione di terribile sofferenza e allo stesso tempo un altro segno di misericordia.
Il crocifisso soffriva di una sete bruciante, era disidratato dopo aver portato la croce e perdeva molto sangue. Nostro Signore ha dunque sete fisica, ma soprattutto ha sete della salvezza delle anime. Questa parola è certamente la manifestazione di un’amara sete fisica, ma è anche la ripetizione consapevole di un versetto del salmo. Nostro Signore ha la cura di seguire il cammino tracciato dal Padre suo e di compiere ogni tratto della Passione redentrice. Il Vangelo lo esprime molto chiaramente: “Gesù, sapendo che tutte le cose sono state consumate, perché la Scrittura si compisse, ha detto: “Ho sete!”. Il 19, 28). Egli grida al Padre sua questa sete e il suo grido è ascoltato, perché con la sua croce Nostro Signore salva il mondo.
Infine, le ultime due parole di Nostro Signore, che immediatamente precedono la sua morte, esprimono il suo dominio di sé e la serenità divina che abita nel suo cuore. “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “Tutte le cose sono consumate”» (Gv 19,30).
Nostro Signore non è venuto in questo mondo per adempiere la profezia, è venuto per fare la volontà di Suo Padre. Tuttavia, sottomettendosi alla volontà di Suo Padre, Egli adempì le profezie. Alla fine, quando ha compiuto il suo pellegrinaggio terreno, tutte le profezie si compiono, anche quella che specifica che i Giusti sarebbero stati annaffiati con aceto. Quindi può dire: “Tutto è consumato”. È un vero grido di vittoria.
“Gridando a gran voce, Gesù disse: “Padre, consegno il mio spirito nelle tue mani”» (Lc 23,46). Essendo tutto consumato da ciò che riguarda la redenzione del mondo, Nostro Signore può pensare a lui. Ha ancora la sua anima da separare dal suo corpo per farlo passare da questa terra di esilio alla vita eterna.
La parola di Nostro Signore è efficace. Perciò, appena pronunciato, «chinando il capo, abbandonò lo spirito» (Gv 19,30). Rendere lo spirito è l’indice del potere divino. Nostro Signore ha liberamente affidato la sua anima nelle mani di suo Padre. Si addormentò in pace. Ascoltando le sette parole di Gesù sulla croce così piene di misericordia, come potevamo dubitare del suo amore per noi? La croce è veramente la più grande prova dell’amore di Dio per noi. “Nessuno può avere un amore più grande che dare la vita per i suoi amici.” (Gv 15,13) Sta a noi corrispondere a questo amore con amore. “L’amore si paga solo con l’amore”, diceva Santa Teresa di Gesù Bambino.


Photo by Susanne Jutzeler, suju-foto : https://www.pexels.com/photo/wooden-rosary-on-old-bible-8012487/