Un amico sacerdote ci ha inviato una preziosa meditazione dei misteri gaudiosi del Rosario che volentieri condividiamo con voi lettori, cogliendo l’occasione per ribadire l’importanza irrinunciabile della devozione mariana per il cattolico. Le Edizioni Radio Spada per facilitare e arricchire questo cammino verso la Madre di Dio, e quindi verso Dio stesso, hanno pubblicato diversi volumi, tra cui l’utilissimo Libro d’Oro di Maria Santissima – Il trattato della vera devozione alla Santa Vergine, Le Glorie di Maria, una Nota su Maria Corredentrice e le principali devozioni mariane per salvare noi stessi e il nostro prossimo.
Primo mistero gioioso: L’Annunciazione
Maria disse: Ecco la serva del Signore; Avvenga di me secondo la tua parola. (LC l, 38)
LA VISITA DELL’ARCANGELO GABRIELE
Nella pienezza dei tempi, l’arcangelo Gabriele è inviato da Dio alla Beata Vergine (Lc l, 26). Egli inizia salutandola con segni di tale venerazione che è turbata: “Ave, piena di grazia, il Signore è con te; tu sei benedetta tra tutte le donne” (LC l, 28). Notate che la Beata Vergine non è turbata dalla visita dell’angelo, ma dal suo saluto. “Dopo averlo ascoltato, fu turbata dalle sue parole” (LC l, 29). Maria è così umile, così piccola ai propri occhi, che non capisce come una tale lode possa essere rivolta a lei. L’angelo la rassicurò, dicendo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia davanti a Dio. Ecco, concepirai e partorirai un figlio, e gli darai il nome di Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide, suo padre, e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,30-32). La Vergine Santa comprende il significato di queste parole, ne coglie il significato. Vede che le viene chiesto di diventare la madre del Messia, la madre del Salvatore, la Madre di Dio. Fin dalla sua prima infanzia, ha atteso, desiderato ardentemente la venuta del Messia. L’oggetto costante della sua preghiera era la salvezza delle anime. Ecco perché gli autori mistici affermano che la Beata Vergine concepì spiritualmente il Bambino Gesù prima di concepirlo corporalmente, cioè aveva un tale desiderio di vedere il compimento le profezie dell’Antico Testamento che il Verbo di Dio si lasciò attirare in lei e discese in lei. Ma se la Vergine Maria, nel momento preciso in cui sente queste parole, vuole vedere Nostro Signore Gesù Cristo scendere sulla terra, non capisce come la richiesta dell’angelo possa essere compatibile con il suo voto di verginità. Pertanto, non esita un momento sul fatto che farà o meno la volontà di Dio, ma solo su ciò che questa volontà sia effettivamente. Come conciliare la maternità propostale dall’angelo con la verginità che ha promesso a Dio?
Per uscire dal dubbio, chiede all’angelo con prudenza soprannaturale e saggezza: “Come sarà fatto questo, perché non conosco nessuno?” (Lc 1,34). La risposta è immediata: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la virtù dell’Altissimo ti getterà con la sua ombra; perciò il frutto santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Tolto il dubbio della Beata Vergine, ella acconsentì immediatamente: “Sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (Lc l, 38).
SONO LA SERVA DEL SIGNORE
Prima di pronunciare il suo Fiat, la Vergine Santa esordisce dicendo: “Io sono la serva del Signore”. Queste semplici parole contengono una verità molto profonda. La qualità di servo deriva dallo status di creatura. Ogni essere creato dipende dal suo Creatore e deve quindi sottomettersi a Lui totalmente, esclusivamente, senza riserve.
“Io sono la serva del Signore”. Come creatura di Dio, discendo da Dio. Tutto ciò che sono e tutto ciò che ho viene da Lui: “Che cosa non hai ricevuto?” (1 Cor 4,7). Quindi posso gestire solo il capitale che mi è stato affidato, non posso creare nulla da solo. Come creatura di Dio, esisto oggi attraverso di Lui: “In Lui viviamo, in Lui ci muoviamo, in Lui siamo” (At 17,28). Non solo Dio mi ha creato, ma ancora oggi mi mantiene in esistenza e mi comunica, al di là della vita naturale, la vita soprannaturale, infinitamente più preziosa.
Venendo da Dio, esistendo oggi attraverso di lui, mi sottometto a lui. Io sono il tuo servo, Signore. So che mi hai creato per amore, che mi guardi con amore, che vuoi la mia felicità, e io mi sottometto interamente a te. Tutto quello che ho, l’ho ricevuto da Te, te lo restituisco. Fa’ di me ciò che vuoi. Dammi solo il tuo amore, mi basta.
Non ho nulla da temere; So che sei con me. Poiché mi dai la vita naturale e la vita soprannaturale in ogni momento, mi sei sempre vicino, non sono mai solo. Così mi aiuterai ad essere fedele alla mia vocazione se ricorrerò a te per tutta la vita.
Questo è ciò che è contenuto in queste semplici parole: “Io sono la serva del Signore”.
IL FIAT DELLA MADONNA
“Avvenga di me secondo la tua parola”. La Vergine Santa non dice: “Avvenga di me secondo la volontà di Dio”, ma “secondo la tua parola”. Così mostra che si sottomette non solo a Dio, ma anche all’intermediario che Dio ha scelto per far conoscere la sua volontà.
Se Nostro Signore ci apparisse direttamente per dirci ciò che si aspetta da noi, certamente ci affretteremmo ad obbedirgli, ma Egli usa intermediari. Questi sono i superiori che Dio ci dà, questi sono gli imprevisti che punteggiano la nostra esistenza. Dicendo: “Avvenga di me secondo la tua parola”, la Vergine ci insegna a sottometterci alla volontà di Dio, manifestata dai nostri superiori e dagli avvenimenti.
“Avvenga di me secondo la tua parola”. In questo caso, queste parole significano: “Che la predizione che hai appena fatto si avveri; che io diventi la madre di Gesù, la madre del Salvatore, la madre di Dio”. La Madonna accetta consapevolmente e liberamente di diventare la madre del Salvatore. Accetta quindi di diventare la madre di Colei che, un giorno, si sacrificherà sulla croce per la salvezza delle nostre anime.
Ma la Madonna conosce meglio di chiunque altro le profezie dell’Antico Testamento che descrivono le sofferenze di Cristo, sofferenze che le faranno guadagnare di diventare madre degli uomini. Dal giorno dell’Annunciazione, essa accetta le conseguenze del suo sì, e in particolare per diventare, un giorno, la Vergine Addolorata, la Madre Addolorata.
Date tutte le conseguenze di questo sì, conseguenze che la Vergine ha certamente incontrato, anche se non ne aveva una perfetta conoscenza, questo sì è stato magnanimo, eroico.
Come ha fatto a pronunciarlo con tanta prontezza?
Questo atto sublime è dovuto alla consueta generosità che ha acquisito fin dalla sua prima infanzia. Nostro Signore ha detto: “Chi è fedele nelle piccole cose, sarà fedele nelle cose grandi” (Lc 16,10). Il modo per non sottrarsi al sacrificio, quando Dio chiede di pronunciare un sì eroico, è dunque imparare a dirgli sì nei piccoli gesti della vita quotidiana. Chi è fedele alla grazia nelle piccole cose sarà fedele anche nelle più grandi.
IL FIAT DI NOSTRO SIGNORE
Il sì della Madonna, nel giorno dell’Annunciazione, non deve offuscare quello di Nostro Signore. Nel mistero dell’Annunciazione, l’attenzione si rivolge spontaneamente alla Vergine Santa, poiché la salvezza del genere umano dipende dalla sua accoglienza. Volgiamo ora lo sguardo al mistero centrale nascosto dietro questa scena evangelica: l’incarnazione del Verbo, frutto del consenso di Maria. Senza il consenso del Figlio di Dio, non ci sarebbe stato il consenso di sua Madre; senza la generosità di Cristo, non ci sarebbe stata quella della Madonna. Nel considerare il dono pieno, totale, senza riserve di Maria, non dimentichiamo che è l’immagine, il riflesso, l’eco del dono di Gesù.
San Paolo, nella sua Epistola agli Ebrei, esprime le disposizioni interiori di Nostro Signore, dicendo: “O Padre, tu non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai formato corpo. Non volevi olocausti o sacrifici per il peccato; allora dissi: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà”» (Eb 10,5-7). Questo passo della Scrittura indica chiaramente come il divino Salvatore si offra come vittima della propiziazione fin dal primo momento della sua incarnazione. Il suo sacrificio non deve dunque ridursi al tempo della sua passione. Dal momento in cui entra nel mondo, Gesù Cristo si dedica senza riserve alla salvezza delle nostre anime. La sua incarnazione è redentrice.
La salvezza viene attraverso la sottomissione della propria volontà a quella del proprio Padre: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà”. Più tardi, dirà: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34). Nell’Orto degli Ulivi, egli rivela la profondità del suo sacrificio che ripugna alla parte sensibile del suo essere quando dice: “O Padre, se è possibile, toglimi questo calice; ma sia fatta la tua volontà e non la mia» (Mt 26,39).
Fare la volontà di Dio: questa è in una parola tutta la missione di Nostro Signore in questo mondo. È anche nostro. “O anima mia – esclama santa Teresa d’Avila – si compia in te la volontà di Dio; Questo è ciò che fa per te. ServiteLo e sperate nella Sua misericordia. »
IL NOSTRO FIAT
Possano i due eroici esempi di Nostro Signore e della Madonna attirare molti giovani verso il bel cammino del sacerdozio e quello della vocazione religiosa.
A migliaia di giovani uomini e giovani donne, le cui anime sono pure e i loro cuori ardenti, Dio ripete dolcemente, instancabilmente: “Figli miei, guarda! Vedete quanto è abbondante il raccolto, il ricco raccolto delle anime! Ahimé! I lavoratori sono così pochi che c’è da temere che perisca! Figli miei, se mi amate davvero, come mi avete detto tante volte, non accetteresti di venire a lavorare con me?… Figlia mia, ascoltami! Lasciate alle anime inferiori i beni e le gioie della terra, ma voi, che ho reso nobili e grandi, alla grandezza del mio apostolato, venite e seguitemi!” Questa, nel suo germe divino, è la vocazione religiosa [o sacerdotale]. Gesù stesso discerne le anime a cui farà l’onore di darlo, e poi, oserei dire, inizia l’assedio di esse. »
Mentre recitiamo il primo mistero gaudioso, imploriamo la Madonna perché suo Figlio si degni di chiamare
molti servi alla sua vigna e preghiamo perché i giovani, ricettivi alla grazia, imitino generosamente il Fiat di Gesù e Maria.
Qualunque sia la nostra missione sulla terra, Nostro Signore si aspetta che ognuno di noi faccia la volontà di Suo Padre. Si manifesta dai nostri genitori, dai nostri superiori quando sono fedeli all’esercizio del loro ufficio, dagli eventi gioiosi e dolorosi della nostra vita. Che ne siamo convinti e corrispondiamo alla grazia di Dio in ogni circostanza!
Secondo mistero gaudioso: La Visitazione
In quei giorni, Maria, alzandosi, andò in gran fretta sui monti, in una città di Giuda; ed entrò nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. (Lc 1,39-40) Maria rimase con Elisabetta per circa tre mesi; Poi tornò a casa sua. (LC 1, 56)
PRESENTAZIONE DEL MISTERO
L’episodio della Visitazione è descritto da san Luca (LC l, 39-56). Le caratteristiche principali del Vangelo dell’infanzia di Nostro Signore sono narrate da lui. Il suo Vangelo non è una serie di storie e discorsi, è l’opera di uno scrittore raffinato, che ha dimostrato un’arte consumata nel modo in cui l’ha concepita e realizzata, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo.
Nel racconto della Visitazione, “la data data da san Luca è vaga: ‘in quel tempo’, la direzione è indicata sommariamente: è sul monte, in una città della tribù o regno di Giuda; l’unica caratteristica che viene citata di questo viaggio è l’entusiasmo: ‘Maria aveva fretta’”. Non appena lo Spirito Santo illumina la sua anima per invitarla ad aiutare sua cugina, la Beata Vergine immediatamente giustizia. Immediatamente, si sottomette alla volontà di Dio. Avrebbe certamente preferito rimanere sola a Nazaret per godere pacificamente della presenza di Nostro Signore nel suo grembo, ma non cerca il suo interesse. La sua guida, il suo faro, la sua bussola, è la volontà di Dio. Come dice sant’Ambrogio: “La grazia dello Spirito Santo non conosce né lentezza né ritardo”. Secondo la tradizione, la piccola città dove vive Santa Elisabetta è Ain-Karim, a due leghe da Gerusalemme. Ci vogliono quindi quattro o cinque giorni di cammino verso la Beata Vergine per raggiungere sua cugina da Nazaret.
San Luca non si sofferma a descrivere il soggiorno della Madonna con Elisabetta. Sappiamo solo che rimarrà lì per circa tre mesi. Solo una scena interessa l’evangelista: «il toccante incontro di Due madri, e lo scambio delle loro parole vibranti di emozione e piene di fede. »
UMILTÀ
La prima virtù che si manifesta in questo mistero è l’umiltà. Elisabetta e Maria si incontreranno, ma è Maria che prende l’iniziativa. Il superiore, nota sant’Ambrogio, si affretta a venire in aiuto del suo inferiore: “Maria viene da Elisabetta, Gesù Cristo viene da San Giovanni!”
Arrivando ad Ain Karim, “Maria entra nella casa di Zaccaria e saluta Elisabetta”. Elevata alla dignità di Madre di Dio, fu tuttavia la prima a salutare la sua parente.
Che cosa fece Elisabetta? Lei grida: “Tu sei benedetta tra le donne e il frutto del tuo grembo è benedetto. E da dove viene che la madre del mio Signore viene a me? Perché la tua voce non ha colpito le mie orecchie prima che mio figlio tremasse di gioia nel mio petto.” Elisabetta ammira la grandezza di Maria e le sue congratulazioni vanno alla fonte di questa grandezza: “Beati voi che avete creduto, perché ciò che è stato detto in nome del Signore sarà compiuto!”
Elisabetta fu stupita di ricevere la grazia di accogliere la Beata Vergine nella sua casa. Crede di non essere degna di un tale privilegio, il che dimostra la sua umiltà. Mentre agli occhi dei superbi tutto è dovuto, per l’umile tutto è dono.
La Vergine Santa, a sua volta, lungi dall’essere orgogliosa delle lodi ricevute dalla cugina, restituisce tutta la gloria a Dio con il suo canto radioso del Magnificat. In questo inno, si dà il titolo di serva: “Guardò la bassezza del suo servo”. Lo sguardo di Dio cadde su Maria. L’ha elevata alla dignità di Madre di Dio, ma, per umiltà, si definisce la più piccola delle sue serve. Mostra così che è penetrato dal sentimento della sua dipendenza, della sua indigenza, del suo nulla di fronte a Dio. Questa espressione di serva era già stata sulle sue labbra il giorno dell’Annunciazione: “Sono la serva del Signore”. Servire Dio nell’umiltà e nell’obbedienza deve essere sempre la sua funzione, anche quando la grazia la rende Madre di Dio.
Certo, riconosce i doni che possiede, ma lungi dall’attribuirli a se stessa, afferma di doverli a Dio: “Grandi cose ha fatto in me il Signore”. E continua il suo canto di ringraziamento ricordando che “Dio depone i potenti dai troni e innalza gli umili”.
L’umiltà di Maria e quella di Elisabetta si rivelano nelle loro parole, mentre l’umiltà di Nostro Signore è segnata dal suo silenzio. In questo mistero, il Verbo incarnato non agisce esteriormente. Non è visibile, è racchiuso nelle viscere di sua Madre, come imprigionato, immobile, nascosto, ma è comunque il protagonista, è l’anima di questo mistero. È lui che attira la Beata Vergine a suo cugino, è lui che è la causa del tremore di gioia di Giovanni Battista, è lui che mette in Elisabetta i sentimenti di umiltà e ammirazione alla vista della Madonna.
Così l’umiltà di Maria e quella di Elisabetta sono un riflesso dell’umiltà di Nostro Signore.
FEDE
Le due sante donne manifestano anche, al di là della virtù dell’umiltà, una grande fede. Santa Elisabetta disse alla Madonna: “Beata tu che hai creduto che ciò che è stato detto a nome dell’angelo si sarebbe adempiuto!” Maria
in qualche modo meritava la sua felicità, perché, di fronte al messaggio che Dio le trasmise nel giorno dell’Annunciazione, avrebbe potuto esitare e rimanere incredula come Zaccaria. San Luca riferisce infatti che Zaccaria, nel momento in cui l’arcangelo Gabriele gli annunciò che sua moglie Elisabetta stava per dare alla luce un figlio, non riuscì a superare i dubbi che sorsero in lui, perché era sterile e avanti nell’età. Così ha chiesto un segno. L’ha ottenuta, ma la sua testardaggine gli è valsa una punizione. Il segno era una punizione. Zaccaria avendo discusso con l’angelo come non era opportuno fare, quest’ultimo gli impose il silenzio e Zaccaria, muto, parlò solo per segni (Lc l, 22).
A differenza di Zaccaria, la Beata Vergine con la sua pronta fede si mostrò degna delle grazie divine. La sua felicità deriva non solo da ciò che Dio ha fatto per lei, ma anche da ciò che lei ha fatto per Dio.
Così l’elogio di Elisabetta è veramente completo. Egli considera i due aspetti della grandezza di Maria: la sua scelta come Madre di Dio e la sua fede indefettibile. Nostro Signore un giorno metterà in evidenza questa parte della cooperazione nell’opera di Dio nell’uomo. Dal mezzo della folla, una donna grida: “Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che ti hanno nutrito!” E Gesù gli risponde: “Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27-28). In altre parole, se la Santa Vergine è beata, è senza dubbio a causa della sua divina maternità, ma questa maternità è avvenuta solo a prezzo della sua fede.
Inoltre, se Elisabetta è in grado di discernere la fede della Madonna, è perché lei stessa ha la fede più viva. Ha davanti agli occhi una donna semplice, sua cugina, ma va oltre l’aspetto puramente umano per vedere in lei la Madre di Dio. Certo, le sue virtù e la sua santità si irradiano sul suo volto, ma da lì discernere in lei la Madre di Dio è cosa accessibile solo alla fede.
GLI EFFETTI DEL SALUTO DI MARIA
Che cosa risulta da questo scambio, da queste parole piene di umiltà e di fede? Giovanni Battista trema di gioia nel grembo di sua madre. “Non appena Elisabetta udì il saluto di Maria, la bambina tremò nel suo grembo e fu riempita di Spirito Santo”. Illuminata dallo Spirito Santo, Elisabetta comprende la causa del miracoloso tremore. Il bambino è stato appena santificato, come l’angelo predisse Zaccaria. Qui inizia la testimonianza di Giovanni, che già adempie al suo ruolo di precursore rivelando il Salvatore a sua madre. Da questo primo beneficio, la Beata Vergine è l’intermediaria di questi favori. Gesù nascosto nel grembo materno agisce solo attraverso Maria. Non si tira indietro, ma prende in prestito la voce di sua Madre per santificare Giovanni Battista nel grembo di Elisabetta e provocare la sua gratitudine, piena di gioia. Da quel giorno Maria ha svolto il suo ruolo di mediatrice di ogni grazia.
Fu Elisabetta che Maria salutò per prima, ma fu suo figlio a rispondere per prima. Giovanni Battista «sente che il suo Maestro viene a visitarlo, e vorrebbe farsi avanti per riceverlo: è l’amore santo che lo spinge, sono i desideri ardenti che lo sentono. Non vedete che sta cercando di rompere i suoi legami con il suo movimento imperioso? Ma se chiede la libertà, è solo per correre dal Salvatore; E se non può soffrire la sua prigione, è perché lo separa dalla sua presenza. »
Il saluto di Maria fece tremare Giovanni Battista, e questo movimento di Giovanni Battista a sua volta illuminò Elisabetta e le fece capire che colei che veniva da lei era la Madre di Dio. Questa conoscenza immediata della dignità di Maria si spiega con un’improvvisa infusione dello Spirito Santo. Questo è infatti il significato primario del testo di san Luca: “Non appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino tremò nel suo grembo, e fu riempita di Spirito Santo e gridò a piena voce”. Così, come la Beata Vergine apprese il giorno dell’Annunciazione che sua cugina aspettava un bambino, così Elisabetta apprende in questo giorno che la Beata Vergine porta in grembo il Dio Bambino.
LE VIRTÙ DA RIPRODURRE NELLA NOSTRA VITA
L’umiltà e la purezza della Madonna hanno attirato il Verbo nel suo grembo. Allo stesso modo, la santità di Elisabetta attirò in lei il Precursore. La pratica delle virtù dell’umiltà e della fede nella Madonna e in sua cugina sono manifestazioni di questa santità.
Così, il mistero della Visitazione ci fa scoprire, attraverso l’esempio di Maria ed Elisabetta, alcune virtù delle madri dei sacerdoti. Infatti, se è vero che Nostro Signore chiama al suo servizio chi vuole, le vocazioni più belle sono spesso quelle di anime che hanno avuto davanti agli occhi l’esempio edificante della loro madre. La santità delle madri prepara il terreno dove germoglia e cresce la vocazione religiosa o sacerdotale. Essa suscita vocazioni nei bambini che sono immersi fin dalla tenera età in un clima profondamente cristiano.
Perciò, se vogliamo sacerdoti, sacerdoti santi, tanti sacerdoti santi, dobbiamo lavorare per santificarci all’interno delle nostre famiglie. Certo, non si tratta di costringere i figli ad abbracciare un certo stato di vita, ma di attirare la loro anima a Dio con il profumo delle virtù cristiane.
Contemplando l’azione misteriosa di Nostro Signore e di San Giovanni Battista nel grembo della loro madre, recitiamo anche questa decina in riparazione dell’abominevole crimine dell’aborto. L’atteggiamento della Madonna
che si precipita a casa della cugina per servirla è anche un invito ad aprire gli occhi sul bene che si compie intorno a noi. Cerchiamo anche di avere un occhio caritativo, impariamo a pensare agli altri prima che a noi stessi, per promuovere una buona comprensione all’interno della nostra famiglia.
Infine, cantando il suo Magnificat, la Madonna ci insegna ad essere anime riconoscenti. Lungi dall’imitare i bambini viziati a cui tutto è dovuto, dobbiamo invece aprire gli occhi della fede per scoprire che in realtà tutto è un dono. Perciò rendiamo grazie a Nostro Signore per i doni ricevuti.
Terzo mistero gaudioso: La Natività
Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo mise a letto in una mangiatoia perché non c’era posto per loro nella locanda. (LC 2:7)
LA CADUTA ORIGINALE
Per beneficiare della contemplazione di Gesù Bambino nella grotta di Betlemme, è necessario riflettere prima sulla natura del peccato originale. Infatti, la venuta di Nostro Signore in questo mondo è strettamente legata al peccato dei nostri progenitori. Fu la caduta vertiginosa del primo uomo che attirò il divino Salvatore qui sulla terra. Comprendere il piano di redenzione presuppone quindi la conoscenza di quale fosse il peccato originale, e richiede anche una precisa percezione dello stato di decadenza in cui si trovava l’uomo dopo essersi lasciato soggiogare dalle false affermazioni di Satana.
Cos’era il peccato originale? La risposta si trova nel libro della Genesi. Dio aveva proibito ad Adamo ed Eva di mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male pena la morte (Gen 2,17). Ma il diavolo tentò Eva dicendole: «Dio sa che dal momento in cui mangerete di questo frutto, i vostri occhi si apriranno e sarete come dèi, conoscendo il bene e il male» (Gen 3,5). Queste poche parole sono molto importanti perché fanno conoscere la modalità di tentazione del demonio e ci permettono di scoprire la breccia che Egli aprì per entrare nel cuore di Eva. Mangiando il frutto proibito, Adamo ed Eva non cercarono di soddisfare il loro appetito sensuale, ma desideravano essere come Dio nella scienza del bene e del male. San Tommaso d’Aquino specifica che volevano determinare da soli ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in modo da poter agire a loro piacimento senza alcuna dipendenza da un essere superiore. Volevano dipendere solo da se stessi, conquistare da soli la felicità suprema, seguire solo le loro fantasie o capricci senza dover rendere conto a nessuno. Questo è il peccato originale: voler diventare Dio senza Dio, volere la propria indipendenza, autonomia, libertà e pretendere la perfezione con le proprie forze. È un peccato di orgoglio, di insubordinazione, di disobbedienza.
IL PECCATO ORIGINALE NEI DISCENDENTI DI ADAMO
Lo studio del peccato originale è cruciale per comprendere le inclinazioni della natura decaduta perché, se il peccato originale viene cancellato al battesimo, c’è ancora nei battezzati una propensione al male, un’attrazione al male. La Chiesa lo insegna, lo spiega san Tommaso d’Aquino, e l’esperienza lo conferma. Il peccato originale nell’uomo non è una semplice privazione della grazia e dei doni straordinari che Dio ha concesso ad Adamo ed Eva. Non è semplicemente una mancanza. Contiene un attaccamento sregolato al male, una pronunciata inclinazione verso i beni di questo mondo a scapito dei beni celesti.
La malattia risultante in tutti i discendenti di Adamo è strettamente correlata al disordine che si è stabilito nella sua natura decaduta come risultato della sua trasgressione dell’ordine divino. Lo studio attento di questo difetto è quindi una preziosa fonte di informazioni per discernere i punti deboli dell’uomo. Porta alla conclusione che le tendenze più disastrose che lo colpiscono si riducono all’orgoglio e alla ricerca frenetica della libertà, di una libertà mal compresa.
IL DIVINO REDENTORE
La conoscenza della natura del peccato originale è indispensabile anche per cogliere il disegno redentore. Poiché il peccato originale era un peccato di orgoglio e disobbedienza, la riparazione di questo peccato avverrà attraverso le virtù opposte, cioè l’umiltà e l’obbedienza.
Ma chi sarà in grado di portare a termine questo compito scoraggiante? Quale creatura sarà abbastanza degna da placare l’ira divina meritata da tale peccato? Poiché l’uomo ha peccato, l’uomo deve fare ammenda. Ma poiché Dio è stato offeso, è necessario che venga offerta una vittima che possa essere approvata da Lui. Quindi, dove trovare una vittima del genere? San Luigi Maria Grignon de Montfort risponde a questo nel suo trattato intitolato L’amore della sapienza eterna: “La sapienza eterna, vedendo che non c’era nulla nell’universo che fosse capace di espiare il peccato dell’uomo, di pagare per la giustizia e di placare l’ira di Dio, e tuttavia di voler salvare il povero che amava con inclinazione, trova una via ammirevole. Sorprendentemente incomprensibile amore che va all’eccesso, questo amabile e sovrano Principe si offre in sacrificio al Padre per pagare la sua giustizia, per calmare
la sua rabbia e per allontanarci dalla schiavitù del demonio e dalle fiamme dell’inferno, e ci merita un’eternità di felicità. La Saggezza Eterna si riferisce a Gesù Cristo Stesso. Nostro Signore si era già offerto al Padre come vittima innocente fin dal grembo materno. Egli rinnova questa bella indole al momento della sua nascita.
IL VERBO SI FECE CARNE
L’ultimo Vangelo che il sacerdote legge ad ogni Messa come forma di ringraziamento è una guida preziosa per approfondire questo mistero. A forza di ascoltare questo brano, è possibile che il movimento di meraviglia che dovrebbe suscitare il suo ascolto si attenui. Queste poche righe della Parola di Dio riassumono perfettamente il grande mistero dell’Incarnazione.
Una lettura attenta di questo brano scelto rivela innanzitutto la grandezza della Parola, o Verbo. San Giovanni afferma che il Verbo è, in tutto, uguale al Padre suo. “Il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio . . . Tutto è stato fatto da lui e nulla è stato fatto senza di lui” (Gv l, 1-3). Il discepolo amato guarda nel seno della Santissima Trinità per cogliere la grandezza, la maestà, l’onnipotenza della Parola. Poi, quando ha presentato la sua divinità, scende di nuovo in questa valle di lacrime e si porta spiritualmente a Betlemme, dove la Madonna ha appena dato alla luce un bambino debole. Per questo aggiunge: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv l, 14). Non dice: “Il Verbo ha sposato la natura umana”; e nemmeno: “Il Verbo ha assunto un corpo umano (come afferma Giovanni Paolo II)”; ma dice: “Il Verbo si fece carne”. L’uso del termine carne sottolinea ulteriormente il grado di umiltà, umiliazione, annientamento di Nostro Signore al Suo ingresso in questo mondo. In effetti, la carne è la cosa più vile della natura umana. Colpisce il contrasto tra la grandezza del Verbo e gli abbassamenti a cui la sua Incarnazione lo ha condotto nel grembo della Vergine Santa! Come ha fatto un Dio così grande, così sublime, così maestoso a spingere la sua condiscendenza fino a rivestire la stessa natura umana di noi, poveri peccatori?
Ma non è tutto. In effetti, facendosi uomo, si sarebbe potuto pensare che Nostro Signore avrebbe avuto almeno un corpo glorioso. Era più che naturale che la natura divina glorificasse il corpo a cui era così strettamente associata! Era più che legittimo che la gloria dell’anima di Nostro Signore si riflettesse sul suo corpo umano. Come dice il cardinale de Berulle: “Dobbiamo considerare la divinità di Gesù e la sua anima, come due torrenti impetuosi, che tendevano con tutta la loro potenza a rivestire e adornare questo corpo con la gloria che gli spetta come Figlio di Dio. Tuttavia, questo doppio torrente viene represso; Gesù impedisce il felice diluvio di gloria a cui tendono sia la sua divinità che la sua anima. L’ha sospesa per trent’anni per rimanere responsabile e fatale per tutto il tempo. »
Questa privazione dello stato di gloria in Nostro Signore è un abbassamento molto distinto da quello di Nostro Signore.
È il mistero dell’incarnazione, poiché Dio poteva farsi uomo senza entrare in uno stato umile e sofferente. Adoriamo dunque questo strano divorzio tra la divinità che è presente in Nostro Signore e la gloria di questa divinità che è assente, che rimane nascosta, che rimane velata, che è impercettibile allo sguardo umano.
E non solo Nostro Signore ha una natura passibile e mortale, ma nasce in una povera stalla. Venendo al mondo, avrebbe potuto almeno scegliere di nascere in una famiglia benestante, in una città rinomata, in un palazzo sontuoso. Sembrava più che normale che il Re dei re nascesse in un universo corrispondente alla sua infinita maestà. Beh, no! Questo non era il piano di Dio. Se Nostro Signore ha voluto soffrire e morire in una grande città, a Gerusalemme, per sopportare un’umiliazione più grande, ha scelto invece di nascere in un luogo perduto, isolato, lontano dal mondo, lontano dal rumore e dall’agitazione. In una povera stalla buia . Qui sta il nocciolo del mistero dell’Incarnazione! Solo la luce di Dio permette di discernerlo profondamente contemplando la mangiatoia.
L’UMILTÀ, L’OBBEDIENZA E LO SPIRITO DI POVERTÀ
Nostro Signore Gesù Cristo, che conosce meglio di chiunque altro le tendenze della natura decaduta, ha voluto dare agli uomini una grande lezione di umiltà e di obbedienza accettando volentieri di assumere una natura umana con tutte le sue miserie, tranne il peccato.
Inoltre, scegliendo di nascere in una famiglia povera, in un luogo appartato del mondo, tra un bue e un asinello, in una semplice mangiatoia per animali in fondo a una povera stalla, Gesù ha voluto porre rimedio al nostro sregolato appetito di ricchezza e di comodità.
Adoriamo il nostro Dio povero. Gesù viene a noi: è lì, vicino a Lui, che troveremo la vera gioia, quella di saperci amati da Dio.
Andiamo a Betlemme, vicino al Dio Bambino che è venuto a condurre la nostra vita di uomini. Vicino a Lui, impariamo che tutte le disgrazie degli uomini scaturiscono dal loro orgoglio, e sappiate anche che Egli soffre per tutte le nostre sofferenze e che può alleviarle. Vedendolo così piccolo nella mangiatoia, comprendiamo che per far parte del suo Regno, dobbiamo diventare di nuovo piccoli bambini come Lui, abbandonarci con fiducia al nostro Padre celeste e amare i fratelli come Lui stesso ci ha amati.
I genitori insegnino ai figli, fin dalla tenera età, la pratica dell’umiltà, dell’obbedienza e del distacco dai beni di questo mondo. Ciò faciliterà grandemente l’apertura dei loro figli alla grazia di Dio e specialmente a quella della
vocazione. Infatti, se le virtù dell’umiltà e dell’obbedienza sono virtù eminentemente cristiane, sono ancor più specificamente virtù religiose e sacerdotali.
IL PRESEPE E L’EUCARISTIA
È impossibile imitare Gesù Cristo nella sua umiltà, obbedienza e distacco dai beni di questo mondo, con la sola forza di volontà, ma Nostro Signore non è solo un modello, è anche il mezzo di santificazione. Ecco perché il mistero della mangiatoia contiene diverse allusioni a quella della Santa Eucaristia, chiave della virtù. Gesù nasce a Betlemme, nome che significa “casa del pane”, e sua Madre lo depone in una mangiatoia (Lc 2,7.12 e 16), perché, fin dalla sua natività, è il “pane vivo disceso dal cielo” in 4,41), che vuole donarsi agli uomini. Venendo in noi nella Santa Eucaristia, Nostro Signore ci dà l’incredibile privilegio di essere gradualmente trasformati in Lui. Se siamo ricettivi alle sue luci, Egli ci insegnerà gradualmente a condividere il suo modo di vedere, a sposare i suoi sentimenti, ad unire la nostra volontà con la sua. Allora i suoi precetti e i suoi esempi ci sembreranno più accessibili.
Quarto mistero gaudioso: La Presentazione di Gesù Bambino al Tempio
[Maria e Giuseppe] portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. (Lc 2,22)
L’ORIGINE DELLA PRESENTAZIONE DEI BAMBINI NEL TEMPIO
La presentazione del figlio primogenito al Tempio richiesta dalla legge di Mosè aveva un duplice scopo. Prima di tutto, era destinato a manifestare il dominio sovrano di Dio su ogni creatura. Dio, essendo il Creatore, ha il diritto di dominio sull’intero universo.
Non c’è una sola creatura che non dipenda da lui. Tutta la creazione è nelle sue mani. Ma l’uomo tende a dimenticarlo e a credere di esistere da solo e di poter essere autosufficiente. Allora il buon Dio, per ricordargli il suo status di essere dipendente, per ricordargli che non ha creato se stesso, ma che è da lui che prende la sua esistenza, ha voluto che tutti i primogeniti gli fossero offerti nel suo Tempio. È scritto nel libro dell’Esodo: «Mi sia offerto ogni primogenito, perché tutto mi appartiene e io sono il Signore assoluto di tutte le creature» (Es 13,2). Da quel giorno, le madri degli Ebrei hanno voluto portare all’altare ciò che avevano di più caro, il loro figlio primogenito e il primo frutto della loro fecondità. Il primo scopo di presentare i bambini al Tempio era quindi quello di riconoscere la regalità di Dio, la Sua sovranità su ogni creatura. A questa prima intenzione si aggiunse quella di non perdere di vista le benedizioni di Dio, e in particolare di tenere presente la liberazione del popolo ebraico dal giogo degli egiziani. È bene rileggere di tanto in tanto questa storia, soprattutto nei momenti più difficili quando sembra che il buon Dio dimentichi i suoi e lasci trionfare i suoi nemici.
Schiavi degli egiziani, gli ebrei implorarono un liberatore e Dio suscitò Mosè per condurre il suo popolo nella Terra Promessa. Ma il faraone non lo lasciò andare subito. Ci vollero le famose dieci piaghe d’Egitto per farlo cedere. Ma l’ultima piaga fu proprio la morte di tutti i primogeniti degli egiziani.
Mentre i primogeniti degli ebrei erano protetti dal sangue dell’agnello applicato alle porte della loro casa, i primogeniti degli egiziani furono tutti sterminati dall’angelo di Dio. Pieno di paura alla vista di una tale carneficina, il faraone fu costretto a lasciare che gli ebrei prendessero la strada per la Terra Promessa. In ricordo di questa speciale protezione, Dio chiese agli Ebrei di offrirgli i loro figli maggiori, secondo quanto è scritto nel libro dei Numeri: “Dio parlò a Mosè in questi termini: “Il giorno in cui ho colpito tutti i primogeniti del paese d’Egitto, mi sono consacrato primogenito in Israele”» (Nm 3,13).
Il buon Dio sa che l’uomo tende a dimenticare i suoi benefici. Egli vede che l’uomo è spesso ingrato e non si rende sufficientemente conto del valore dei suoi doni. Così, per aiutarlo a ricordare, Dio impose a tutto il suo popolo l’offerta nel Tempio dei primogeniti.
L’INDOLE DI MARIA NEL PRESENTARE SUO FIGLIO NEL TEMPIO
Il contesto storico della Presentazione ci permette di scoprire le disposizioni di umiltà e gratitudine con cui la Madonna si recò al Tempio quando il suo Bambino aveva quaranta giorni. Oh, naturalmente non ha aspettato quel giorno per offrire interiormente suo Figlio a Dio. Dall’Annunciazione, dal concepimento di Nostro Signore, riconobbe che questo bambino a lei affidato era prima di tutto il Figlio di Dio. Da quel momento si rese conto che suo figlio era un deposito sacro affidatole e che quindi doveva sottomettersi alla volontà di Dio in tutte le questioni riguardanti il suo futuro. Ma oggi esprime esternamente lo stato della sua anima.
In un atto di magnanimità senza precedenti, offre Gesù, vittima dei nostri peccati, come sacrificio a Dio suo Padre. Lo offre non solo come individuo, ma come capo della Santa Chiesa. Tutti i riscattati sono presenti in questa offerta. Sì, non è esagerato pensare che offrendo il proprio divino Figlio per la salvezza del mondo, la Madonna pensa già a tutte le anime che beneficeranno dei meriti della sua Passione. E perciò offre a Dio tutte le anime che, nel corso dei secoli, si uniranno al suo divin Figlio mediante i sacramenti.
Con questa offerta, risponde perfettamente all’attesa di Dio. Prima di tutto, esprime la sua totale, fondamentale dipendenza da Dio. La Madonna è profondamente umile, e quindi assolutamente soggetta alla volontà divina. In questo giorno, come in quello dell’Annunciazione, ripete il suo Fiat: «Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38); Il che significa in questo momento: questo bambino ti appartiene, fai di lui quello che ti piace. Acconsento fin d’ora a tutti i sacrifici che vi aspettate da me. Mi dono nelle tue mani con tutto il cuore, totalmente e per sempre.
La Beata Vergine esprime anche la sua gratitudine. Poiché è umile, riconosce il dono di Dio. Non crede che tutto sia dovuto a lei. Al contrario, sa che tutto è un dono. L’ha cantata nel suo Magnificat durante la Visitazione. Lo canta di nuovo oggi in questo giorno della Presentazione. Ricorda tutte le meraviglie di Dio nell’Antico Testamento e vede già in anticipo i frutti di grazia e di salvezza che suo Figlio viene a riversare sulla povera umanità.
Tuttavia, sentoe già che questa salvezza dell’umanità non sarà senza sofferenza. Ricorda il giorno della circoncisione quando diede a suo Figlio il nome di Gesù, che significa salvatore.
Proprio mentre il sangue di suo Figlio veniva versato per la prima volta, gli diede il nome di Gesù. Così, ha certamente percepito la connessione tra il sangue versato e la sua missione di salvatrice. Tuttavia, nonostante le esigenze del suo dono, lungi dal ripiegarsi su se stessa, acconsente in anticipo a tutti i sacrifici che la sua missione di Madre del Salvatore richiederà.
Questa interpretazione delle disposizioni interiori della Madonna non è il risultato di mere congetture o valutazioni soggettive, come alcuni potrebbero essere inclini a credere. La prova è data dalle parole del vecchio Simeone. Nel momento stesso in cui la Madonna esce dal Tempio, per mostrare che la sua offerta è stata approvata da Dio, Simeone le predice che «suo Figlio sarà segno di contraddizione e che lei stessa avrà l’anima trafitta» (Lc 2,34-35). Simeone annuncia chiaramente qui la Passione di Nostro Signore e la compassione della Madonna. Affermando che Gesù sarà segno di contraddizione, predice che dovrà subire la contraddizione, che dovrà essere preda dell’odio, dell’opposizione feroce, dell’opposizione che porterà alla sua morte in croce. Di conseguenza, una spada di dolore trafiggerà il cuore di sua Madre.
LE DISPOSIZIONI DI NOSTRO SIGNORE
Resta da considerare un altro aspetto commovente di questo mistero, cioè le disposizioni intime di Nostro Signore nel momento in cui viene così presentato nel Tempio. Come egli ebbe fin dal concepimento l’uso di tutte le sue facoltà, intelligenza, libero arbitrio e sensibilità, sono presenti anche in lui le disposizioni percepite oggi nella Madonna.
Dio aveva ordinato che gli sarebbe stato offerto un sacrificio nel Tempio ogni notte; aveva anche disposto che gliene venisse offerto uno ogni mattina (Levitico 6:12; Nb 28,4). Nella vita di Gesù, il sacrificio della sera è il sacrificio del Calvario; quello della Presentazione è il sacrificio del mattino. Annunciando il secondo nell’ora in cui il primo è stato compiuto, il vecchio Simeone fa lo stesso del legame che li unisce. »
Così, anche oggi, consapevolmente e liberamente, Nostro Signore si offre a Dio suo Padre attraverso le mani di Maria. Come la Madonna, egli riconosce perfettamente il dominio sovrano di Dio su ogni creatura e, come primogenito di ogni creatura, si offre spontaneamente a Dio. Come la Madonna, anche lui rende grazie a Dio per tutte le meraviglie della creazione e per la redenzione che viene ad operare qui sulla terra. Come la Madonna, anche lui accettò i sacrifici inerenti alla sua missione di salvatore. Adagiato tra le braccia di sua Madre, si offre a Dio suo Padre come vittima per la salvezza delle nostre anime.
Egli rinnova le qualità che ha manifestato venendo in questo mondo: disposizioni di donazione totale al Padre Suo e di perfetta vittima. Queste sono le disposizioni interiori di Nostro Signore e della Madonna in questo giorno della Presentazione.
LE DISPOSIZIONI DA COLTIVARE PER PIACERE A DIO
Se Nostro Signore voleva consacrarsi a Dio, era perché l’uomo imparasse a sua volta ad offrirsi a Lui. Tutto ciò che l’uomo possiede, lo prende da Dio. Pertanto, il dono di sé a Dio non è un atto facoltativo, ma un atto indispensabile.
Voler vivere per se stessi, voler fare la propria vita in spregio a Dio, o senza cercare di conoscere e compiere la Sua volontà, è un’aberrazione, una mostruosità, un’assurdità. Dio è un Dio di ordine. Ha creato ogni essere con una missione specifica. È quindi normale che ogni uomo lo realizzi. Sottomettere la propria vita al volere divino è l’unica via, l’unico atteggiamento concepibile e l’unica via verso la felicità.
Così la Vergine Santa, con il suo comportamento in questo mistero, invita i genitori a distaccarsi dai figli, specialmente in quei momenti in cui il buon Dio manifesta loro chiaramente la sua volontà. Infatti, il Bambino Gesù apparteneva a lei come a nessun altro al mondo e come un bambino non apparterrà mai ai suoi genitori. Eppure, nonostante questi legami così legittimi, così intimi, così profondi, essa vi rinuncia, rinunciando ad esercitare il minimo dei suoi diritti da sola e per se stessa.
Nel meditare sul mistero della presentazione di Gesù Bambino al Tempio, è bene ricordare che i seminaristi indossano l’abito talare il 2 febbraio, giorno di questa festa, e questo non è frutto del caso. Questa data è stata scelta per il legame che si può stabilire tra l’offerta di Gesù Bambino da parte della Beata Vergine e quella dei seminaristi sotto lo sguardo della loro madre. I genitori, che hanno difficoltà a lasciare che i loro figli seguano il loro cammino, quando è giunto il momento per loro di prendere grandi decisioni, meditino su questo atteggiamento della Vergine Santa in questo mistero. Soprattutto, non si oppongano alla vocazione dei loro figli per egoismo o per un attaccamento sregolato al proprio giudizio!
Più in generale, la contemplazione della Presentazione di Gesù Bambino al Tempio nelle mani di Maria invita tutti gli uomini ad essere pronti a sacrificare per Dio ciò che hanno di più caro. Ci sono momenti nella vita in cui Dio chiede di più.
Alcuni sono dolorosamente colpiti dalla malattia, altri dal dolore o dal fallimento. In queste circostanze, ricordiamo l’atteggiamento della Madonna e di suo Figlio e chiediamo loro la grazia di imitare il loro spirito di sacrificio. Per avere questo coraggio, impariamo ad offrire a Dio i dolori della nostra vita quotidiana, ricordando che qui sulla terra tutto ciò che è sofferto deve essere offerto. Charles de Foucauld si esprimeva così: “Soffriamo tutto ciò che Dio ci offre, ci chiede, ci impone di soffrire, amorevolmente, beatamente, in spirito di obbedienza e di sacrificio… Non neghiamo nulla a Dio, non rifiutiamo nulla di Dio …
Quinto mistero gaudioso: Il ritrovamento di Gesù nel Tempio
Gesù rimase a Gerusalemme e i suoi genitori non se ne accorsero. […] E accadde che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, seduto tra i dottori, ad ascoltarli e interrogarli. […] Quando Maria e Giuseppe lo videro, rimasero stupiti. E sua madre gli disse: “Figlio mio, perché hai fatto questo con noi? Ecco, tuo padre ed io ti stavamo cercando, tutti afflitti. (Lc 2, 43, 46 e 48).
IL PELLEGRINAGGIO A GERUSALEMME
I genitori di Gesù, dice san Luca, si recavano ogni anno a Gerusalemme nel giorno solenne della Pasqua, e quando il bambino aveva dodici anni, salivano a Gerusalemme secondo l’usanza, per celebrarne la festa» (Lc 2,41).
La legge ebraica, promulgata da Mosè, aveva richiesto a tutti gli Israeliti di andare tre volte l’anno, a meno che non fosse impedito, al Tempio di Gerusalemme per partecipare alle feste di Pasqua, Pentecoste e Tabernacoli.
Solo gli uomini erano soggetti a questo obbligo, ma spesso le donne li accompagnavano per devozione. Per quanto riguarda i bambini, anche loro ci andavano ogni volta che i loro genitori volevano. Dall’età di tredici anni, i giovani ragazzi erano soggetti ad esso, essendo considerati adulti, ma i pii ebrei si impegnavano a portarli lì dall’età di dodici anni. È così che Giuseppe e Maria portarono Gesù con loro per fare la Pasqua a Gerusalemme. Questa festa è stata istituita in memoria della miracolosa uscita dall’Egitto al tempo di Mosè.
Un anno prima, Archelao, figlio di Erode, aveva perso il potere per ordine di Cesare ed era stato esiliato in Gallia. Essendo scomparso ogni pericolo per Nostro Signore, egli poteva liberamente seguire ciò che la pietà richiedeva.
I pellegrini viaggiavano in carovane. Di solito impiegavano quattro giorni per coprire la distanza che separava Nazaret da Gerusalemme, da centodieci a centoventi chilometri.
LA PERDITA DI GESÙ
Le feste pasquali duravano una settimana. Era lecito rimanere lì solo tre giorni, ma la Sacra Famiglia, così desiderosa di adorare Dio, rimase fino alla fine. L’ottavo giorno, poco dopo mezzogiorno, secondo l’usanza, dopo essersi congedati da Dio in un’ultima visita al Tempio, vedono arrivare l’ora della partenza.
“Il Bambino – dice san Luca – rimase a Gerusalemme e i suoi genitori non se ne accorsero” (Lc 2,43).
Nella folla innumerevole di migliaia di pellegrini, accorsi da tutta la Palestina e dall’estero, Giuseppe e Maria partirono da soli, ciascuno per conto suo, entrambi convinti che Gesù fosse con l’altro, ed entrambi felici di acconsentire a questo sacrificio dell’assenza di Gesù per dare gioia all’altro…
Per comprendere questa separazione, è necessario sapere che l’usanza era di far uscire uomini e donne attraverso due porte separate a Gerusalemme. Viaggiavano separatamente fino a sera, quando si ritrovavano in un punto fissato, prima del calar della notte.
“Pensando che fosse nella carovana, hanno fatto un giorno di cammino e hanno iniziato a cercarlo tra i loro parenti e conoscenti. Non avendolo trovato, tornavano sempre a Gerusalemme in cerca di lui» (Lc 2,44-45).
Al punto d’incontro, quando la Beata Vergine e San Giuseppe si incontrano, si accorgono della scomparsa del loro bambino. La spada predetta da Simeone penetra nel cuore dell’anima della Madonna, e anche San Giuseppe viene colpito da un colpo terribile. Devono affrontare i fatti: Nostro Signore non c’è più. Dopo aver cercato invano tra i pellegrini, decidono di tornare sui loro passi per cercare di trovarlo.
Cerchiamo di metterci nei panni della Vergine Santa. Vediamo cosa ne pensa. Si scontra non solo con l’ignoto, ma con l’incomprensibile.
Certamente, è abituata al mistero. Ma il mistero che ha per definizione un lato oscuro per le nostre intelligenze ci confonde sempre.
Nella sua mente devono essere sorte diverse ipotesi: Dio lo portò via come Enoc ed Elia e lo mise in qualche luogo segreto, o addirittura nel suo seno eterno? O forse è semplicemente andato nel deserto per visitare il giovane Giovanni Battista che vi conduce una vita ascetica? Ma poiché Archelao ha perso il potere così di recente, è possibile che abbia avuto il tempo di addestrare dei complici e che abbiano fatto arrestare Gesù. Quindi forse a quest’ora Nostro Signore è in una prigione buia e insalubre. E se fosse già stato messo a morte?
Ognuna di queste congetture diventa per la Madonna una nuova fonte di tormento. Ma la sua sofferenza non è tanto passare nella sua mente da un’ipotesi all’altra quanto non conoscere la verità. “Gesù non gli disse nulla. Era per lei il limite dell’incomprensibile e la feccia del calice che beveva. »
Alcuni autori, come san Bonaventura, pensarono che dovesse essersi accusata. Bossuet, che parla del rimprovero interiore provato da san Giuseppe, non dice nulla del genere per la Beata Vergine. In ogni caso, questa ricerca sembra infinita per entrambi. Tuttavia, in questa dolorosa prova, non c’è rivolta. Nonostante la nebbia più profonda della parte inferiore della loro anima, la punta sottile di essa rimane unita a Dio. Quando arrivano a Gerusalemme, tornano alla ricerca del bambino con più energia, sperando di trovarlo lì. “Senza dubbio andarono prima al Tempio. Oltre alle possibilità che avevano di incontrare lì il loro figlio, la loro abitudine invariabile, era quella di offrire al sovrano Maestro di tutte le cose il loro omaggio e il loro cuore.
La loro preghiera terminò, vedendo che non c’era, lo cercarono prima dai loro amici, poi da persone conosciute che avrebbero potuto incontrarlo.
DURATA DELLA PROVA
Dio assegna ad ogni prova una durata specifica. Sembra che questo periodo di tre giorni contenga qualche mistero. Infatti, è il terzo giorno che Giona viene sputato a riva dal grosso pesce che, per ordine di Dio, lo ha inghiottito (Gn 2:l). È in tre giorni che Nostro Signore promette di ricostruire il Tempio (Gv 2,19). Infine, Nostro Signore risorgerà il terzo giorno (Mt 20,19).
«Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto tra i medici, ad ascoltarli e a interrogarli» (Lc 2,46).
All’alba del terzo giorno, la Madonna e San Giuseppe tornano al Tempio per pregare. Nulla alimenta la fame di Dio nei santi più della grande sofferenza. La Madonna è consapevole che Dio è ovunque, sa anche di essere il tempio vivente di Dio, ma conosce anche le grazie proprie che Dio dispensa nei luoghi consacrati (3 Re 9,3); sa quanto Dio abbia a cuore le anime che lo pregano davanti al suo altare. Forse allora ha la sensazione che il suo calvario stia volgendo al termine. Probabilmente assiste al primo sacrificio che il sacerdote offre ogni mattina. San Giuseppe è lì, vicino a lei. E uscendo, passano da una delle stanze vicino al santuario, in cui i dottori insegnavano, spiegando ai giovani la Legge e la Scrittura. È lì che trovano Nostro Signore.
In questo tipo di assemblea c’erano, oltre ai dottori e ai loro discepoli, un certo numero di assistenti. I dottori sedevano su sedili alti. I discepoli erano in piedi o seduti su stuoie.
Quando arrivarono la Madonna e san Giuseppe, «Gesù sedeva in mezzo ai dottori, li ascoltava, li interrogava, e quelli che lo ascoltavano erano come fuori di sé per la sua prudenza e le sue risposte» (Lc 2,46-47).
LA REAZIONE DI GIUSEPPE E MARIA AL RITROVAMENTO DI GESÙ
Quando Giuseppe e Maria lo videro, rimasero sbalorditi e sua Madre gli disse: “Figlio mio, perché hai fatto questo con noi? Ecco, io e tuo padre cercavamo, tutti afflitti» (Lc 2,48). Questo non è un rimprovero. La Beata Vergine interroga Nostro Signore, sia per l’autorità che ha su di lui, sia per il suo dolore.
Cosa gli dice Nostro Signore? “Perché mi stai cercando? Non sapevate che devo occuparmi degli affari di mio Padre? (Lc 2,49).
Che cosa! gridò Bossuet: “Non volevi che ti cercassero?” E perché ti ritiri, se non per essere recuperato? Forse ti cercavano, almeno Giuseppe, con troppo entusiasmo umano? [Sempre la stessa riserva quando si tratta di Maria.] Non giudichiamo, no, ma concepiamo che Gesù parli per nostra istruzione. »
In verità, siamo sconcertati dall’atteggiamento di Nostro Signore. Qui rivela la sua trascendenza al punto che lo scrittore sacro precisa: «Ma essi non compresero la parola che aveva appena detto loro» (Lc 2,50), cioè non videro il rapporto che esisteva tra gli interessi di Dio, che il bambino chiamò le vicende del Padre suo, e questa manifestazione pubblica nel Tempio che egli aveva loro consapevolmente nascosto.
Non capivano che iniziava così presto un ministero che sembrava riservato all’età adulta. Né hanno afferrato tutte le implicazioni di questa dichiarazione riguardante la sovrana libertà di Nostro Signore dalle creature e la Sua esclusiva dipendenza da Suo Padre.
L’INTIMO MISTERO DEL RITROVAMENTO
Nel comportamento di Nostro Signore non c’è nulla di superfluo o puramente umano.
Nostro Signore non ha fatto questo perché gli è stato chiesto, o pregato. La ragione del suo atteggiamento è soprattutto divina.
Nostro Signore inaugura qui la sua opera pubblica di Messia, cioè testimone, rivelatore, glorificatore del Padre, medico e Salvatore del mondo.
Per comprendere questa manifestazione pubblica di Nostro Signore, si deve riconoscere che era opportuno che tra i fatti prodigiosi e brillanti della nascita di Nostro Signore e quelli dei tre anni della sua vita pubblica, ci fosse qualche manifestazione della sua divinità.
Ma perché ha fatto questo con sua Madre? “La volontà di Dio è la nostra santificazione” (1 Ts 4,3). La volontà di Dio, dunque, è la santificazione di sua Madre. Sì, se Nostro Signore si occupa degli affari di Suo Padre, non è forse il primo di tutti a santificare Sua Madre? Questo fu probabilmente uno dei motivi che lo portarono a sfuggirle, ad essere cercato da lei, a risponderle che essendo l’eterno Figlio di Dio, era solo sotto il suo Padre celeste.
Nostro Signore manifestò così la sua trascendenza e l’effetto prodotto fu l’incomprensione della creatura. Quando Nostro Signore agisce come un uomo, lo capiamo. Non appena agisce come Dio, siamo sopraffatti.
Ma la croce ha due facce: da una parte è dolorosa, dall’altra è gloriosa. Ogni prova liberamente accettata abbellisce la corona degli eletti per il Cielo. Permettendo l’afflizione di sua Madre, Nostro Signore ha preparato per lei un posto più bello in Cielo.
Inoltre, la Beata Vergine è stata ricompensata per la sua perseveranza, nella prova dei tre giorni della perdita del suo bambino, da dodici anni di pace e ritiro nell’intima compagnia di Gesù. Nostro Signore, che era tutto negli affari di suo Padre, diede trent’anni su trentatré a sua Madre, perché la sua prima attività fu Maria.
L’ACCETTAZIONE GENEROSA DELLE “NOTTI DELLO SPIRITO”
La meditazione sul mistero della perdita e della guarigione di Gesù Bambino nel Tempio ci aiuti ad accettare meglio le nostre prove e specialmente le notti dello spirito. Possiamo perdere Nostro Signore attraverso il peccato, ma possiamo anche perderlo attraverso l’oscurità che a volte offusca le nostre menti. I teologi parlano della notte dei sensi e della notte dello spirito per designare i periodi misteriosi in cui Dio si nasconde.
Durante la loro ascesa all’altare del sacrificio, i seminaristi sperimentano spesso momenti di aridità spirituale durante i quali Gesù sembra loro lontano. Passano attraverso notti più o meno lunghe e più o meno aride. Hanno meno gusto per la preghiera e varie tentazioni da superare. Durante questi momenti, lascia che ricordino che Dio mette alla prova coloro che ama. Preghiamo perché non si scoraggino quando Gesù si nasconde, ma che anch’essi vadano al Tempio a vegliare alla presenza del divino Maestro. Chiamati a una grande intimità con Gesù, devono essere pronti a contemplarlo sul Monte della Trasfigurazione, il monte Tabor, ma anche ad accompagnarlo al Giardino del Getsemani, il Giardino dell’Agonia.
Nei periodi dolorosi della vita, invece di perdere la pazienza o di interrogarci sulle verità della fede, moltiplichiamo gli atti di fede, di speranza e di carità.
Immagine: Bologna Basilica patriarcale di San Domenico – Interno Cappella, Zairon, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons.