di Luca Fumagalli
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di mons. R. H. Benson e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo. Link all’acquisto.
Nel 1892, desiderosi di offrire al clero anglicano una formazione più solida accompagnata da uno stile di vita frugale, due capofila del movimento anglo-cattolico come Charles Gore e Walter Howard Frere avevano fondato a Mirfield la Comunità della Resurrezione (Community of the Resurrection). I membri della confraternita, la cui adesione, fino al 1945, doveva essere rinnovata annualmente, venivano indicati nei documenti con la sigla CR dopo il proprio nome, a imitazione di quanto accadeva negli ordini religiosi cattolici. La Comunità della Resurrezione ebbe un’ampia influenza missionaria nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, soprattutto in Sud Africa; oggi l’unica sede esistente rimane quella di Mirfield.
Al tempo dell’ingresso del giovane prelato anglicano Robert Hugh Benson, sul finire del 1898, la confraternita stava vivendo i suoi anni migliori, mostrandosi quale baluardo contro quella fluidità dogmatica che fiaccava la Chiesa d’Inghilterra e che tanto aveva disorientato il futuro monsignore.
Mirfield vantava un ambiente meraviglioso, caratterizzato da boschi, prati e aree collinari. Quando pioveva, il luogo si immergeva in un’atmosfera romantica, degna di un dipinto di Turner. La chiesa della Comunità, in muratura color rosso scuro, era situata accanto agli edifici principali. La casa comune, costruita nello stile architettonico regionale, era stata finanziata da un ricco possidente locale e, ai tempi della permanenza di Benson, si era iniziato a edificare il collegio teologico vero e proprio.
Nella Comunità della Resurrezione quest’ultimo trovò ciò che desiderava: la confraternita vantava una disciplina più di tipo oratoriano che monastico, caratterizzata da un profondo spirito familiare. La giornata, trascorsa tra preghiere e meditazioni, durava dalle 6.15, l’ora della sveglia, sino alle 22. Come nelle comunità cattoliche, la regola del silenzio era rigida e durava dal termine della cena fino a dopo colazione. Nella restante parte della giornata vigeva una disciplina meno severa, anche se le conversazioni dovevano essere limitate allo stretto necessario.
Approfittando del clima ascetico che lì si respirava, Benson tentò anche di smettere di fumare, un vizio che risaliva al periodo universitario. Si impose di ridurre gradualmente il numero di sigarette, ma fu tutto inutile: prima della morte ne fumava tra le trenta e le cinquanta al giorno.
Oltre alle preghiere, la giornata tipo a Mirfield prevedeva mansioni varie come il rifacimento dei letti, il trasporto del carbone e la pulizia delle scarpe. I membri indossavano una veste in doppio petto, legata in vita da una semplice cintura di pelle. Il capo della Comunità, fintanto che Gore mantenne l’incarico, era l’Anziano – il più classico appellativo di Superiore fu introdotto successivamente –, mentre i semplici confratelli erano chiamati Padri, secondo l’uso moderno. Un altro elemento tipico della tradizione monastica che Benson apprezzava particolarmente era il Capitolo settimanale, quando le omissioni e le infrazioni nei confronti della regola comune venivano confessate pubblicamente dai membri della Comunità, inginocchiati e con lo sguardo fisso a terra in segno di pentimento. All’epoca a Mirfield risiedevano quattordici padri, tutti con alle spalle esperienze in parrocchia. Non c’erano laici e nei lavori erano affiancati solo da tre o quattro domestici.
Benson trascorse il suo primo anno dedicandosi alla preghiera e allo studio. Aveva preso a recitare regolarmente il rosario, una pratica che, anche se non proibita, non veniva incoraggiata. Tra gli scaffali della biblioteca incontrò invece le opere di alcuni di quegli autori che finirono per giocare un ruolo chiave nella sua formazione artistica: Ibsen, Maeterlinck, George Sand, Zola e Kipling. Lesse pure Mario l’epicureo di Walter Pater – «Che bel libro che è! Desidero quasi diventare pagano!» –, Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e Controcorrente di J. K. Huysmans, tre romanzi simbolo del decadentismo.
Non smise neppure di coltivare la passione per la musica, soprattutto per Debussy, e maturò quella per gli animali: il terrier irlandese della Comunità dormiva spesso sotto il suo letto e mangiava le mosche che si fermavano sulla finestra aperta della stanza.
Con l’avvicinarsi del giorno della professione solenne – scandita dai voti di povertà, castità e obbedienza – crebbe in Benson un senso di incertezza: la regola della Comunità, infatti, non soddisfaceva più il suo latente “papismo” (ormai credeva in tutti i dogmi della Chiesa di Roma, fatta eccezione per il primato petrino). Aveva studiato a fondo la teologia morale di Lehmkuhl, invocava regolarmente i santi nelle sue orazioni, pensava che la transustanziazione fosse la formula migliore per esprimere la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia e considerava la confessione il mezzo adeguato per rimettere i peccati mortali commessi dopo il battesimo. Una volta venne addirittura accusato di predicare dottrine che erano una via di mezzo tra quelle della Chiesa cattolica e quelle di John Wesley, il fondatore del metodismo.
Dopo la rinuncia della professione solenne, ora rinviata, Benson si impegnò in diverse opere missionarie. Oltre ad aiutare nello studio i ragazzi che frequentavano la scuola della Comunità, lavorava per settimane lontano dai confratelli, impegnato in ogni angolo d’Inghilterra in un’attività di evangelizzazione a dir poco logorante: in una parrocchia londinese, ad esempio, con un suo confratello ascoltò confessioni per più di undici ore di fila. Le soddisfazioni, naturalmente, non mancarono, e Benson venne ovunque accolto a braccia aperte.
Per tramite del fratello Arthur, gli venne quindi proposto il vicariato di Hungerford, nel Berkshire, rimasto vacante di recente. Si trattava di un incarico importante per un uomo della sua età, ma lui, più avvezzo alla vita comunitaria che a quella pastorale, preferì rifiutare l’offerta.
Nell’estate del 1901 ebbe finalmente luogo la sua professione solenne. La madre giunse da Londra per l’occasione e al figlio venne regalata una tonaca la cui foggia era simile a quella di una talare romana (Benson la indossò per molti anni ancora, anche dopo la conversione al cattolicesimo). Unica nota negativa in quella giornata di festa fu la strana domanda che Gore gli rivolse prima della cerimonia a proposito di una sua presunta infatuazione per la Chiesa di Roma.
A dispetto della professione non svanirono le sue perplessità sulla fede anglicana che, anzi, tornarono a riaffiorare. D’altronde l’aspetto più faticoso delle sue attività fuori dal perimetro di Mirfield era proprio quella di adattarsi, ogni volta, alle dottrine e ai riti più diversi. Se, in linea di massima, le istruzioni erano di predicare in quei luoghi che accettavano gli insegnamenti della Comunità della Resurrezione, le difficoltà emergevano quando, occasionalmente, capitava di essere ospitati da vicari che non si sentivano in dovere di cambiare, per cortesia, le proprie abitudini. Nell’unica occasione in cui predicò nella cattedrale di Westminster, Benson si astenne volutamente dal trattare qualsiasi questione che potesse creare dissapori, limitandosi a sottolineare la persona di Gesù Cristo.
Di una qualche consolazione era solo la poesia: aveva ripreso a scrivere versi sia in inglese che in latino. Le liriche di questo periodo, profonde e penetranti anche quando non formalmente impeccabili, sono quelle che costituiscono il corpo centrale e numericamente più cospicuo della raccolta Poems, pubblicata postuma nel 1914.
La sua anima, nel frattempo, vagava in un mare di ipotesi teologiche sempre più incerte. Benson, almeno all’inizio, riteneva che quella anglicana fosse la Chiesa più fedele al cristianesimo delle origini, ma ciò non dava comunque ragione delle numerose contraddizioni presenti al suo interno. Si mise allora alla ricerca di un’autorità infallibile nel Libro di preghiere e nei Trentanove articoli, ma anche questi venivano interpretati differentemente (persino la validità dei sacramenti era materia di discussione tra la “Chiesa alta” e quella “bassa”).
Approdò dunque alle rive del ritualismo, fondato sulla convinzione che la vera Chiesa cattolica fosse quella formata dall’unione delle Chiese che aderiscono al credo niceano e che mantengono inalterata la successione apostolica (Roma, Costantinopoli, Mosca, Canterbury e qualche altra entità minore). La sua autorità si basava sulla tacita condivisione di alcuni fondamentali della dottrina cristiana: dove tutti concordavano, ecco che vi era la presenza dello Spirito Santo, quando invece le sedi erano in disaccordo, si era nel campo delle libere opinioni. Tale elaborazione teologica, definita dallo stesso Benson “Teoria diffusiva” (Diffusive Theory), gli offriva in più il pretesto per credere senza imbarazzo in qualsiasi dogma “papista”, con l’ovvia esclusione dell’infallibilità pontificia.
Per dimostrare come questa teoria potesse adattarsi al semplice fedele e non solo all’erudito, si avvalse di un altro costrutto teorico, la “Chiesa diffusiva” (Church diffusive). Come il cattolico si affida al sacerdote che riconosce l’autorità del Papa ed è quindi in comunione con lui, così chi si affida al pastore che crede nella “Chiesa diffusiva” contribuisce a una maggiore unità tra le denominazioni cristiane che a essa partecipano.
Tutt’altro che brillante, l’impianto teologico imbastito da Benson era un castello di carte della cui astrusità e inconsistenza si accorse ben presto anche lui. Ormai stava perdendo fiducia nei confronti della ragione, incapace, a quanto pareva, di conquistare qualsiasi certezza in campo dottrinale.
Dopo essersi scontrato con i limiti dell’anglicanesimo e aver patito le differenze esistenti al suo interno, anche l’ultimo e disperato tentativo di risposta, costituito dal misticismo irrazionale de La luce invisibile (1903), la sua prima opera narrativa, si dimostrò fallimentare: quella d’Inghilterra era troppo contraddittoria per essere considerata la vera Chiesa degli apostoli.
Fu a questo punto che la provvidenza ci mise lo zampino. Sollecitato da una lettera di Frere, subentrato a Gore alla guida della Comunità della Resurrezione, Benson iniziò uno studio sistematico del dogma cattolico del primato petrino, primo passo del suo viaggio spirituale che nel 1903 lo avrebbe portato alla conversione e, da lì, a una straordinaria – seppur breve – carriera come sacerdote, predicatore e scrittore.
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Fonte immagini: https://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Gore#/media/File:Charles_Gore_(1853-1932)_in_1918.jpg (Gore); https://en.wikipedia.org/wiki/Community_of_the_Resurrection#/media/File:House_of_the_Resurrection,_Mirfield.jpg (la Comunità); https://www.abebooks.it/servlet/BookDetailsPL?bi=31329175039#&gid=1&pid=1 (La Luca Invisibile); l’immagine di copertina è tratta invece da R. H. BENSON, Poems (Burns and Oates 1915).