di Luca Fumagalli
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di mons. R. H. Benson e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo. Link all’acquisto.
Robert Hugh Benson entrò al Trinity College di Cambridge nell’ottobre del 1890, pochi giorni prima di compiere diciannove anni. Già prima di lui, il padre, i fratelli maggiori e più di uno zio avevano frequentato la prestigiosa università, dove il ragazzo poté pure ritrovare molti dei vecchi compagni di Eton.
Benson, spirito vivace e socievole, divenne membro del “Chit-chat” e del “TAF” (Twice a Fortnight), due circoli letterari aperti agli studenti, e per la prima volta in vita sua si impegnò con continuità sul fronte della scrittura.
Su suggerimento di uno dei direttori, un compagno delle superiori, iniziò a collaborare con il «Trident», un opuscolo del Trinity. Già a dicembre venne pubblicata una sua poesia, From the Heights, di struttura tradizionale e dai profondi risvolti malinconici. Nel giugno del 1891 De Profundis – il patetico soliloquio di un cane lasciato legato dal suo padrone all’esterno della sede del Pitt Club – mostrava, al contrario, una piccola evoluzione stilistica e una maggiore inventiva. Tra i molti lavori composti in questo periodo spicca in particolare la lirica Scandal in High Life, in cui viene raccontata la vicenda di alcuni studenti anarchici che si divertono a compiere atti di insubordinazione.
In seguito Benson si avvicinò al teatro e, oltre a scrivere senza sosta testi e copioni che regalava ai compagni affinché li completassero, amava improvvisare azioni sceniche divertenti. Ricoprì anche qualche ruolo come quello di membro del coro nella tragedia Ione di Euripide.
Tra i molti impegni il ragazzo trovò comunque il tempo per coltivare il suo amore per le lunghe passeggiate; in un’occasione arrivò addirittura a camminare da Cambridge fino a Londra, percorrendo circa sessanta miglia.
A nuovi sport come il golf e il canottaggio, continuò a preferire l’arrampicata. Purtroppo, però, proprio durante una scalata estiva in Svizzera ebbe un gravissimo incidente che per poco non gli costò la vita (tracce dell’episodio si possono riscontrare in alcuni dei suoi romanzi della maturità, sia nelle descrizioni alpine de Il padrone del mondo che nella narrazione dell’arrampicata in The Coward. Anche gli edifici e i giardini di Cambridge furono per lui una fonte d’ispirazione come dimostrano i primi capitoli de Il baronetto vagabondo).
Probabilmente fu proprio grazie alla disavventura elvetica che Benson mutò gradualmente il proprio rapporto con la religione, passando da un vuoto formalismo a una fede più autenticamente vissuta. Trovarsi davanti alla morte ispirò in lui il serio desiderio di comprendere il senso dell’esistenza e quindi di consacrare le ore di studio, i momenti liberi con gli amici e il tempo della preghiera alla ricerca di una risposta.
Per quanto fosse deliziato dall’università, Benson mal sopportava lo spazio marginale a cui era relegata la musica. Decise così di prestare servizio ogni sera presso la cappella del King’s College, dove la melodia e la sobria eleganza dell’edificio soddisfacevano i desideri di un cristianesimo ancora in parte estetizzante. Oltre a ciò, dopo aver richiesto per lettera il permesso al padre, con alcuni amici si recò a Bayreuth, in Baviera, per assistere alle opere promosse dal celeberrimo festival wagneriano. La musica, gli attori e gli allestimenti scenici del Parsifal lo impressionarono molto e rientrò a Cambridge con il cuore in tumulto, gonfio di passioni romanticheggianti.
Influenzato dalla moda del tempo, già nel primo trimestre manifestò un certo interesse per l’occulto e lo spiritismo. Lesse gli scritti del mistico eterodosso Swedenborg e, una sera, provò a ipnotizzare due studenti un po’ sempliciotti convenuti nella sua stanza. A turno li addormentò intimando loro, al risveglio, di dimenticare quanto accaduto. L’esperimento non ebbe molto successo e terminò con una grande risata; la cosa fu però scoperta dalle autorità accademiche che immediatamente avvisarono i genitori e la madre lo pregò di lasciar perdere quelle sciocche pratiche, potenzialmente dannose per la sua anima.
Benson non era esente nemmeno dalla passione per spiriti e fantasmi: quando, alla fine di maggio del 1891, un uomo del Trinity si suicidò nella sua camera a causa di una depressione cronica, lui fece di tutto per ottenere quella stanza dove, come prevedibile, nessuno voleva più abitare. L’alloggio si trovava al Bishop’s Hostel e Benson vi dormì per qualche settimana nella speranza di entrare in contatto con lo spettro del defunto (a quanto pare le tracce di sangue sulle assi del pavimento e il foro del proiettile nel cassettone non lo inquietarono minimante).
Ogni tanto il ragazzo passava le serate giocando a carte con gli amici e spendendo molto denaro; al termine del primo anno d’università finì per ritrovarsi senza il becco di un quattrino, e questo nonostante la buona rendita che gli garantiva la famiglia. Capita la lezione, la madre intervenne per pagare i debiti, ma nel corso della sua permanenza all’università Benson fu comunque costretto a periodi di ristrettezza economica, dal momento che alcuni servizi fondamentali del Trinity, come la mensa, erano allora piuttosto costosi.
Al di là dei saltuari problemi, fu la notizia della morte per difterite della sorella più grande, Nellie, a turbare per lungo tempo la sua vita tranquilla e spensierata. Da quel lutto Benson si riprese poco alla volta e ne trasse nuova linfa per intraprendere con serietà gli studi teologici che iniziarono ufficialmente nell’ottobre del 1891, in concomitanza con il cambio di stanza e con il suo trasferimento in una camera direttamente affacciata sulla Great Court.
Prima di questi fatti la sua fede conservava ancora qualche scampolo del vecchio formalismo e condizionava solo in minima parte le sue scelte; pregava di rado e a un certo punto arrivò ad abbandonare quasi del tutto l’abitudine di comunicarsi.
Tuttavia, col passare del tempo finì per acquisire una profonda coscienza del proprio anglicanesimo, sviluppando in contemporanea una feroce ostilità nei confronti della Chiesa cattolica. La prima occasione di confronto con simili temi fu la lettura del libro di Richard F. Littledale, Plain Reasons Against Joining the Church of Rome che, edito nel 1880, creò molto scandalo negli ambienti della “Chiesa alta”, dove le tendenze filoromane si stavano diffondendo ampiamente. Littledale era un anglicano di ferro e dedicò tutta la sua vita di teologo e scrittore alla difesa dei diritti del protestantesimo contro le pretese universalistiche del “papismo”. Nonostante alcune pagine del testo siano realmente grottesche e ingiuriose, Benson ne rimase colpito.
Negli anni del Trinity questi ebbe anche un amico cattolico, le cui posizioni, però, gli sembravano folli. Aveva poi provato ad assistere alla messa solenne nella chiesa locale, ma non ne fu particolarmente impressionato, anzi, la cerimonia suscitò in lui un misto di biasimo e confusione. L’unica cosa che apprezzò della messa fu la sensazione piacevole, quasi euforica, quando sentì le gocce d’acqua che gli bagnarono il viso durante la benedizione. Dall’amico ricevette in prestito pure Garden of the Soul, libro scritto nel 1740 dal vescovo Richard Challoner. Il piccolo volume altro non è se non un manuale di esercizi spirituali redatto per i laici cristiani. Lo lesse sbrigativamente e se ne dimenticò quasi subito, tanto che non lo restituì mai al suo legittimo proprietario.
Ad aggiungere argomenti al suo anticattolicesimo ci pensò anche un amico ateo, il quale sosteneva che la Chiesa di Roma era l’unica che poteva avanzare una qualche pretesa di credibilità: se anche uno come lui si schierava dalla parte dei “papisti”, ciò non poteva fare altro che confermare la bontà del protestantesimo.
Fu durante l’ultimo anno di studi che Benson decise di diventare ministro anglicano. Non si sa se la disavventura in Svizzera o la morte della sorella abbiano avuto un’influenza determinante su questa decisione inaspettata, ma certo non la compì per calcoli, pensando che la posizione del padre, Arcivescovo di Canterbury, gli avrebbe garantito una facile carriera. D’altronde, negli ultimi mesi, la fede e la devozione del giovane erano cresciute moltissimo, e lo stesso genitore – insieme alla moglie – aveva pregato a lungo affinché il figlio sentisse la chiamata al sacerdozio.
Fu durante una serata tranquilla e silenziosa, mentre passeggiava nel parco di Addington, che Benson scelse di dedicare la propria vita a Cristo e alla Chiesa d’Inghilterra. Alzando gli occhi al cielo, sopraffatto dall’emozione, disse semplicemente: «Sono qui, mandami dove vuoi!».
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